RIASSUNTO
Introduzione L’abilità di ottenere un impiego, mantenerlo, muoversi nei diversi ruoli, lavori e organizzazioni viene definita employability. L’employability dei giovani neolaureati è una priorità economica, politica e sociale di molti paesi. L’obiettivo è di identificare le dimensioni che la costituiscono.
Materiali e metodi E’ stata condotta una revisione narrativa della letteratura consultando le banche Medline e CINAHL e la letteratura grigia.
Risultati Sono stati inclusi nella revisione 21 studi. Le dimensioni che costituiscono l’employability sono l’adattabilità e le proattività, l’identità di carriera, il capitale umano e sociale e i comportamenti di ricerca del lavoro.
Conclusioni In tempi di crisi economica e in un mercato del lavoro che sta cambiando, l’employability aiuta i neolaureati a trovare con maggiore efficacia una soluzione lavorativa. I ricercatori, fino a oggi, non hanno considerato l’employability nella popolazione degli infermieri neolaureati.
Le università dovrebbero strutturare strategie affinché i laureandi possano sviluppare le abilità che dovranno mettere in pratica per entrare nel mondo del lavoro. Tuttavia, emerge l’esigenza di studiare questo fenomeno tra gli infermieri italiani per sviluppare una policy di intervento; per questo l’Università di Roma Tor Vergata ha disegnato e sta conducendo un progetto di ricerca longitudinale multicentrico.
Parole chiave: employability, neolaureati, abilità, professione infermieristica
New graduate nurses’ employability: a narrative review
ABSTRACT
Background The ability to find a job, keep it, transit between roles, work positions and organizations, is defined as employability. New graduates’ employability is an economic, political and social priority in many countries. The aim is to describe the concept of employability and its dimensions.
Materials and methods A narrative review through Medline e CINAHL databases and grey literature has been conducted.
Results: Twenty-one studies were included. Employability dimensions are the adaptability/proactivity, the career identity, the human and social capital and the job searching behaviours.
Conclusions: In times of economic crisis and huge changes in the job market, having higher employability abilities may help new graduates to be effective in finding a job. Studies available to date haven’t considered the nurses’ employability.
The universities should design and implement strategies aimed to support undergraduates in the development of the abilities needed for the transition toward the job market. The employability phenomenon in the Italian nurses needs to be studied in order to design adequate intervention policies; to achieve this goal the University of Tor Vergata (Rome) has designed and is implementing a dedicated longitudinal multicentre study.
Keywords: employability, new graduates, skills, nursing
INTRODUZIONE
Dal 2009 il mercato del lavoro italiano è stato caratterizzato da una riduzione dei posti di lavoro e un tasso di disoccupazione crescente, soprattutto tra i giovani. Quest’ultima è in aumento anche tra gli infermieri, nonostante l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) abbia confermato che la quantità di infermieri ogni 1.000 abitanti, attualmente di 6,1, è ampiamente al di sotto della media europea, ovvero 9,1 su 1.000 abitanti. L’Italia è, quindi, un paese che ha bisogno di infermieri (OCSE, 2015).
Nel 2014 gli infermieri che non lavoravano a un anno dal conseguimento della laurea erano il 35,9% mentre un anno prima, nel 2013, erano il 37,7% (Almalaurea, 2014). Il 3,5% di questi non stava cercando lavoro e il 61,2% di coloro che lavoravano stava cercando un’altra occupazione (Almalaurea, 2014). Quest’ultimo dato testimonia un mercato del lavoro che non soddisfa pienamente l’infermiere, che non rinuncia a trovare un’occupazione con condizioni economiche e di stabilità migliori. Infatti, se diamo uno sguardo alla tipologia dei contratti di lavoro, nel 2014 il 46,4% degli infermieri aveva un contratto a tempo determinato o interinale, il 19,9% era un lavoratore autonomo, il 16,1% aveva un contratto a tempo indeterminato, il 6% una collaborazione occasionale, il 3,6% un contratto a progetto, il 2,7% un contratto di apprendistato e il 5,1% non aveva alcun contratto (Almalaurea, 2014). Si registra pertanto un trend in aumento dei contratti di apprendistato (nel 2013 rappresentavano il 2,3% dei casi) e di lavoro a tempo determinato o interinale (nel 2013 rappresentavano il 43,4% dei casi) (Almalaurea, 2014).
