Storia e radici identitarie professionali: immagine dell’infermiera donna nel periodo fascista dal 1935 al 1938


Riassunto

RIASSUNTO
Introduzione
A oggi non si registrano studi di ricerca per la definizione dell’immagine delle infermiere diplomate nel periodo fascista. Con questo studio si effettua una prima indagine sistematica attraverso una fonte primaria, per comprendere il processo di definizione della figura infermieristica.
Materiali e metodi La ricerca ha esaminato, con analisi automatica dei dati testuali tramite il software Iramuteq, gli articoli, dal 1935 al 1938, dell’unica rivista di categoria infermieristica del tempo: “L’infermiera italiana”.
Risultati Dai 162 articoli selezionati emerge una figura infermieristica colta, con qualità intellettuali e dalle connaturate doti femminili. Una nuova immagine, una prima forma di strutturazione e reclutamento del gruppo professionale caratterizzata da dinamiche di riconoscimento interno ed esterno alla professione. Una figura infermieristica costituita da esigenze mediche, centrata soprattutto su ineccepibili qualità morali e meno su quelle tecniche. L’analisi multidimensionale e multidisciplinare ha indagato le dinamiche di un percorso professionale che ha coinvolto livelli istituzionali, sociali e individuali.
Conclusioni L’analisi conferma la storiografia professionale italiana, aggiungendo una prima definizione di figura infermieristica e di strutturazione professionale. Questa ricerca fornisce un rigoroso contributo alla storia della professione, nonché alla costruzione di un modello concettuale che potrebbe costituire la chiave di lettura verso le sfide professionali intellettuali future.
Parole chiave: infermiere diplomate, immagine, genere, figura infermieristica


The history and roots of professional identity: the image of the female nurse in the fascist period from 1935 to 1938

ABSTRACT
Introduction
To date there are no research studies for the definition of the image of Registered Nurses during the fascist period. With this study, a systematic survey is carried out through a primary source, to understand the process of defining the nursing figure.
Materials and methods The research examined articles, from 1935 to 1938, of the only nursing category magazine of the time: “L’Infermiera italiana”, with automatic analysis of the textual data using Iramuteq software.
Results From the 162 selected articles emerges a nursing figure educated, with intellectual qualities and innate feminine qualities. A new image emerges, the first form of the structuring and recruitment of the professional group as characterized by dynamics of recognition inside and outside the profession. A nursing figure consisting of medical needs, centered above all on unexceptionable moral qualities but less so on the technical skills. The multidimensional and multidisciplinary analysis investigated the dynamics of a professional path that involved institutional, social, and individual levels.
Conclusions The analysis confirms the Italian professional historiography, adding a first definition of nursing characteristics and professional structuring, a rigorous contribution to the history of the profession, as well as the construction of a conceptual model that could be the key to understand future professional intellectual challenges.
Keywords: registered nurses, nursing characteristics, gender, nursing figure


INTRODUZIONE
La storia dell’assistenza infermieristica è uno strumento fondamentale per recuperare l’origine e lo sviluppo dell’identità professionale (Sironi, 2012), restituendo alla professione la sua evoluzione storico-culturale e individuando le radici su cui si fonda la moderna assistenza (Manzoni, 2016).
Manzoni (2016) afferma che comprendere attraverso le fonti come e perché siamo passati dall’esperienza personale dei riformatori e di Florence Nightingale e dalle direttrici di scuola convitto per infermiere a una disciplina scientifica significa capire l’uomo con le sue necessità di assistenza infermieristica.
Il presente lavoro concentra la propria attenzione sull’immagine delle infermiere diplomate o professionali, così qualificate dal Regio Decreto Legge del 15 agosto 1925, n. 1832 (ricomprendendo in esse da qui in poi le caposala, le direttrici infermiere e le assistenti sanitarie visitatrici) durante il fascismo, in particolare dal 1935 al 1938, anni caratterizzati da ricche trasformazioni e marcate contraddizioni, durante i quali le donne vivevano in una condizione di piena subordinazione (De Grazia, 2007).
Fonti secondarie ritraggono il ventennio fascista, come un periodo storico la cui organizzazione sociale era basata sulla separazione tra ruolo femminile e maschile, da cui derivò l’inammissibilità da parte delle donne ad accedere a occupazioni ritenute “naturalmente maschili”. “Il fascismo propose un modello femminile, quello di moglie e di madre prolifica, funzionale alla creazione dello Stato totalitario, che doveva però fare i conti con la presenza delle donne in tutti i settori lavorativi. Il regime agì con la propaganda, l’educazione, l’organizzazione di associazioni strettamente legate ai lavori femminili, e con provvedimenti legislativi al fine di fare accettare alle donne una riduzione dello spazio lavorativo a quei settori di cura considerati adatti alla natura delle donne” (Ropa et al., 2010).
Ropa et al. (2010) affermano quanto sostenuto da Giovanni Gentile, che “la donna idealmente è madre prima di essere tale naturalmente. Madre per i figli, per i fratelli, per gli infermi […]”.
Sembra delinearsi un parallelismo tra ruoli rigidi e predeterminati per la donna e gli schemi di una figura infermieristica concepita e normata in base al genere.
Dalla storiografia emerge inoltre come il fascismo abbia enfatizzato l’immagine dell’infermiera signorina veicolata in origine dall’opera di Florence Nightingale (De Paola, 2015). In particolare, “[…] la naturale predisposizione della donna a essere infermiera diventò un fattore determinante nell’impostazione data alle scuole di preparazione professionale nate sul suo esempio […]” (Fiumi, 1993). Secondo la convinzione che “la donna sarebbe infermiera per vocazione naturale” (Ciccone, 2009), il governo fascista confermò quanto previsto dal RD del 15 agosto 1925 e quindi la preclusione agli uomini dell’accesso alle scuole convitto che rimasero per signorine infermiere.
Si tratta di un orientamento che era stato seguito anche in precedenza dalla commissione ministeriale sulla riforma infermieristica del 1918 (Sironi, 2012). Al contrario, il regolamento per il personale salariato degli ospedali e dei manicomi del 1921 prevedeva anche per i maschi la possibilità di accedere ai corsi istituti dalle amministrazioni ospedaliere (Dimonte, 2007).
La successiva impostazione ideologica fascista si sarebbe mossa ancora in controtendenza, con la sparizione della figura maschile nell’assistenza (Manzoni, 2001) e la costruzione di un’immagine infermieristica intrinsecamente legata a valori e prerogative femminili (Fiumi, 1993).
La sostituzione di personale maschile con quello femminile, la cui maestranza era meno costosa, fu una delle misure che il fascismo adottò nei primi anni dalla sua instaurazione per contenere la grave crisi economica ospedaliera che ebbe origine negli anni di belligeranza, in seguito alla pressante richiesta di cure dei feriti della grande guerra. Tra gli interventi di taglio di spesa finanziaria si ricordano ospedali sfollati, nosocomi e comuni obbligati a revisionare e restringere i criteri di ospedalizzazione per contrarre le uscite, licenziamenti di personale in esubero (Preti, 1984). Ad acuire questa difficile situazione in termini di economia sanitaria fu l’avvento di un nuovo quadro di assistenza ospedaliera che assunse carattere di dinamismo, in seguito a “[…] importanti progressi in campo medico e farmaceutico. Particolarmente notevoli risultano poi i progressi nel campo della chirurgia, progressi che aprono all’attività ospedaliera nuovi, più ampi orizzonti, contribuiscono a darle un prestigio per l’innanzi quasi sconosciuto” (Preti, 1984). Sulla scia di questo nuovo orizzonte costituito da innovative cure mediche, parallelamente si avvertì l’esigenza di una riforma assistenziale italiana, che mosse i suoi primi passi con l’istituzione nel 1918 di una commissione, la stessa precedentemente enunciata, che ritraeva conclusioni non troppo distanti da quelle emerse da un’indagine condotta da Anna Celli nel 1908. Si “[…] mettevano in evidenza i vari risultati conseguiti dalla Riforma in Gran Bretagna e si auspicava l’applicazione anche nel contesto italiano dei principi della Riforma, specie in merito alla formazione del personale infermieristico […]” (Baccarini, 2015). L’esigenza di una nuova figura infermieristica si concretizzò almeno a livello normativo con il RDL n. 1832 del 1925 e con il regolamento di attuazione RD n. 2330 del 1929, prevedendo del personale tecnicamente e moralmente preparato rispetto al passato (Fiumi, 1993).
In realtà il binomio donna e assistenza rimase un progetto difficile da realizzare per il regime, la lenta formazione delle infermiere diplomate nelle scuole convitto, così come quella delle assistenti sanitarie visitatrici (d’ora in poi ASV), riservate al solo genere femminile, non permetterà la graduale sostituzione del personale maschile, la cui presenza sarà destinata ad assolvere al compito di assistenza diretta dei malati.
Fu per opera dei Fasci femminili (una struttura che raggruppava tutte le organizzazioni femminili del tempo), che nel 1929 vide al suo interno la nascita dell’Associazione infermiere diplomate e assistenti sanitarie, che nacque il germe da cui derivò il sindacato di categoria. Nel 1931 l’Associazione passò dai Fasci femminili alla Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, rappresentando un primo riconoscimento ufficiale della professione. Infine, nell’anno 1933, le infermiere diplomate ottennero il riconoscimento giuridico di sindacato e con il Decreto del 23 giugno 1934, la Commissaria nazionale fu una delle due donne chiamate a far parte della Corporazione sanitaria e una delle sole cinque che rappresentarono l’elemento femminile al Consiglio delle corporazioni (la direzione de L’infermiera italiana, 1935).
Sebbene la storiografia offra spunti di lettura sull’immagine dell’infermiera donna nel periodo fascista, a oggi non esistono studi di ricerca infermieristica volti, come indicato in Polit et al., (2014) a raccogliere con sistematicità dati attraverso una loro valutazione critica.

