Una diversa fiducia



Sandro Spinsanti
Il Pensiero Scientifico Editore, 2022
Pagine 232

Un Maestro. Non so trovare parola più adeguata per definire Sandro Spinsanti, che con questo libro raggiunge l’apice di una vena produttiva che non solo non si esaurisce con il tempo, ma anzi si presenta sempre più ricca e feconda di spunti. Un Maestro, perché ha saputo condensare in poco più di duecento pagine un vero e proprio manuale sulla relazione di cura. Su ciò è oggi il curare, su ciò che è stato, su ciò che dovrebbe e potrebbe diventare. Con un continuo rimando tra la dimensione individuale del rapporto tra persona malata e professionista della cura e la dimensione pubblica, quella dell’intreccio tra comunità, società ed organizzazione sanitaria. Sostenuto da una immensa cultura, non quella paludata dell’accademia ma quella che scaturisce dalle frequentazioni più varie (dalla letteratura al cinema, dai documenti istituzionali agli articoli di giornale, dai lavori scientifici alle serie televisive), l’Autore ci guida con leggerezza ma altrettanta precisione nei territori di cura, regalandoci una mappa disegnata con impareggiabile precisione. A partire da una dichiarazione esplicita: la fiducia di cui il libro tratta non è quella ingenuamente acritica, figlia di quel tempo andato (davvero andato?) quando il paziente doveva affidarsi passivamente al medico perché lui (molto più spesso che lei) solo sapeva qual era il suo bene. Si tratta invece di una fiducia “non antitetica alla critica, alla vigilanza e al controllo”: una condizione adulta, dunque, che implica un rapporto tra pari, dove il legittimo dubbio e non il pregiudizio è la condizione per generare conoscenze, esperienze, competenze.
Un esempio in proposito ce lo offrono le pagine legate al conflitto d’interesse che può toccare profondamente, tra le varie professioni di cura, quella medica. L’etimologia di interesse (letteralmente “essere in, essere dentro”) ci ricorda che siamo continuamente in rapporto con altri soggetti i cui interessi possono coincidere o essere diametralmente opposti. Pensiamo alle strategie di marketing che vengono adottate per incentivare l’acquisto di un farmaco: contrariamente a gran parte dei prodotti del mercato in generale, che vengono promossi direttamente a chi poi li acquisterà e consumerà, nel campo della sanità ci troviamo di fronte a una situazione particolare. Ce l’ha schematizzata bene Gianfranco Domenighetti (al cui ricordo, come a quello di Alessandro Liberati, sono dedicate intense pagine dove la loro eredità culturale risalta luminosa): chi sceglie (il medico) non paga e non consuma, chi consuma (il paziente) non sceglie e non paga, chi paga (il Servizio Sanitario Nazionale) non sceglie e non consuma, dunque si capisce come il conflitto sia ineliminabile “e la saggezza consisterà non nel neutralizzare qualcuno dei legittimi interessi, ma nel comporli tra di loro, con soluzioni creative”, alle quali peraltro il libro fa ampi riferimenti.
Le pagine dedicate al consenso informato illustrano perfettamente che cosa queste due parole dovrebbero indicare ed a che cosa, invece, si sono ridotte nella prassi quotidiana. Altro che “una più ampia partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano la loro salute”: consenso informato è ormai sinonimo di un modulo cartaceo, per lo più scritto in modo incomprensibile alla maggior parte dei pazienti, con in calce uno scarabocchio vergato distrattamente e del tutto inconsapevolmente. Si coglie in queste pagine tutta l’amarezza di chi, come Spinsanti, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso si è tanto impegnato nella formazione su questo tema, vero e proprio simbolo del passaggio dall’era ippocratica della medicina a quella moderna: con un originale riferimento alla rivoluzione copernicana, ed a quanto tempo c’è voluto perché gli ultimi irriducibili tolemaici si arrendessero all’evidenza, l’Autore si chiede argutamente quanti medici tolemaici stiano ancora resistendo ad un cambiamento di paradigma che purtroppo sembra essere più presente nelle analisi teoriche che nei riscontri pratici.
“La cura non va ridotta a terapia e la terapia a sua volta non va ridotta a prestazione. Su questo orizzonte vediamo prendere forma una sanità diversa, figlia di una pratica della cura di genere femminile”: con queste parole l’Autore conclude il libro, prendendo atto del cambiamento demografico in atto ed auspicando un peso crescente delle humanities anche nella formazione dei professionisti, “perché la cura come la conoscono le donne è un’attività a valenza umanistica”. E noi restiamo in attesa del cambiamento, con fiducia.

STAMPA L'ARTICOLO