Questo scenario sta delineando un mercato del lavoro precario, a differenza di qualche anno fa in cui erano garantiti contratti di lavoro a tempo indeterminato e quasi sempre nel settore pubblico. Se si fa un confronto con i dati del 2011 si possono rintracciare evidenti cambiamenti: nel 2014 solo il 16,1% lavorava con contratto a tempo indeterminato mentre nel 2011 tale percentuale era del 32,1%; nel 2014 i dipendenti pubblici erano il 18,7% contro il 37,7% del 2011 (Almalaurea, 2014). Accanto a tutto ciò sta emergendo la realtà della libera professione. In Italia, su 422.000 infermieri, 39.000 (9.2%) sono infermieri iscritti all’Ente nazionale di previdenza ed assistenza della professione infermieristica (ENPAPI) che svolgono la libera professione (IPASVI, 2015). Sono circa tre milioni gli italiani che sono ricorsi a un infermiere libero professionista, di cui 1,4 milioni per l’assistenza continuativa e 1,6 milioni per l’assistenza occasionale (Colicelli C, 2015). Infine, dagli ultimi dati, la libera professione ha avuto un progressivo aumento dei fatturati e quindi dei redditi conseguiti, anche se quelli relativi al 2013 si sono attestati a un livello inferiore a quello del 2004 (Schiavon M, 2015).
Questa situazione è comune in molti paesi europei ed extraeuropei: se da una parte i bisogni di assistenza infermieristica sono in crescita, dall’altra si sta registrando un radicale cambiamento del mercato del lavoro a cui si aggiunge il fenomeno della sotto-occupazione anche tra gli infermieri (Spetz J, 2011; Kingma M, 2006; Dovlo D, 2005). Ne conseguono lunghi periodi di disoccupazione, la perdita di competenze professionali (Dovlo D, 2005) e del senso di attaccamento alla professione (Leino-Loison K et al., 2004).
Oggi, per entrare nel mercato del lavoro è richiesta esperienza, capacità di mantenere e sviluppare competenze (apprendimento permanente, lifelong learning) e un orientamento competitivo (Tomlinson M, 2007). L’abilità di ottenere un impiego, mantenerlo e muoversi nei diversi ruoli, lavori e organizzazioni viene definita da Hillage e Pollard (Hillage J et al., 1998) come employability. L’employability dei giovani neolaureati è stata ed è attualmente una priorità delle politiche nazionali (Brown JD et al., 2006; Tomlinson M, 2007); è considerata come l’insieme delle conoscenze specifiche della disciplina, delle abilità di adattamento alle richieste del mercato del lavoro, dell’iniziativa personale e della volontà di imparare e perseverare nelle difficoltà (Gore T, 2005; McQuaid RW et al., 2005; Ya-hiu S et al., 2008).
Proprio per la sua rilevanza, è condivisa l’opinione che la formazione universitaria abbia la responsabilità di sviluppare l’employability degli studenti secondo un approccio di apprendimento permanente (Prokou E, 2008). E’ prioritario comprendere quali siano le abilità di employability affinché queste possano essere misurate e sviluppate fin dal percorso formativo. Tuttavia, come recentemente documentato da una revisione integrativa (Bulfone G et al., 2015), in campo infermieristico questi concetti non hanno ancora ricevuto attenzione; gli studi disponibili sono scarsi, realizzati in paesi con condizioni economiche diversificate, sulla base di operazionalizzazioni differenti − processi di trasformazione dei concetti teorici in variabili rilevabili e misurabili − e con disegni di studio prevalentemente descrittivi. Pertanto, la finalità di questo articolo è di identificare le dimensioni che compongono l’employability documentate sino a oggi in una prospettiva utile quale base per sviluppare un progetto di ricerca tra gli studenti infermieri laureandi e laureati italiani.