Obiettivo
Descrivere l’immagine dell’infermiera diplomata, quale donna, nel periodo dal 1935 al 1938, anni in cui venne pubblicata la rivista L’infermiera italiana.

MATERIALI E METODI
Per raggiungere l’obiettivo della ricerca è stata utilizzata una fonte primaria, l’unica rivista di categoria dell’epoca, L’infermiera italiana, organo ufficiale del Sindacato nazionale fascista delle infermiere diplomate, edita dal 1935 al 1943. Beccaluva et al. (1986) precisano la sua precedente esistenza quale organo di stampa presso l’Associazione nazionale italiana tra infermiere (ANITI), che nel 1933 in seguito agli eventi politici di irregimentazione fascista fu trasformata in Sindacato fascista delle infermiere diplomate e assistenti sanitarie. La rivista, per gli anni oggetto di analisi, 1935-1938, è stata reperita integralmente presso la biblioteca nazionale centrale di Firenze.
Gli articoli selezionati, assemblati in un unico file-corpus, ai fini della ricerca hanno delineato lo scenario storico prebellico attraversato dalla nazione. Come ricorda Gentile (2012) questo periodo fu caratterizzato dal consolidamento organizzativo dei diversi apparati burocratici su cui permeava l’ideologia fascista e dal forte attivismo nella politica sociale attraverso provvedimenti di rilancio del ruolo dei sindacati. Nel nostro caso fu dato forte slancio al Sindacato nazionale fascista delle infermiere diplomate all’avvio delle scuole convitto. La fase di accelerazione totalitaria ha culmine con le leggi antisemite del novembre 1938.
La metodologia utilizzata nella presente ricerca è l’analisi qualitativa dei dati testuali con l’obiettivo di estrarre informazioni significative dalla rivista L’infermiera italiana, relativamente al focus di ricerca già precedentemente dichiarato. Si è pertanto avviata in prima istanza “[…] una particolare strategia di analisi denominata analisi automatica dei dati testuali attraverso il software open source Iramuteq […] le cui letture avvengono con modalità automatiche e consentono anche grazie alle analisi multidimensionali di arrivare a estrarre i mondi lessicali sottostanti […]” il corpus (Fraire et al., 2016).
L’analisi automatica dei dati testuali (AADT) si avvale della statistica testuale, le cui analisi basate sulle forme grafiche (consistenti in associazione informatica tra numerazione e ciascuna parola diversa) hanno la prerogativa di non essere vincolate alla lingua. Bolasco (2005a) asserisce che siamo di fronte a un approccio formale che favorisce i segni (significanti) per giungere al senso (in quanto insieme di significati) come rappresentazione del contenuto e che “il senso (significato/accezione) di una parola è determinato dalle altre che la circondano (asse sintagmatico), ma anche dalla selezione delle altre parole che possono rimpiazzarla nella stessa frase (asse paradigmatico); ossia dall’insieme delle parole che possono essere sostituite fra loro nel sintagma, senza modificare la struttura dell’enunciato, poiché ‘funzionano’ in maniera equivalente”.
Per brevità di esposizione si illustrano in maniera piuttosto sintetica le 7 fasi statistico-informatiche impiegate nell’AADT di cui si riporta la mappa concettuale (Figura 1). Per un maggior approfondimento si rinvia a quanto ampiamente illustrato da Fraire (1994, 2016).

