Il dolore alle soglie della vita – Dilemmi etici e necessità di dialogo in Terapia Intensiva Neonatale


Il dolore alle soglie della vita - Dilemmi etici e necessità di dialogo in Terapia Intensiva NeonatalePer chi “vive la TIN“ (Terapia Intensiva Neonatale), come professionista o come genitore, questo di Lucia Aite è un testo che definirei “necessario”. Necessario perché attraverso un sapiente intreccio di riflessioni teoriche e testimonianze “a più voci” suscita quel coinvolgimento, affettivo e intellettuale insieme, che accompagna chi legge ad immergersi nell’irriducibile e spesso drammatica complessità della TIN.
Il viaggio dentro la TIN che propone Aite rende evidente come questo sia un luogo, uno spazio-tempo dove in forma condensata e concentrata si vivono tutte quelle emozioni ed esperienze che connotano la vita di ogni essere umano. Ciò che può essere sperimentato lungo il corso di una vita, in TIN viene vissuto nell’arco di pochi mesi, talvolta settimane o giorni: nascita e morte, speranza e disperazione, potenza e impotenza, ma soprattutto attesa, sospensione, incertezza. Gli interrogativi costanti sono sul “che fare”, “cosa è giusto fare?”, “qual è il bene per questo bimbo, per questa bimba, per questa famiglia?”, “qual è il bene per nostro figlio, nostra figlia, la nostra famiglia?”, “quanto le scelte attuali condizioneranno in modo irreversibile gli scenari futuri?”. Domande che in contesti ordinari non sono altro che le domande educative fondamentali che accompagnano la crescita di ogni bambino e bambina, in questo contesto extra-ordinario diventano domande che implicano decisioni, azioni immediate e difficili in cui può accadere di smarrire il senso complessivo del proprio agire, di agire scelte non condivise, di sentirsi agiti dalle possibilità date dalle tecnologie che consentono di mantenere in vita nelle condizioni più estreme, “a tutti i costi”.

L’originalità del volume risiede in primo luogo nella struttura di dialogica che lo caratterizza. Ogni tematica viene affrontata partendo da testimonianze di professionisti e genitori su cui si innescano “riflessioni a più voci” di altri professionisti, tra cui anche filosofi e poeti, che attraverso il loro sguardo peculiare e particolare offrono ulteriori riflessioni e sfumature di senso.
Questa modalità di sviluppo dei contenuti trasmette la “necessità del dialogo in Terapia Intensiva Neonatale”, mostrando il valore della pluriennale esperienza degli “incontri a più voci” tra professionisti, medici, infermieri, psicologi, bioeticisti e genitori, istituiti e soprattutto mantenuti negli anni presso il Dipartimento di Neonatologia Medica e Chirurgica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.
Il percorso di accoglienza e di presa in carico dei piccoli e delle loro famiglie, spesso sin dalla gravidanza, è qui infatti documentato e testimoniato in ogni suo passaggio, mostrando con estrema concretezza come questi momenti di incontro siano uno strumento prezioso per orientare e sostenere sia la fatica quotidiana della cura in TIN, sia scelte più drammatiche e complesse come l’accompagnamento alla morte. Dar voce ai bisogni di “cura di chi cura” è infatti la condizione necessaria perché attraverso il riconoscimento e l’accoglienza non giudicante delle emozioni provate, attraverso la possibilità di pensarsi e sentirsi appartenenti ad un gruppo in cui elaborare e condividere scelte difficili ed estreme, sia possibile compiere nei confronti dei genitori e dei piccoli pazienti lo stesso movimento di accoglienza, accompagnamento e condivisione. E’ questo il messaggio forte che dovrebbe essere raccolto e messo in pratica non soltanto in ogni TIN, ma in ogni luogo di cura, per evitare che l’inevitabile carico di emozioni difficili non riconosciute, condivise ed elaborate le renda intollerabili, al singolo e al gruppo.