MATERIALI E METODI
E’ stata condotta una revisione narrativa della letteratura. Una prima parte della ricerca è stata effettuata attraverso le banche dati Medline e CINAHL con le seguenti parole chiave: employability, skills, new graduates, theory e model.
Per approfondire i comportamenti di ricerca del lavoro è stata condotta una seconda ricerca attraverso Medline e CINAHL e Google Scholar (letteratura grigia) con le seguenti parole chiave: job search, job seeking, new graduate, new graduate nurses e job application.
Sui risultati della ricerca è stata operata una prima selezione delle citazioni in funzione al titolo e all’abstract; gli articoli considerati sono stati letti per intero (full text) da due ricercatori in maniera indipendente.
Per la revisione sono stati inclusi gli studi:
- con dati empirici con metodologia qualitativa e quantitativa;
- che riguardassero i neolaureati;
- che riguardassero solo ed esclusivamente i comportamenti messi in atto per cercare lavoro;
- in lingua inglese e/o italiana.
RISULTATI
Dalla prima ricerca sono emersi 563 articoli. Dopo una lettura dei titoli e degli abstract sono stati considerati 44 articoli. Dopo la lettura del full text sono stati ritenuti pertinenti 8 articoli; attraverso la lettura delle fonti bibliografiche di questi studi è stato selezionato un ulteriore articolo. In totale, gli studi ritenuti pertinenti e inclusi in questa prima fase sono stati nove.
Uno studio (McQuaid RW et al., 2005) era relativo all’evoluzione del concetto di employability, i restanti relativi a modelli teorici per misurare il fenomeno tra i neolaureati (Van Dam K, 2004; Fugate M et al., 2004; Van der Heijde CM et al., 2006; Pool LD et al., 2007; Fugate M et al., 2008; Coetzee M et al., 2008; Bridgstock R, 2009; Bezuidenhout M et al., 2011).
La seconda parte della ricerca, volta ad approfondire i comportamenti di ricerca del lavoro, ha prodotto 419 articoli; di questi, 139 erano doppi e sono stati quindi esclusi. Dei restanti 280 articoli, 123 sono stati giudicati rilevanti da parte di due ricercatori dopo lettura dell’abstract. In seguito a una ricerca ascendente e discendente attraverso l’analisi delle citazioni, sono stati inclusi tre studi.
In questa seconda fase sono stati quindi inclusi un totale di 12 articoli (Saks AM et al., 1999; Brasher EE et al., 1999; Saks AM et al., 2000; Werbel DJ, 2000; Saks AM et al., 2002; Moynihan LM et al., 2003; Saks AM, 2006; Brown JD et al., 2006; Palese A et al., 2009; Hirsch A, 2011; Obukhova E, 2012; Sun S et al., 2013). Gli unici autori che hanno preso in considerazione gli infermieri sono stati Hirsch (Hirsch A, 2011) e Palese e colleghi (Palese A et al., 2009).
Employability: l’evoluzione del concetto e i tentativi per studiarlo
Employability è un concetto presente nella letteratura sociale ed economica fin dagli anni ‘20. Nel tempo ha assunto diversi significati ed è stato utilizzato in numerosi contesti: inizialmente identificava e distingueva la categoria degli “abili” da quelli “non abili” al lavoro (dichotomy employability) principalmente per limitazioni di tipo fisico e psichico. Il significato di questo concetto era focalizzato sul mercato del lavoro anziché sul lavoratore (Gazier B, 1998a, 1998b, 2001). Invece, negli anni ‘50 il concetto si riferiva alla distanza tra le abilità richieste dal mercato del lavoro e l’effettivo patrimonio di persone svantaggiate dal punto di vista sociale, fisico e cognitivo (social-medical employability). In questi anni, quindi, l’employability si era focalizzata maggiormente sull’individuo per poi orientarsi, a partire dagli anni ‘70, sulla forza lavoro e sulle sue caratteristiche (Gazier B, 1998a). Infatti, secondo la Confederation of British Industry (CBI), l’employability è il possesso, da parte di un individuo, della qualità e delle competenze richieste per soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei clienti; attiene alla possibilità dell’individuo di sviluppare conoscenze, competenze e capacità adattive per entrare e rimanere nel mondo del lavoro (Treasury HM, 1997). Più pragmaticamente, per Hillage e colleghi (Hillage J et al., 1998) è l’abilità di ottenere un impiego e mantenerlo e di muoversi nei diversi ruoli, lavori e organizzazioni. Più di recente, secondo Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004) l’employability è una forma di adattabilità che rende le persone capaci di identificare e realizzare opportunità di lavoro.