Figura 1 - Mappa concettuale delle sette fasi statistico-informatiche di un'AADT (Fraire, 1994, 2016)

In prima istanza si è rintracciata e reperita la rivista L’infermiera italiana per le annate dal 1935-1938, con pubblicazione pressoché mensile contenenti articoli di vario genere inerenti la professione.
Procedendo ordinatamente e rapidamente in applicazione alla mappa concettuale (Figura 1) la prima fase ha comportato una scrematura di tutti gli articoli presenti nella rivista. Sono stati considerati pertinenti quelli inerenti le infermiere diplomate, ma anche quelli riguardanti le ASV e le caposala-direttrici (comunque infermiere diplomate, ma con un anno di studio aggiuntivo e differenziato come previsto dal RD 15 agosto 1925). Le une specializzate in ambito sociale (assistenti sanitarie visitatrici), le altre abilitate a funzioni direttive. Per tale motivo e per brevità di esposizione, con il termine “infermiere diplomate” si intenderà da qui in poi ricomprendere anche le ASV e le infermiere abilitate a funzioni direttive quindi le caposala e le direttrici. Inoltre sono stati inclusi nella ricerca tutti gli articoli che ritraevano più in generale la figura femminile del contesto storico-sociale del tempo, e quindi relativi al connubio tra immagine femminile propagandata dal regime con quella dell’infermiera diplomata. Sono stati infine considerati pertinenti tutti gli articoli relativi ai seguenti setting: ospedaliero, territoriale, di assistenza psichiatrica, nell’organizzazione sanitaria militare.
Al contrario, sono stati esclusi quelli che avevano come oggetto di analisi altre professioni, quali il medico, le ostetriche, le assistenti sociali, le infermiere volontarie e della Croce rossa italiana (CRI).
Con riferimento alla seconda fase di analisi automatica dei dati testuali, è stata effettuata la creazione (editing) del file di testo, il corpus e il file di meta-variabili codificate a priori, quali: anno, autore, rubrica (quest’ultima quando presente), tutte collocate nelle stringhe di analisi prodotte per ciascun articolo analizzato (Tabella 1).

Tabella 1 - Nomenclatura delle stringhe di analisi concernenti l'editing del file di testo - 2^ fase statistico-informatica di un'AADT (Fraire, 2016)

In questa fase è stata effettuata una pulizia (nettoyage) del corpus seguendo le regole del software utilizzato, Iramuteq, scegliendo i separatori “forti” per riconoscere e separare le frasi.
Nella terza fase sono state effettuate codifiche a posteriori, scegliendo per il conteggio lessicometrico segmenti (frasi) che, come suggerisce Bolasco (2013), sono composti da un minimo di tre parole a un massimo di dieci.
E’ seguita la disambiguazione tramite lemmatizzazione (per il riconoscimento delle categorie grammaticali quali: aggettivi, verbali, articoli eccetera). Si è inoltre operato un bilancio lessicale, che include tabelle di frequenza di forme attive, supplementari, hapax (forme grafiche che si ripetono una sola volta). Il bilancio lessicale è stato inserito nella sezione “Risultati” dell’articolo.
Passando alla quarta fase si è scelta la tabella dei dati lessicali detta testi di contingenza. Per la scelta della metrica si è selezionata quella del χ² (quinta fase). Nella scelta del metodo di AADT è stata applicata la tecnica multidimensionale della cluster analysis e quella dell’analisi delle corrispondenze (sesta fase). Con la prima si intende “[…] un’analisi statistica multidimensionale attraverso cui si individuano le unità di contesto più simili e le parole caratterizzanti i mondi lessicali dei singoli cluster, classificando i temi che emergono dal corpus analizzato” (Fraire et al., 2016). Per l’analisi delle corrispondenze si è fatto riferimento alla tecnica di analisi dei dati per variabili categoriali, il cui procedimento di tipo fattoriale individua dimensioni sottese ai dati che sintetizzano le relazioni tra le variabili originarie costituite dalle parole o dalle categorie di parole presenti nel corpus in esame.
La settima fase ha offerto una restituzione di output numerici e grafici dei risultati, ci si è avvalsi dei dendrogrammi per la cluster analysis e dei piani fattoriali per l’ACM (Analisi delle corrispondenze multiple). Inoltre mediante il software Iramuteq è stato prodotto uno specifico grafico per il corpus lessicale, nella fattispecie la nuvola lessicale (wordcloud). Attraverso quest’ultima si è potuto apprezzare visibilmente la frequenza delle forme grafiche e quindi si è ottenuta una restituzione e rappresentazione immediata dei concetti oggetto di studio.
Per raggiungere l’obiettivo della ricerca è stato indispensabile spingersi verso una integrazione dei saperi disciplinari. Ci si è quindi avvalsi di quanto è a disposizione nelle scienze sociali, poiché “allargando lo sguardo ad altri programmi esplicativi e ai diversi metodi di cui esse fanno uso provvedono a fornire diversi tipi di spiegazione che non si escludono reciprocamente, ma conducono a forme di integrazione che possono contribuire a mettere in luce ciò che non sappiamo” (Giuliano e La Rocca, 2008). L’analisi qualitativa ha infatti condensato due diversi modelli di riferimento.
Il primo di tipo storico suggerito da Chabod (2012) e il secondo sociologico definito “Approccio integrativo” di Risman (2004) centrato sul genere inteso come struttura sociale.
Il metodo di ricerca storico indicato da Chabod, è stato utilizzato per l’accertamento dell’autenticità formale della fonte documentaria attraverso il suo esame estrinseco e intrinseco. Mediante il primo si è proceduto a un esame della rivista L’infermiera italiana indagando e accertando che la sua forma esteriore, i suoi caratteri (scrittura, stile, formule letterarie eccetera), abbiano coinciso con quelli propri del periodo storico oggetto di ricerca. Fatto ciò, si è proseguito all’esame intrinseco della fonte primaria, che ha previsto “un attento esame del contenuto del documento, allo scopo di determinare se non sia in contraddizione con fatti già sicuramente noti, con documenti coevi o precedenti di cui è appurata l’autenticità” (Manzoni, 2016). Stabilita l’autenticità della fonte, alla fase interpretativa prevista nel metodo Chabod, si è sostituita l’analisi dei dati testuali (ADT). Il fenomeno è stato letto tentando di “[…] mettere in relazione i fatti con il periodo storico a cui si riferiscono” (Manzoni, 2016).
