La vulnerabilità del caregiver: riflessioni


Il caregiver è una persona tanto forte quanto fragile, negli anni ho potuto analizzare come le altre persone si relazionano ad esse/i. Quello che esprimo è il mio punto di vista e quello che ho interpretato non è detto sia corretto o veritiero per tutti.

Esistono vari modi di vedere la vita, per esempio c’è chi tende ad essere pessimista e a vedere il bicchiere sempre mezzo vuoto, c’è chi è estremamente razionale e realista ed infine c’è chi basa il suo percorso di vita sul cosiddetto pensiero positivo.
Personalmente sono sempre stata in bilico tra l’essere razionale e il vedere le cose il più positivo possibile almeno per provare a sdrammatizzare e ad alleggerire il clima, anche se non nego che di periodi di sconforto ne ho avuti, siamo umani.
Mentre un caregiver prova a passare attraverso le fasi della malattia incontrando negazione, rabbia, depressione e accettazione (non sempre riuscendo ad arrivare a questo punto) per poi arrivare ad un punto di precario equilibrio dove si crea un proprio ecosistema fatto di cure, contatti con i professionisti sanitari, conoscenze mediche e infermieristiche, rinunce, modifiche del proprio life style, ecco che ad un certo punto si rende conto che è dentro ad una bolla che si muove con i suoi ritmi e che al di fuori c’è un mondo con cui si deve relazionare.
Spesso si relaziona in modo impacciato, non per cattiveria, ma perché il mondo della cura è qualcosa che al giorno d’oggi viene allontanato dai nostri pensieri. Sì, ci sono le badanti, gli ospedali e le RSA ma nell’immaginario collettivo spesso è visto come qualcosa di distante o a cui ci si avvicina ogni tanto.
Il caregiver invece vede questi mondi ogni giorno e conosce pregi e difetti, in ogni sfaccettatura.
Un tempo esistevano le grandi famiglie, i parenti, gli amici, le collettività che in caso di “disgrazia” provavano a darsi una mano l’uno con l’altro, mentre oggi siamo sempre improntati più verso una società individualistica dove la cura viene delegata.
Il caregiver va contro questa logica e si prende in carico, psicologicamente e fisicamente, una persona cercando al contempo di rimanere sano e mentalmente stabile.
Fortunatamente (o sfortunatamente a seconda dei punti di vista) ci sono persone che ci sono passate prima e che oltre ad empatizzare sanno che la cosa fondamentale è mantenere alto l’umore, evitare di piangersi addosso e dire frasi di circostanza, sanno che portare una colazione cogliendo l’occasione per scambiare due parole (momento di sollievo del caregiver) o dei medicinali valgono più di mille emoticon o WhatsApp mandati con la promessa “passerò”.
Il caregiver ha poche possibilità (spesso) di socializzare, avere momenti di sollievo dove qualcuno va a trovare lui e chi assiste è oro, è una boccata d’aria sul mondo esterno e un “presto vengo a trovarvi” mancato per mesi e anni, ferisce.
Perchè non è come dirlo ad una persona qualsiasi, il caregiver ti aspetta, si fida, ci crede. Poi negli anni a forza di promesse o chiamateli voi “modi di dire” diventa diffidente, comincia a non crederci più e a chiudersi pensando “Sì vabbè è la solita frase” e spesso infatti non riesce a ricredersi.
Sono pochi quelli che trovano una rete solida che li sostiene e io devo dire grazie a chi in questi anni anche attraverso un messaggio lo ha fatto.
Supporto e rete dovrebbero essere un diritto di tutti.
Ci sono poi le frasi dette con poco tatto, inconsapevolmente, pensando addirittura di dire qualcosa di positivo, che non aiutano il pensiero positivo del caregiver, quella buona volontà e determinazione che lo spingono ad andare avanti nonostante le mille patologie che spuntano, le complicazione, i problemi burocratici, con i tribunali, le chiamate non risposte in caso di emergenze.
Sono le frasi che indeboliscono anche la mia di psiche, anche se caregiver da un po’ di tempo per cui dovrei avere le ossa forti, e che ogni volta ti spingono a riflessioni e ad autoanalisi (non è sempre una cosa positiva quando poi diventa pensiero negativo, soprattutto se fatto senza professionisti).
● “Io non so proprio come fai, io che ho la tua età non saprei come rinunciare alla tua vita.”
● “Lo sai che tutti questi anni della tua giovinezza sono persi e non torneranno mai più indietro?”
● “Stai buttando via anni preziosi, con quello che studi potresti andare all’estero.”
● “Io ho già firmato per non essere rianimato perché così non ci voglio finire.”
● “Era anche ora che ti laureassi.”
● “Sei così bianca, ma non hai qualcuno in casa per cui puoi uscire a prendere il sole?”
● “Lo sai che chi ti sta attorno deve fare delle rinunce perché non è facile avere a che fare con persone come te?”
● “Perché fai fisioterapia tu e non prendi qualcuno (nei paesini difficilmente si trova un fisioterapista che si occupa del paziente con patologia neurologica a domicilio).”
● “Ma tutto questo ogni tanto non ti pesa?”
● “Non vuoi farti una tua famiglia e avere un figlio?”
● “Ma perché non hai studiato medicina? (Forse perché queste cose le ho imparate per necessità ma le mie ambizioni possono essere altre al di fuori della cura.)”
● “Tra 20 anni cosa farai? Lo sai che biologicamente muore prima lei di te.”
● “Ovviamente non ti chiedo se lavori, perché sicuramente non puoi anche riuscire a lavorare.”
● “La terapia per te sarebbe staccare, lo so che è difficile ma sarebbe staccare. Dai una settimana via te la puoi fare. (Mi dai tu il cambio?).”
● “Stai già facendo tanto, perché puntare ad ottenere di più, tanto la sua vita l’ha fatta.”
● “Io so cosa vorrebbe lei, perché anche io sono mamma.”
● “Devi accettare la patologia. (a volte è semplicemente un’influenza o un qualcosa che non riguarda la patologia di base).”
E so che chi è caregiver ne ha sentite mille di queste frasi e anche molto peggio, spesso vengono dette con buone intenzioni per cui non te la prendi. Però ci rimani male, però ti fanno pensare, però ti possono fare entrare in loop non proprio di felicità e positività. Ma le persone non sanno perché la cultura della cura è qualcosa che deve ancora “diramarsi” dalle scuole alle case, entrare a fare parte della nostra comunità.
Eppure, per un poco, rendono fragile i caregiver.
Eppure, non è colpa di nessuno.

21 maggio 2024

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