La TIN è anche un contesto in cui si impongono dilemmi etici e decisioni gravose: individuare il miglior interesse per ogni piccolo paziente, se e come mantenerlo in vita, a quali costi, se e come trasformare il percorso di cura in un accompagnamento alla morte che, pur nell’estrema intensità del dolore, consenta al bambino di vivere al meglio questo tempo di vita, ai suoi genitori di accompagnarlo nella consapevolezza del loro insostituibile ruolo.
Cruciale in questi processi il ruolo del bioeticista che si implica offrendo una consulenza etica radicata nel “tessuto autentico della vita” (Faggioni, pag. 251) e accompagna l’equipe attraverso un percorso che, permettendo e legittimando l’espressione “delle contraddizioni e delle incoerenze della vita privata e professionale”, conduce il gruppo verso decisioni condivise. “Davanti al neonato che versa in condizioni di estrema gravità l’operatore oscilla tra il sentire e il pensare, tra l’angoscia di morte che spesso spinge a fare tutto il possibile […] e l’interrogarsi, il riflettere sulle alternative e sugli scenari possibili che si hanno davanti. Si instaura una dinamica complessa, da cui si può venire travolti, quando l’angoscia spinge ad agire e non c’è nessuno con cui condividere la scelta e la responsabilità di fermarsi e chiedersi qual è il fine delle cure per quello specifico bambino” (Aite, pag. 111).
Prepararsi a vivere i “momenti estremi”, comunque connotati da una quota irriducibile di “solitudine e incertezza” (pag. 111), avendo interiorizzato come singolo e come équipe la consapevolezza che le cure palliative possono coincidere con il miglior interesse del bambino e della famiglia consente agli operatori di sostenere i genitori in questo percorso, nella consapevolezza di quanto sia per loro cruciale aver impresso nel cuore e nella carne la certezza di aver accompagnato il loro bambino nel miglior modo possibile. “Curare non è solo combattere, è anche e profondamente imparare ad ascoltare, a essere con l’altro, a stare, comunque, ad accettare, nel confronto col limite che ci costituisce” (Galeazzi, pag. 123).
La Aite mostra una TIN che si colloca nella prospettiva di Family Centred Care (FCC) e pone le premesse per ulteriori ampliamenti di prospettive quali quelle di Family Integrated Care (FiCare) in cui i genitori, sin dall’inizio sono protagonisti attivi, coinvolti nella cura del loro bambino. E’ da chiedersi infatti quanto questa evoluzione della cura in TIN possa aver successo proprio in contesti come questi in cui la consuetudine delle “riflessioni a più voci” può configurarsi come solido fondamenta. E’ questo un testo utile per supportare e motivare le équipe che già operano in queste prospettive, per motivare all’urgenza di un cambiamento di prospettiva in quelle ancora lontane.
Coinvolgere i genitori, considerarli realmente protagonisti attivi nella cura del loro bambino implica infine la necessità di riconsiderare la centralità del ruolo dell’infermiere. Come ben osserva Chiara Rogora, in un contesto di TIN in cui non vi è sin dall’inizio un coinvolgimento dei genitori e gli accessi sono limitati “I genitori spesso arrivano in TIN ‘in punta di piedi’, timorosi, spaventati […]: non hanno uno spazio, non sanno dove mettersi, si sentono incompetenti, incapaci di guardare il loro bambino, figurarsi di toccarlo o parlargli sovrastando i rumori delle macchine che invadono l’ambiente. […] per gli operatori a volte sono un intralcio, specie se si devono affrontare pratiche mediche urgenti, per lo più invasive, che i genitori non riescono a comprendere. Per questo il loro spazio è relegato a pochi accessi. […] Le mamme […] davanti alle mani esperte delle infermiere o del medico, che manipolano il corpicino martoriato del bambino, si fanno piccole, temono di sbagliare, di ‘fargli male’”. (pag. 96).
Diverso è invece lo scenario che si osserva nelle TIN[1], purtroppo ancora poche nella realtà italiana, in cui sin dai primi momenti i genitori vengono accompagnati, sostenuti e incoraggiati ad essere vicini al loro neonato, anche quando versa in condizioni estremamente critiche. I sentimenti di colpevolezza e incompetenza vengono attenuati, quando infermieri e infermiere accolgono i genitori trasmettendo loro l’importanza della vicinanza, del contatto anche incerto, esitante, con le mani di mamma e papà, quando per medici e infermieri l’accoglienza tempestiva in TIN dei genitori è considerata una priorità assistenziale.
Il ruolo particolare degli infermieri, interfaccia tra medici e genitori, chini per ore a prendersi cura dei piccoli pazienti, pronti a cogliere le sfumature della vita, ma anche della sofferenza dei loro volti” (Faggioni, pag. 252) emerge tra le righe di molti interventi e testimonianze, rendendo evidente come la qualità della presenza di questa figura professionale possa fare la differenza nell’esperienza di vita dei piccoli pazienti e dei loro genitori. “Chi sta vicino al corpo, sta anche più vicino al saper tacere o dire con semplicità? Gli infermieri hanno le mani, hanno gesti precisi che accudiscono e dicono. Toccano. Vorrei che toccassimo tutti. Toccare. Con mani. Con parole.” (Chandra Livia Candiani, pag. 93).
L’auspicio è che in un futuro molto prossimo la voce degli infermieri che assistono, accompagnano e sostengono “da vicino” la quotidianità dei piccoli e dei loro genitori in TIN, sia ancor di più testimoniata.
 

Giovanna Bestetti
Psicopedagogista – Associazione IRIS Milano

 

[1] Ho potuto osservare questa diversità di scenari in alcune TIN come ad esempio dell’Ospedale A. Manzoni di Lecco e dell’Ospedale degli Infermi di Rimini in cui è evidente come la presenza attiva dei genitori in Reparto e la reale apertura H24 sia stata possibile, nonostante ambienti affatto favorevoli, grazie agli ampi “spazi della mente” (pag. 95) e del cuore di infermieri e medici.

 

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