Prima di procedere con l’illustrazione dell’“Approccio integrativo” di Risman, è bene chiarire il significato sociologico del termine “immagine” ovvero “quell’insieme di proprietà e attributi conferiti agli individui, frutto di una complessa interazione tra il piano individuale e quello sociale”. Si tratta di una “concezione generale della natura umana, dei motivi che orientano e determinano l’azione sociale e la condotta privata, del tipo e grado di rigidità o plasticità della persona, a fronte dei rapporti sociali e della cultura” (Gallino, 1988).
E’ necessario fare inoltre alcune precisazioni riguardo i concetti legati a quello di immagine, le cui sfumature nelle scienze sociali potrebbero generare confusione di significato, poiché nel linguaggio comune vengono utilizzati in maniera indistinta e talvolta impropria. Quando si parla di immagine, proiettata nella forma sociale lavorativa, si fa riferimento a un concetto che insieme ad altri definisce l’identità professionale. Quest’ultima è intesa come “[…] quella parte dell’immagine di sé derivante dall’appartenenza a un determinato contesto lavorativo, essa si concretizza nel fatto di frequentare quasi regolarmente un certo luogo di lavoro, di sviluppare una rete di relazioni tra colleghi, di impersonare un determinato ruolo, di svolgere specifiche mansioni e, in una prospettiva più in generale, di ricoprire una determinata posizione all’interno del sistema socio-economico e del mercato del lavoro” (Tonarelli et al., 2011).
E’ evidente come l’identità professionale contenga anche il concetto di ruolo, che pur non essendo analizzato nel presente articolo, merita per completezza una breve definizione. Esso è inteso come “l’insieme delle norme che convergono su un individuo che occupa una determinata posizione, in una più o meno strutturata rete di relazioni sociali. Le norme provengono da coloro che occupano posizioni collegate a quelle del soggetto in questione” (Gallino, 1988).
Giunti all’approccio concettuale elaborato da Risman (2004) centrato sulla questione di genere, è importante sottolineare quanto esso sia stato funzionale alla ricerca poiché il genere è considerato in campo sociologico parte del processo di costruzione dell’immagine, quindi esportabile alla questione delle infermiere diplomate, la cui attività era aperta alle sole donne.
La sociologa, Judith, nel 1994 ha sostenuto che “il sesso è un istituto che è incorporato in tutti i processi sociali della vita quotidiana e in tutte le organizzazioni sociali” (Risman, 2004). Il riprodursi di dinamiche sociali risiede nelle componenti culturali della struttura sociale che implica aspettative e definisce stereotipi. Per questi ultimi si intende “l’immagine o l’atteggiamento che si mantiene nei confronti di individui o di interi gruppi basandosi non già sull’osservazione e sull’esperienza ma su idee preconcette. Spesso gli stereotipi sono analizzati come aspetti del simbolismo dei rapporti sociali e di gruppo in quanto riflettono e perpetuano le divisioni sociali […]” (Seymour-Smith, 1992).
Secondo Risman, il genere va considerato come una struttura sociale che opera simultaneamente su tre livelli che lei definisce dimensioni. Tali dimensioni, tutte fortemente interconnesse tra loro e di egual importanza, sono state oggetto di indagine e hanno riguardato: il livello individuale, nello sviluppo della costruzione del sé legato al genere, il livello sociale ovvero il sistema delle interazioni sociali, delle aspettative culturali, delle norme di comportamento e quello istituzionale, concernenti le leggi, la distribuzione delle risorse e delle pratiche organizzative. Attraverso il livello istituzionale si è analizzato come il regime e l’ideologia politica fascista abbia creato condizioni sociali nell’organizzazione del lavoro, vincoli legali e leggi di categoria professionale, che hanno influenzato tutti gli addetti ai lavori in sanità, comprese le stesse infermiere, sull’immagine professionale prevista dalle istituzioni, riconosciuta e reputata più “idonea”, dalla quale hanno originato interazioni e aspettative socio-culturali.
Procedendo nell’analisi delle diverse dimensioni, si è tentato di comprendere se e in che misura le infermiere diplomate, le assistenti sanitarie visitatrici, le caposala e le direttrici, spinte dalla volontà di cambiare la propria immagine fortemente collegata al genere femminile, abbiano portato nelle relazioni sociali una diversa costruzione del sé creando nuove aspettative culturali. Ne è derivata come conseguenza, la possibilità di individuare la pressione esercitata dalle infermiere sugli apparati legislativi, organizzativi, amministrativi, burocratici, affinché fosse istituzionalizzata la nuova forma di immagine professionale legata al genere.
Infine si è giunti ad analizzare come le norme e le aspettative socio-culturali abbiano influenzato sia il singolo individuo/infermiera nella costruzione dell’immagine in relazione al genere, sia le istituzioni nel produrre un’organizzazione del lavoro. La caratteristica più importante di questo schema concettuale è il suo dinamismo. Si noti come nessuna dimensione determini univocamente l’altra.
Per l’analisi delle corrispondenze (AC), gli articoli, tenuto conto degli autori e delle rubriche (queste ultime di numero esiguo), sono stati associati in categorie secondo il framework adottato, che riproduce le tre dimensioni individuate da Risman: infermiera, ASV, caposala, direttrici, per l’aspetto individuale, i rappresentanti delle istituzioni per quello istituzionale e gli altri come componente sociale, per esempio pazienti, rappresentanti religiosi, soldati (Tabella 1).