Molti autori hanno sviluppato l’employability assumendo diverse prospettive (Van Dam K, 2004; Fugate M et al., 2004; Van der Heijde CM et al., 2006; Pool LD et al., 2007; Fugate M et al., 2008; Coetzee M et al., 2008; Bridgstock R, 2009; Bezuidenhout M et al., 2011).
I differenti framework teorici dell’employability
Nessuno tra gli studi selezionati ha preso in considerazione la popolazione degli infermieri neolaureati. Due studi, quello di Pool (Pool LD et al., 2007) e Fugate e relativi colleghi (Fugate M et al., 2004), comprendono revisioni di letteratura che identificano le dimensioni che costituiscono l’employability; i rimanenti studi sono di tipo quantitativo (Van Dam K, 2004; Van der Heijde CM et al., 2006; Fugate M et al., 2008; Coetzee M et al., 2008; Bezuidenhout M et al., 2011).
Gli autori che hanno approfondito l’employability affermano che questa è composta da diverse variabili come il capitale umano e sociale (Fugate M et al., 2004); altri mettono in luce solo alcuni aspetti del capitale umano quali le competenze e le conoscenze (Pool LD et al., 2007; Van der Heijde CM et al., 2006; Bridgstock R, 2009; Bezuidenhout M et al., 2011). Altri ancora, considerano fondamentali i comportamenti adattivi al mondo del lavoro quali la proattività, l’iniziativa e la flessibilità (Fugate M et al., 2004, 2008; Van Dam K, 2004; Van der Heijde CM et al., 2006; Bezuidenhout M et al., 2011).
Alcuni di questi modelli prendono in considerazione la flessibilità del neolaureato nell’ambiente organizzativo in cui è inserito concentrandosi, quindi, in una fase in cui il soggetto ha già trovato un impiego (Van Dam K, 2004; Van der Heijde CM et al., 2006); altri, invece, si focalizzano sulla capacità di costruire la propria carriera perdendo però di vista il momento di transizione dalla formazione al mondo del lavoro (Bridgstock R, 2009).
Fugate (Fugate M et al., 2004), Coetzee e relativi colleghi (Coetzee M et al., 2008), con un modello molto simile, considerano aspetti comuni agli altri modelli descritti focalizzandosi sulla fase in cui il neolaureato è alla ricerca di un lavoro. Questi autori considerano l’employability composta dal capitale umano, sociale, dall’adattabilità e dall’identità di carriera. Il capitale umano comprende il sapere come realizzare la propria identità di carriera; il capitale sociale riflette l’aspetto interpersonale dell’employability e costituisce la rete di relazioni e di risorse necessarie al raggiungimento del successo nella propria identità di carriera e per far fronte allo stress da disoccupazione (McKee-Ryan FM et al., 2005). L’adattabilità, invece, si riferisce alla capacità di cambiare i comportamenti, i pensieri e i sentimenti in risposta alle domande che provengono dall’ambiente circostante. L’identità di carriera, infine, descrive il modo in cui una persona si rappresenta professionalmente a fronte delle sue motivazioni e ambizioni.
