Pronto soccorso. Storie di un medico empatico


Pronto soccorso. Storie di un medico empaticoSi impara di più da ciò che si ricorda o da ciò che si è dimenticato? Contrariamente alla risposta di senso comune, preparatevi a una sorpresa: da un’amnesia può venire un insegnamento molto importante. Più precisamente: da un’amnesia può derivare la presa di coscienza che la professione infermieristica nella nostra società ha attraversato una mutazione molto significativa; e ciò ha portato a un cambiamento nelle relazioni tra coloro che, a diverso titolo, esercitano la professione di cura.

Ma procediamo con ordine. All’inizio c’è un infausto incidente automobilistico. Ne è vittima, alla fine del mese di maggio 2013, il dott. Pierdante Piccioni. E’ primario di pronto soccorso nell’ospedale di Lodi. Le notizie le abbiamo di prima mano, perché ha scritto un libro, intitolato appunto Pronto soccorso (Mondadori, 2017). L’incidente è solo l’antefatto: il libro racconta la sua vita ospedaliera, due anni dopo l’evento, quando ha ripreso il ruolo di primario in un altro pronto soccorso. Dall’incidente ha avuto salva la vita, anche se ha dovuto intraprendere un percorso riabilitativo che lo ha messo in grado di riparare i danni subiti. Tutti, meno uno: il trauma gli ha procurato un’amnesia, che ha cancellato 12 anni della sua vita. Quando si è risvegliato dal coma, per lui era come se fosse il 25 ottobre 2001, il giorno in cui ha accompagnato a scuola suo figlio che compiva otto anni. Gli anni che decorrono dal 2001 al 2013 sono evaporati, irrimediabilmente scomparsi. Anche questo aspetto autobiografico Pierangelo Piccioni l’ha raccontato in un libro: Meno dodici. Perdere la memoria e riconquistarla: la mia lotta per ricostruire gli anni e la vita che ho dimenticato (Mondadori, 2016).

Numerosi e vivaci sono gli episodi di quotidiana vita professionale che Piccioni riporta in Pronto soccorso, quando ha ripreso la sua attività di primario. A buon diritto, il libro reca come sottotitolo: “Storie di un medico empatico”. Tra le tante piccole-grandi vicende che hanno luogo in pronto soccorso, ne evidenziamo una che ci riporta alla questione da cui siamo partiti: quanto si può imparare da ciò che non è più presente nella nostra coscienza. La vicenda è, a prima vista, banale. Un giorno il dott. Piccioni è chiamato per analizzare un paziente che è caduto e ha un’amnesia transitoria. Per valutare la gravità del sintomo, il medico gli pone delle domande: il suo nome, la data di nascita, abitazione… Tra i dati che gli sottopone per conferma, ne inserisce deliberatamente uno falso, una piccola trappola per controllare il suo grado di attenzione e memoria. Quando sente menzionare il dato sbagliato, l’infermiera presente interviene, correggendolo. Il medico le dice di tacere e prosegue con le sue domande a scopo diagnostico. Più tardi, quando rincontra l’infermiera, il primario si accorge che è offesa. Le spiega allora quale era il suo intento con la domanda sbagliata; senza riuscire, tuttavia, a cancellare il risentimento. “Neppure mio marito mi può ordinare di tacere”, gli dice l’infermiera. E prega il medico di non usare più con lei quel tono di comando perentorio.

Un piccolo aneddoto istruttivo. L’amnesia del medico ha coperto con un cono d’ombra ciò che nel frattempo è avvenuto nei 12 anni di buio nel mondo professionale infermieristico. Il medico si è rapportato con l’infermiera nel modo che era corrente prima del 2001. Ignorava che in quel periodo di tempo scomparso dalla sua mente e dalla sua esperienza gli infermieri sono cambiati. I modi di rapportarsi del medico con l’infermiere, che erano normali e non suscitavano reazioni negative in quell’epoca, ora invece sono diventati intollerabili. Potremmo parlare di un “fenomeno Rip van Winckle”, con riferimento a una pagina di letteratura molto cara agli americani. Il racconto di Washington Irving che immagina la vicenda narra di un colono della Nuova Inghilterra che un giorno va nel bosco, incontra dei singolari personaggi (fantasmi?) che gli fanno bere un loro liquore e si addormenta. Al risveglio torna al villaggio, dove trova tutto cambiato: la moglie è morta, la sua bambina si è sposata… In breve: Rip van Winckle aveva dormito 20 anni. Il succo del racconto sta nella data. Il sonno di Rip van Winckle è avvenuto a cavallo del 1776, anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti: si era addormentato come suddito inglese (e al risveglio si mette subito nei guai dichiarandosi suddito fedele di re Giorgio III…), per risvegliarsi come cittadino degli stati federali costituiti in repubblica.

Possiamo capire la pregnanza del racconto per gli americani. Ma, al di là dell’applicazione al sonno che rende inavvertiti i grandi cambiamenti storici e politici, lo possiamo riferire anche ad altre situazioni. Un fenomeno Rip van Winckle è anche – fatte tutte le debite differenze – ciò che ha vissuto il dott. Piccioni. Il buco nero della sua amnesia gli ha impedito di registrare il cambiamento epocale avvenuto nella professione dell’infermiere. Per riprendere a esercitare la sua professione ha dovuto aggiornarsi sulle innovazioni scientifiche. E l’ha fatto in modo soddisfacente: ha avuto solo qualche piccola difficoltà prescrivendo farmaci che nel frattempo erano stati tolti dal prontuario… Ma l’aggiornamento scientifico non basta: dovrà anche registrare i cambiamenti intervenuti nelle professioni di cura e nei ruoli rispettivi. Il sospetto è che siano numerosi i medici che, senza amnesia clinicamente diagnosticata, continuano a rapportarsi con gli infermieri come se la transizione dal ruolo subalterno che era loro tradizionalmente attribuito a professionisti della cura, a pieno titolo, non abbia avuto luogo.
 

Sandro Spinsanti

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