RISULTATI
Il corpus utilizzato è costituito da 162 articoli e attraverso il bilancio lessicale (Tabella 2) è stato possibile valutare le prime caratteristiche.

Tabella 2 - Bilancio lessicale corpus 1935-1938

Ricordiamo che il corpus secondo Bolasco (2013) può essere o costituito da “testi frammenti” quali messaggi brevi, post di social network, blog, sms, focus interviste eccetera o costituito da testi interi: discorsi parlamentari, saggi, libri eccetera. In questo caso ci troviamo di fronte a un corpus che Bolasco definisce “testo-testo”, costituito da 112.611 occorrenze quindi sufficientemente stabile per poter effettuare statistiche multidimensionali quantitative (il minimo è 10.000 occorrenze per questa tipologia di corpora). Da una prima analisi grafica lessicale del corpus (detta wordcloud) riportata nella Figura 2 si possono apprezzare visivamente le frequenze percentuali delle occorrenze.

Figura 2 - Wordcloud percentuali frequenze delle occorrenze 1935-1938

La maggiore grandezza delle parole rappresenta il maggior uso nel testo di quelle che abbiamo definito parole chiave rendendo una sintesi semantica delle discussioni, o in altri termini “l’anima del testo”.
Si noti come dalla nuvola dopo l’occorrenza infermiere, che comunque mantiene il massimo della frequenza percentuale nelle diverse annate, vi siano le occorrenze: scuola, malato, allievo, sanitario, ospedale, assistenza, diplomare, convitto e sindacato, termini che sembrano indicare una maggiore attenzione verso la strutturazione della categoria professionale.
Seguono termini quali vita, lavoro, donna, professione, signorina, famiglia, giovane e sociale che sembrano richiamare le qualità e condizioni necessarie per lo svolgimento della professione.
Da un’analisi delle concordanze nel file-corpus emerge come al termine infermiera si leghino sia discorsi relativi alle competenze che a differenza della precedente figura generica sono sempre di dipendenza dal medico ma anche di collaborazione, sia discorsi di concetto sull’insegnamento e sull’importanza della selezione basata sulla verifica di qualità fisiche, psichiche e morali.
Al termine scuola vengono legati argomenti relativi alla selezione delle studentesse e all’importanza della creazione dei convitti. Interessanti le concordanze di medico, donna e morale. All’occorrenza medico si associano discorsi sulle competenze dell’infermiera che mettono però in luce sia l’importanza di questa figura sia la dipendenza dal personale medico con il quale l’infermiera collabora in condizioni di subordinazione, in tal senso non è ammissibile criticare o discutere quanto detto o fatto dal medico o pensare di poter consigliare un giovane medico. Al termine medico connotato sempre al maschile troviamo spesso affiancato il termine “devozione”, “devota” come qualità di una brava infermiera. Importante la condotta morale dell’infermiera che nei confronti del medico e del personale maschile in generale, in servizio e nei convitti deve essere moralmente irreprensibile.
Con l’occorrenza donna troviamo collegati discorsi inerenti la retorica fascista sul ruolo di madre, di cura e di supporto della società, qualità che devono essere presenti nelle donne infermiere che hanno scelto di essere operative in una professione che deve essere per le sue peculiarità femminile. La donna in questa visione ha maggiore tenerezza e propensione a occuparsi degli altri in virtù del suo istinto materno. Questo fa sì che solo donne di elevata qualità morale o le suore possano diventare infermiere. La donna viene descritta come paziente, operosa, modesta e silenziosa. Già in questa prima fase la fede religiosa (oltre che quella politica) è considerata condizione necessaria per lo svolgimento del compito assistenziale. Al termine morale in ultimo si associano discorsi legati al conforto morale del paziente o discorsi relativi alla morale dell’infermiera che doveva essere ispirata a valori cattolici quali la modestia, la carità, l’ubbidienza, il silenzio, l’operosità e una vita morigerata.
Costante è la retorica relativa alle qualità morali e di abnegazione da supportare anche attraverso sacrifici personali (stipendi bassi). Come contenuto nella Rivista “L’infermiera italiana” (1936), all’interno della Rubrica “Parte ufficiale” sezione “Ufficio di collocamento” vi è bandito un concorso per un posto di direttrice della scuola convitto professionale per infermiere di Ferrara, per il quale si offriva uno stipendio annuo di 6.500 lire lorde e in aggiunta vitto, alloggio, riscaldamento, indumenti di servizio, lavatura e stiratura della biancheria. Il “Sommario di statistiche storiche dell’Italia – 1861 al 1965”, documenta nello stesso periodo un compenso annuale di 7.226 lire per un usciere e di 5.924 lire annue per un inserviente, entrambi stipendi riferiti a dipendenti statali di sesso maschile, residenti nella capitale, coniugati con due figli a carico e con carriera civile ausiliaria. Dalla comparazione dei dati si evidenzia una ridotta remunerazione delle infermiere diplomate, nella fattispecie anche con funzioni direttive, che pur appartenenti a una professione intellettuale, di concetto e non più ausiliaria, sembrano risentire negativamente dell’esclusiva componente femminile di categoria. Il genere e i pregiudizi legati a esso, sembrano manifestarsi con tutta la loro forza, restituendo alla professione un’immagine minore e subalterna. Per ragioni di brevità, non è stato riportato il grafico dell’analisi delle concordanze, che rimane a disposizione, ma solo un sunto dello studio.
L’analisi statistica finora applicata assegna una certa rilevanza all’analisi delle percentuali di frequenza, ma questa prima fase rimane abbastanza grossolana. La frequenza infatti non dovrebbe essere considerata come una condizione necessaria e sufficiente per dare, come ricorda Bolasco (2013), valore alle diverse parole del corpus, poiché anche un hapax può avere un ruolo fondamentale per spiegare e comprendere un testo. E’ anche per questo che è stata effettuata una prima analisi delle concordanze di alcune parole considerate importanti ai fini dell’indagine e che avevano anche un’alta frequenza percentuale nei testi, per proseguire poi ad altre analisi delle concordanze volte a confermare e approfondire alcuni risultati della ricerca esplorativa. Si è deciso quindi di effettuare un’analisi confermativa attraverso l’analisi delle corrispondenze (AC di Benzécri). L’analisi della matrice “L” “consiste nel paragonare le parole e misurarne le relazioni di similarità per gruppi o coppie di profili” (Bolasco, 2013) attraverso la misura di associazione del χ².

Analisi multidimensionale 1935-1938

Figura 3 - Analisi delle corrispondenze (AC) delle rubriche presenti nel periodo 1935-1938 per l'individuazione dei fattori caratterizzanti le rubriche

Nel grafico (Figura 3) l’AC è stata effettuata proiettando nello spazio fattoriale le occorrenze secondo le rubriche della rivista presenti nelle annate 1935-1938. Dalla valutazione dei pesi fattoriali possiamo notare come il primo fattore (68,45%) parli di “istituzionalizzazione della figura dell’infermiera-donna”. Il secondo fattore (31,55%) rappresenti la “visione sociale dell’infermiera”. Si noti come la nuvola delle occorrenze sia separata in tre blocchi indipendenti tra loro, ciascuno incarna uno dei livelli/dimensioni postulati da Risman. Quello istituzionale di colore blu denominato “Organizzazione professionale”, quello individuale-professionale, di colore verde, denominato “Aspetto materno-assistenziale” e infine il livello sociale di colore rosso denominato “Infermiera/professionista”. In particolare si evidenzia rispetto al fattore 1, come le occorrenze blu (concorso, certificato, ministeriale, confederazione e corso) vadano ad avvicinarsi sempre più positivamente a quelle verdi (moglie, amico, bambino, lavoro, corsia, malato) fino quasi a convergere sulla stessa linea fattoriale. Ciò sembra tracciare il lungo percorso necessario per l’istituzionalizzazione della figura dell’infermiera. Un processo che per la sua realizzazione ha richiesto preliminarmente la realizzazione di strutture e organi entro cui collocare la categoria professionale e la definizione dei requisiti di accesso alla professione. Si parla quindi di un percorso che ha seguito due binari, un primo di esaltazione delle qualità materne, elemento che appare imprescindibile per l’esercizio della professione (presente nella rubrica “La paginetta rosa delle infermiere”, scritta a opera dell’Infermiera Fambri, Commissaria nazionale del sindacato fascista, si noti l’occorrenza verde Rosanna); l’altro binario di natura istituzionale spinge invece su una rigida e capillare costruzione di strutture e di percorsi formativi interni alla professione testimoniata dalla “Rubrica Paruff”, che incarna l’attività della Confederazione fascista degli artisti e dei professionisti. Le occorrenze “convitto” presso cui ruotava la vita della giovane allieva infermiera nel quale si formava (si veda infatti l’occorrenza “insegnamento” sul versante positivo) ed “essere” con riferimento alle inclinazioni personali del genere femminile posizionate in corrispondenza del fattore 1, restituiscono l’essenza dell’immagine dell’infermiera fascista. Dal lato positivo del fattore 1 emerge un aspetto molto rilevante, le occorrenze di colore rosso, quali: assistenza, Italia, professione, eccetera, che si posizionano perfettamente sul fattore 2 sembrano invece informarci di una visione sociale della figura dell’infermiera che rimanda a caratteri religiosi, ma anche al concetto di professione (si noti l’occorrenza “professione” e si veda la posizione della “Rubrica 0” che raccoglie un numero elevato di articoli scritti da pazienti e soldati).