Il modello di Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004), tuttavia, è parziale perché non prende in considerazione i comportamenti messi in atto per cercare lavoro, aspetto cruciale tra i neolaureati e pertanto molto studiato (Brasher EE et al., 1999; Saks AM et al., 1999, 2002; Moynihan LM et al., 2003; Saks AM, 2006; Palese A et al., 2009; Hirsch A, 2011; Obukhova E, 2012; Sun S et al., 2013).
Quindi, è necessario un nuovo modello di employability comprensivo degli aspetti peculiari a tutti i modelli considerati capace di intercettare anche i comportamenti di ricerca del lavoro e di esplorare la transizione dagli studi universitari all’effettivo impiego.
I comportamenti di ricerca del lavoro
Gli articoli che prendono in considerazione gli infermieri neolaureati sono quelli di Hirsch (Hirsch A, 2011) e di Palese e colleghi (Palese A et al., 2009). Le strategie di ricerca del lavoro utilizzate dai neolaureati comprendono l’uso della rete, i contatti personali, telefonici e la consultazione degli annunci su quotidiani (Hirsch A, 2011). Questa ricerca, mediamente, occupa un periodo che va dai tre mesi a un anno e la decisione che influenza la scelta del lavoro è basata sul luogo dell’impiego, sulla reputazione del datore di lavoro, sulla possibilità di essere supportati nel periodo di inserimento (per esempio, da un preceptor), sulla tipologia di turno, sul salario e sui benefit, sulle opportunità di carriera, sulla leadership infermieristica presente nell’organizzazione, nonché sulla possibilità di proseguire con la formazione (Hirsch A, 2011) e di essere inseriti nella struttura richiesta (Palese A et al., 2009).
Nello studio di Hirsch (Hirsch A, 2011), condotto negli Stati Uniti, gli infermieri neolaureati affermano che per la loro assunzione è stato fondamentale avere contatti con persone che “contano”, disporre di qualcuno che li ha aiutati a scrivere una lettera di referenze/raccomandazione, avere precedenti esperienze di lavoro, aver studiato in un’università di prestigio, avere fatto esperienze di volontariato e disporre di altri titoli quali l’Advanced Cardiac Life Support (ACLS) o il Pediatric Advanced Life Support (PALS) (Hirsch, 2011). Obukova (Obukhova E, 2012), a questo proposito, ha dimostrato empiricamente che i contatti personali (amici stretti, familiari) producono un maggiore numero di offerte di lavoro rispetto ai contatti formali.
Nel campo dei comportamenti di ricerca del lavoro, Moynihan e colleghi (Moynihan LM et al., 2003) hanno introdotto una distinzione tra l’attività preparatoria e il comportamento attivo vero e proprio. Per attività preparatoria si intende una ricerca di informazioni tra amici e parenti che preannuncia il comportamento attivo che si concretizza con azioni quali preparare e spedire un curriculum, contattare agenzie di lavoro e partecipare a colloqui (Moynihan LM et al., 2003). Moynihan e colleghi (Moynihan LM et al., 2003) riprendono inoltre una suddivisione del processo di ricerca del lavoro in fasi, definite da Barber e colleghi (Barber AE et al., 1994): la prima fase è estensiva, molto ampia e non chiaramente definita; man mano che la persona procede nel tempo, diventa intensiva e maggiormente focalizzata. L’autoefficacia nella ricerca del lavoro è associata a comportamenti di ricerca intensi, profusi con sforzo (Saks AM, 2006). Un’attività preparatoria, un comportamento proattivo (Brown JD et al., 2006) e i comportamenti di ricerca intensi determinano migliori esiti, ovvero un maggiore numero di offerte di lavoro, di colloqui ma anche una probabilità più elevata di trovare lavoro (Werbel DJ, 2000; Moynihan LM et al., 2003).
Coloro che cercano lavoro accrescono l’intensità e lo sforzo man mano che il tempo procede (Saks AM et al., 2002; Brown JD et al., 2006; Sun S et al., 2013); secondo Saks e Ashforth (Saks AM et al., 2000; Ashforth BE, 2001) le persone accrescono nel tempo anche il numero dei comportamenti attivi e l’uso di risorse formali determinando un aumento dei colloqui offerti e una maggiore probabilità di ottenere un impiego.