Figura 4. Analisi delle Corrispondenze (AC) per le singole annate del periodo 1935-1938

Si è successivamente proceduto con l’AC proiettando nello spazio fattoriale le occorrenze presenti per le singole annate dal 1935 al 1938 (Figura 4). Il fattore 1 (39,99%) rappresenta i “Doveri/imperativi professionali dell’infermiera e dell’allieva infermiera” e il fattore 2 (31,67%) le “Prerogative istituzionali di accesso alla professione/formazione”. Procedendo in maniera ordinata, l’anno 1935 mostra rispetto al fattore 1 occorrenze di colore rosso denominate “Ideali/aspirazioni di assistenza” che si collocano per lo più nel quadrante negativo a eccezione delle parole santo e pietà. Da ciò emerge che il regime fascista tra i doveri professionali sembra esaltare gli ideali di sacralità e di pietà della figura dell’infermiera e dell’allieva infermiera, avendo un’attenzione più marginale verso la funzione vera e propria di assistenza da destinare alle cronicità del popolo italiano del tempo (si vedano i termini cronico, popolo e italiano). Il 1936 prende le distanze dalle altre nuvole di occorrenze, facendo presumere un forte richiamo all’esercizio della professione.
Le occorrenze dell’anno 1936 sono: aspirare, conquistare, certificato, concorso, denominate “Esercizio della professione” (di colore verde), collocate nel lato positivo delle due linee fattoriali, da ciò emerge l’attività del Regime che definisce le modalità di reclutamento verso una professione che annuncia il suo rinnovamento. Ritorna inoltre l’elemento religioso attraverso l’occorrenza monsignor.
L’anno 1937 si compone di occorrenze (di colore blu) nominate “Riconoscimento professionale” e vede la presenza della parola impiegatizio, con certo riferimento all’attribuzione alle infermiere diplomate della qualifica di impiegata concessa dal Ministero delle corporazioni. Un riconoscimento che trova riscontro nel bisogno di distinzione formale e sostanziale dagli infermieri generici (di ambo i sessi) che disimpegnano prestazioni manuali, con esercizio delle “arti ausiliarie”, inquadrati nel Ministero delle industrie. Le infermiere professionali rispondono da ora in poi al Ministero dell’interno. L’anno 1938 è costituito da una nuvola di occorrenze di colore viola nominata “Organizzazione professionale e formativa”. Di seguito le occorrenze che si raccolgono intorno alla linea fattoriale 1 sul settore positivo quali: capacità, insegnamento, turno, reparto, che sembrano sottolineare gli imperativi professionali di un’infermiera diplomata nell’ambito della sua corretta attività. Dal lato negativo vi è l’occorrenza test, un metodo francese di selezione delle infermiere tanto biasimata dal regime, a cui si recrimina la difficoltà di valutazione delle qualità morali dell’aspirante infermiera.
Un ulteriore passo per approfondire l’analisi dopo aver collocato sulle mappe fattoriali le occorrenze secondo le annate e le rubriche presenti nel primo periodo di analisi (1935-1938), è stato quello di procedere in maniera automatica (non supervisionata-esplorativa) a un cluster analysis al fine di ottenere dei gruppi con la massima similarità interna accomunati da un lessico specifico e caratteristico delle diverse tipologie individuate. In questo caso abbiamo individuato 5 cluster riportati per sintesi in forma grafica (Figura 5).

Figura 5 - Cluster analysis - Dendrogramma lessicale

Il primo cluster è caratterizzato dal 27,8% di occorrenze differenti ed è stato nominato “Formazione”. Raccoglie tutta una serie di occorrenze/discorsi del regime relativi alla strutturazione di un percorso formativo ordinato e incardinato entro disposizioni di legge.
Il secondo cluster “Dimensione femminile/familiare” (20,8%), raccoglie l’esaltazione del regime di tutte le inclinazioni e doti esclusivamente femminili, che giustificano l’esercizio dell’attività lavorativa di natura assistenziale, l’unica concessa strumentalmente alle donne. Il terzo cluster (12,7%) offre uno spaccato sulla “Realtà professionale”, vi è una elencazione di attività che il regime e l’infermiera collocano come proprie e per le quali essa viene debitamente formata all’interno delle scuole convitto.
Il quarto cluster (26%) “Propaganda/retorica fascista” idealizza la nuova figura d’infermiera, che per le sue naturali inclinazioni di donna, per la sua moralità, dignità, e in nome della grandezza nazionale offre un’opera di carità in seno alla società. La vita professionale si sovrappone alla sfera privata. La patria affida alle infermiere un compito nobile, una missione di assistenza. Si tratta di una politica lusinghiera di aspirazioni economiche e sociali della classe infermieristica dalla quale cerca consenso.
Il quinto cluster (12,8%) “Struttura corporativa” fa un esplicito richiamo alla macchina burocratica della Corporazione fascista degli artisti e dei professionisti dentro cui vive il Sindacato delle infermiere. Emergono i personaggi di spicco di questa complessa organizzazione quale l’On. Pavolini, presidente della Confederazione, Rosanna Fambri, infermiera Commissaria nazionale del sindacato delle infermiere.
Si è poi deciso di procedere con una ACP proiettando sul piano fattoriale i quattro mondi lessicali emersi attraverso la cluster esplorativa (Figura 6).

Figura 6 - Analisi in componenti principali (ACP) dei cluster lessicali per l’individuazione di una relazione tra i cluster

La prima importante osservazione è inerente il cluster 5 denominato “Struttura corporativa” che si stacca dagli altri, mostrando il consolidamento della struttura organizzativa professionale, rappresentata dal Sindacato nazionale fascista delle infermiere diplomate e delle ASV e dagli organi e funzioni che ruotano intorno a esso. Altro aspetto rilevante è la sovrapposizione sul piano fattoriale di cluster che si fondono due a due, nello specifico 1 e 4 rispettivamente “Formazione” e “Propaganda/retorica fascista”, e i cluster 2 e 3 nominati “Dimensione familiare/femminile” e “Realtà professionale”. Nei primi due emerge un regime che pur postulando l’esercizio della professione come un atto dovuto dalla donna nei confronti della patria, sembra focalizzarsi sulla definizione di un programma formativo che sia all’altezza dell’ambizioso progetto di riforma assistenziale. Prova ne è il DM del 30 settembre 1938 (Parte Ufficiale de L’infermiera italiana, 1938) concernente i nuovi programmi di insegnamento e di esame delle scuole convitto, che sembrano essere necessari a una migliore assistenza infermieristica e a una nuova immagine dell’infermiera. Tra gli altri due cluster, 2 e 3, si evince una stretta interdipendenza, da un lato rappresentata da una realtà professionale scandita da una serie di competenze dell’infermiera diplomata, ma nella quale permea la dimensione femminile che dalle mura domestiche appare prolungarsi all’interno degli ospedali o nelle sedi dove l’ASV svolge l’attività territoriale.
Sul primo fattore che potrebbe essere denominato “Ideali di genere/ideale professionale” (e spiega il 34% della variabilità totale), nel lato negativo troviamo, la “Realtà professionale”, così come il cluster della “Dimensione familiare/femminile”. Ideali che necessitavano di chiarezza e che esigevano un intervento normativo, avvenuto poi con il RD del 2 maggio 1940 n. 1310 di determinazione delle mansioni delle infermiere professionali di genere femminile e degli infermieri generici, di ambo i sessi (legislazione infermieristica de L’infermiera italiana, 1940). La formazione invece si dispone in positivo rappresentando l’elemento di slancio verso una figura professionale di donna colta, pur tingendosi di propaganda (si vedano alcune delle occorrenze blu, cluster 4). Per quanto riguarda il fattore 2 “Dottrina/principi della nuova figura di infermiera” sul lato negativo emerge un insegnamento (cluster 1 “Formazione”) in cui si mescola la retorica e il misticismo (si veda l’occorrenza “spirito” di color blu). Sul versante positivo troviamo la realtà professionale, ovvero tutte le attività dell’infermiera diplomata, alla quale si affiancano occorrenze inerenti la “Dimensione familiare/femminile” che l’infermiera sembra accordare.
L’analisi si conclude proiettando nello spazio fattoriale rubriche, annate, autori degli articoli che vanno a inserirsi nei diversi cluster in precedenza analizzati, per avere così una lettura completa ed esaustiva dell’immagine dell’infermiera-donna (Figura 7).

Figura 7 - Analisi in componenti principali (ACP) con proiezione fattoriale delle annate, rubriche, autori, anni 1935-1938

Iniziando con l’interpretazione dei dati il cluster 4 “Propaganda/retorica fascista” si inserisce nel 1935 sovrapponendosi al fattore 2 “Dottrina/principi su cui si fonda la figura dell’infermiera”, un’intensa attività di persuasione alla professione e di esaltazione dei principi morali attraverso cui si fondava e strutturava la nuova figura dell’infermiera-donna. Sul lato negativo del fattore 2 si collocano le ASV, le commissarie interprovinciali delle infermiere, il direttore generale della croce rossa italiana, Oscar Davanti, che ne rappresentano in senso negativo gli autori. Così come il direttore dell’ufficio igiene e sanità (aut_Duis) e il presidente della Confederazione dei Professionisti e degli Artisti (aut_Pcpa), che vanno a mescolarsi nel cluster 5 “Struttura corporativa” rappresentando l’anima della propaganda. Continuando con l’analisi nel cluster 2 “Dimensione femminile/familiare” il 1936 si pone in corrispondenza del fattore 1 (34%) “Ideali di genere/ideali professionali”. Un anno questo in cui appare forte l’accento sulla dimensione materno-professionale. Si colloca negativamente la Rubrica “La Paginetta rosa dell’allieva infermiera” (rubr_paginf), scritta per opera di Rossana Fambri, infermiera Commissaria nazionale del sindacato delle infermiere diplomate (aut_Icnsid) e indirizzata alle allieve infermiere. Si precisa che Fambri era una delle due donne che con Decreto del 23 giugno 1934 fu chiamata a far parte della Corporazione sanitaria e una delle sole cinque che rappresentarono l’elemento femminile al Consiglio delle corporazioni. Presumibilmente si riconosce in lei una figura che veicola ideali di genere che sono espressione di una volontà politica centrale, dalla quale ha ottenuto la nomina. Ideali che rappresentano la donna come sorella e madre affettuosa, elementi che per le infermiere non sono esaustivi e inclusivi in una realtà professionale (si veda la collocazione dell’autore infermiera del cluster 3).
Nel cluster 3 “Realtà professionale” risultano collocarsi le infermiere diplomate (aut_Inf), il cui esercizio professionale sembra essere incardinato in precise mansioni.
Il cluster 5 nominato “Struttura corporativa” sembra costituire quel complesso burocratico entro cui nasce e si sviluppa il Sindacato nazionale fascista infermiere diplomate. Un’entità che attraverso la sua capillare organizzazione, costituita dai Sindacati interprovinciali e mediante atti normativi, contribuiranno alla strutturazione della categoria, nonché all’immagine dell’infermiera diplomata, comunque non scevra da ideali professionali e di genere, e da una dottrina che risponde ai nuovi criteri di assistenza del tempo. All’interno di questo cluster vi è l’anno 1937 e tra le rubriche la Parte ufficiale (rubr_paruff) riservata alla trasmissione di tutte le attività sindacali nonché circolari ministeriali, e la sezione “Ufficio di collocamento” per il reclutamento di infermiere diplomate, ASV, direttrici e caposala. Tra gli autori si annovera la direzione del sindacato (aut_Dir), il direttore di sanità pubblica (aut_Dgsp), il Ministro delle corporazioni (aut_Mc) eccetera.
Nel cluster 1 “Formazione” si noti come l’anno 1938 si sovrapponga al fattore “Dottrina/principi su cui si fonda la figura professionale” unitamente all’autore medico (aut_med). E’ come se i principi costituenti la figura dell’infermiera nascano da esigenze mediche e non da quelle infermieristiche. Questo è un dato molto significativo dal quale emerge la figura della nuova infermiera plasmata e influenzata dalla classe medica.

DISCUSSIONE
La ricerca ha mostrato l’importanza di un approccio multidimensionale e multidisciplinare attraverso il quale si è potuto giungere alla descrizione e comprensione di un concetto molto complesso e articolato come quello di immagine professionale, al quale va ad aggiungersi una questione di genere, legata all’esclusività della donna alla professione. L’integrazione metodologica delle scienze infermieristiche a quelle sociologiche e storiche, nonché l’applicazione di un framework basato sul genere, mostra soprattutto attraverso l’ACP (analisi delle componenti principali) la dinamicità di un percorso professionale che ha coinvolto con grande forza e con carattere di interdipendenza livelli istituzionali, sociali e individuali nel contesto italiano del 1935-1938.
Tra i mondi lessicali soggiacenti ai corpora è emerso il parallelismo tra creazione di una nuova immagine d’infermiera e la strutturazione della categoria professionale. Il progresso tecnico-scientifico-sanitario dal primo dopoguerra sollevò l’esigenza di una diversa assistenza infermieristica, che fosse in grado di dare una risposta ai nuovi bisogni di cura. Si delinea quindi una nuova immagine di infermiera, ora colta, socialmente più elevata e con una formazione specifica di almeno due anni nelle scuole convitto. A questo diverso quadro sanitario si affiancò la spinta di un femminismo pratico che attraverso l’attività filantropica e assistenziale “[…] si proponeva come esempio per orientare l’attività riformatrice dello Stato e si specializzava sempre più, tanto da far intravedere le prime forme di professionalizzazione del lavoro sociale che sarebbero maturate dagli anni venti in poi” (Bartoloni, 2012). Un’occupazione rivendicata dai gruppi femministi, in segno di un riconoscimento dei diritti della donna, che il regime strumentalmente accolse per liberare posti di lavoro nelle fabbriche da destinare agli uomini e soprattutto perché così le visitatrici fasciste potevano portare la propaganda nelle case di milioni di famiglie durante la distribuzione di latte in polvere per i neonati (Willson, 2011).
L’analisi sistematica dei quattro anni del ventennio fascista mostra i suoi primi passi verso un percorso che Dubar (1994) definisce di strutturazione di un gruppo professionale, il cui processo prevede anzitutto e improrogabilmente un riconoscimento interno alla categoria al livello della propria specificità professionale. Segue poi la possibilità di essere riconosciuti dall’esterno, ovvero dagli altri gruppi sociali per la determinazione di un ambito d’azione e di competenze in specifiche aree. Infine l’abilità alla difesa del gruppo (con riferimento ad azioni che intendono, a ragion veduta o meno, contrastare l’ingerenza di categorie professionali o di amministrazioni di mercato in un campo considerato proprio) e la determinazione di valori partecipati rappresenta una pratica identitaria. Dinamiche che sembrano per la prima volta affacciarsi alla professione a partire dal 1925, quando si delinea la figura professionale attraverso la nascita di un percorso formativo nelle scuole convitto che al suo termine rilasciava un diploma e abilitava alla professione; nascono strutture organizzative entro cui la categoria veniva collocata, si definiscono i requisiti minimi di reclutamento alla professione; vengono emanati i programmi di studio che delineano la figura di infermiera professionale e ASV. Tutti elementi per una prima differenziazione e specificità del gruppo professionale, che negli anni prende sempre più le distanze dalle infermiere generiche. Si ricorda il provvedimento emanato dal Ministero delle corporazioni che in data 22 giugno 1937, oltre ad accordare alle infermiere professionali la qualifica impiegatizia, nel distinguere le diplomate dalle infermiere generiche recitava testuali parole: “[…] ai sensi dell’art. 99 del TU delle leggi sanitarie, tra le professioni sanitarie ausiliarie è compresa quella di infermiera diplomata; […] le infermiere diplomate, per il loro grado di cultura e preparazione tecnica, non possono essere equiparate agli infermieri generici, muniti di semplice attestato di abilitazione ai sensi delle disposizioni transitorie della legge 23 giugno 1937 n. 1264; le infermiere diplomate, sia pure in rapporto di dipendenza, esplicano mansioni di collaborazione e di concetto, mentre gli infermieri generici disimpegnano prestazioni manuali, proprio degli artigiani ausiliari dei professionisti; appare equo attribuire alle infermiere diplomate la qualifica impiegatizia” (Parte Ufficiale de “L’infermiera italiana”, 1937).
Concludendo si ritiene importante sottolineare che per alcuni articoli (reputati rilevanti ai fini della ricerca) si è reso impossibile inserire nella stringa di analisi l’autore, perché non presente in calce al testo. Dalla disamina dei corpora si è potuto comunque dedurre, seppur con qualche esitazione, la loro collocazione nella dimensione sociale del framework di Risman. Nel dubbio di un’errata assegnazione, si è comunque favorita l’inclusione dei testi in questione, evitando di perdere dati significativi. Si tiene a precisare che gli articoli in questione sono in numero esiguo, si parla di 6 articoli su 156, ovvero il 3,9% sul totale dei corpora.

CONCLUSIONI
Dalla ricerca emerge un dato molto importante che va oltre l’incompleta attuazione della riforma assistenziale e la ridondante esaltazione del Regime di doti femminili e di elevate qualità morali e meno delle competenze tecniche. Siamo di fronte alla nascita di una prima forma di strutturazione di categoria professionale a cui parallelamente si affiancò un’immagine di infermiera-donna che il regime istituzionalizzò attraverso norme legislative. Una nuova identità catalizzata da dinamiche interne di autorappresentazione e da quelle esterne attraverso aspettative sociali e culturali, nate sulla spinta di un progresso medico-scientifico che esigeva una nuova forma di assistenza.
I risultati ottenuti nella presente ricerca, di descrizione dell’immagine dell’infermiera-donna nel periodo fascista, 1935-1938, rappresentano uno studio sistematico primario che conferma quanto in parte presente nella letteratura secondaria, ma per la prima volta attraverso l’applicazione di un metodo scientifico rigoroso e della lettura di un complesso e articolato fenomeno sociale applicato alla realtà professionale delle scienze infermieristiche. Si aggiunge quindi un sapere scientifico alla storia della professione.
A completamento di tale studio, si ritiene opportuno indagare l’immagine delle infermiere diplomate nelle restanti annate del periodo fascista, dal 1939 al 1943, periodo in cui la rivista “L’infermiera italiana” continua la sua pubblicazione, per poi cessare nel luglio 1943 in coincidenza della crisi del Regime fascista e con lo sbarco degli alleati in Sicilia.
Inoltre la costruzione e applicazione di un modello teorico definito “approccio integrato” di Barbara J. Risman, legato al genere, permette di giungere a nuove conoscenze almeno fino all’ingresso degli uomini nella professione nell’anno 1972 e comunque fino ai nostri giorni. Capone (2017) indagando sull’immagine sociale e professionale dell’infermiere dal punto di vista dei cittadini, seppur in presenza di una limitata dimensione campionaria, rileva che l’associazione stereotipata tra infermiere-donna valga ancora per il 30% del campione a cui è stato somministrato un questionario. Egli evidenzia inoltre che gli aspetti relazionali della figura d’infermiera prevalgono sulle conoscenze tecniche, gli infermieri infatti vengono descritti con connotazione positiva per il 45,6% per le loro capacità relazionali (gentile, cortese, educato) e per il 35% a quelle tecnico professionali (competente, esperto, capace). La percezione pubblica dichiara la figura d’infermiere affidabile e onesta, ma al contempo non le vengono riconosciute a pieno le sue competenze, le conoscenze necessarie, e le sfide intellettuali. Risultati che non sembrano ancora sganciarsi completamente da una rappresentazione sociale d’infermiera che a partire dal fascismo acquisì connotazione di professionalità per le qualità morali e meno per le competenze intellettuali legate alle conoscenze scientifiche e alla tecnica. Ciò richiede una riflessione interna alla professione e un conseguente agire, nella misura in cui, come ampiamente discusso la percezione pubblica dell’immagine dell’infermiera condiziona il modo in cui gli infermieri percepiscono la propria immagine. Non si sottovaluti ciò che Dignani (2014) afferma “un’immagine sociale basata su stereotipi a connotazione negativa non solo riduce l’attrazione che la professione infermieristica ha nei confronti dei nuovi aspiranti, ma determina negli infermieri stessi frustrazione, stress e insoddisfazione lavorativa, e aumenta l’intenzione di abbandono nei diversi contesti lavorativi. L’autopercezione di un’immagine negativa da parte degli infermieri risulta associata alla riduzione delle performance lavorative con dirette ricadute sulla qualità dell’assistenza erogata. La promozione di un’immagine positiva risulta, pertanto, di fondamentale importanza per la professione infermieristica e per gli esiti assistenziali”.
Per valutare il contributo che la presente ricerca può offrire alla professione occorre analizzare due aspetti: la reciprocità tra dimensione sociale, istituzionale e individuale nella costruzione di immagine professionale e i suoi riflessi sul piano assistenziale. Secondo Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini Professione Infermieristica (FNOPI) sono prioritarie le sinergie con le associazioni dei cittadini, è necessario interfacciarsi con le politiche nazionali, locali, sviluppare sinergie con le rappresentanze sindacali e ordini professionali, essere parte dei tavoli di confronto con le Università. Questo per una visibilità ad ampio raggio dell’immagine dell’infermiere, che renda sempre più consapevole le politiche sanitarie, la società civile dell’infungibilità di una figura che concorre attivamente al soddisfacimento dei bisogni di cura della persona.
Inoltre è utile fare proiezioni per definire l’immagine professionale che si profilerà in un futuro prossimo. Ciò congiuntamente all’analisi di una serie di variabili (sociali, economiche, culturali, di progresso tecnico-scientifico-sanitario, di genere, delle nuove modalità di suddivisione del lavoro, ecc…) per stimare i bisogni di assistenza e orientare con anticipo la formazione, il fabbisogno e tracciare parallelamente all’identità della figura dell’infermiere i nuovi elementi di strutturazione di categoria professionale.

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Bibliografia

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