Tuttavia, Brasher e Chen (Brasher EE et al., 1999) hanno affermato che la ricerca del lavoro è una dimensione complessa da misurare e analizzare perché si modifica nel tempo ed è influenzata da fattori interni ed esterni alla persona. Pertanto, sarebbe necessario considerare, quale esito del processo di ricerca del lavoro, anche variabili quali la durata della ricerca, la qualità del lavoro ottenuto, la retribuzione iniziale e il grado di congruenza tra la formazione conseguita e il posto di lavoro accettato.
L’adattabilità e la proattività
Per adattabilità, Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004) intendono la capacità e la volontà di modificare i comportamenti, le emozioni, i sentimenti e i modi di pensare in risposta alle domande provenienti dall’ambiente. Secondo Hall (Hall DT, 1996, 2004) l’adattabilità è un aspetto fondamentale per interagire efficacemente con il mercato del lavoro, caratterizzato da estrema variabilità e instabilità. Le persone adattabili hanno un’elevata tolleranza all’incertezza e all’ambiguità che a volte sono presenti nel mercato del lavoro e sono a proprio agio nelle situazioni nuove (O’Connel DJ et al., 2008).
Un costrutto molto simile all’adattabilità è la personalità proattiva; secondo Seibert e colleghi (Seibert S et al., 1999), sulla base dei precedenti lavori di Bateman e Crant (Bateman T et al., 1993) gli individui proattivi sono in grado di determinare cambiamenti nell’ambiente, di cogliere le opportunità, avere autocontrollo, perseverare nelle difficoltà, apprendere, adattarsi alle varie situazioni e ricercare le informazioni necessarie (Bateman T et al., 1993; Crant JM, 2000; Seibert S et al., 1999, 2001; Thompson J, 2005). Nell’ambito del lavoro, quindi, la personalità proattiva/adattabile influenza numerosi esiti quali le performance (Crant JM, 1995), il successo nella carriera (Seibert S et al., 1999) e l’orientamento all’apprendimento (Tolentino LR et al., 2014). Secondo Thompson (Thompson J, 2005) le persone proattive sono maggiormente in grado di creare reti sociali e, quindi, di ottenere informazioni utili alla ricerca del lavoro.
Alcuni studi hanno indagato se la personalità proattiva sia un fattore predittivo al successo nella ricerca del lavoro. Claes e De Witte (Claes R et al., 2002) hanno documentato che questo tipo di personalità è positivamente correlata al numero dei comportamenti attivati per la ricerca di un lavoro; studi di Freese e colleghi (Frese M et al., 1997) hanno documentato che l’iniziativa personale, un costrutto simile alla personalità proattiva, è significativamente correlata alla velocità con cui una persona trova lavoro. Anche Brown e colleghi (Brown JD et al., 2006) hanno documentato che la personalità proattiva è positivamente correlata al numero di colloqui e offerte ricevute, alla capacità dell’individuo di lavorare in modo perseverante e, secondo Barrick e Mount (Barrick MR et al., 1991), alla capacità di essere orientati all’obiettivo.
L’identità di carriera
Secondo Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004) l’identità di carriera (career identity) costituisce “ciò che gli individui sono” e “chi vorrebbero essere”. L’identità di carriera rappresenta il modo in cui gli individui si definiscono e si percepiscono nel loro contesto lavorativo (Fugate M et al., 2004); comprende il possesso di capacità di orientamento e progettualità, a fronte della complessità delle opportunità lavorative.
Nei periodi di disoccupazione l’identità di carriera garantisce all’individuo di riuscire a porsi obiettivi e prendere decisioni adeguate, ricercando opportunità. Gli individui con un’identità di carriera “informativa” tendono a cercare e utilizzare in modo proattivo le informazioni rilevanti mentre quelli con un orientamento “normativo” tendono a conformarsi alle aspettative degli altri. Ne deriva che i lavoratori con un’identità di carriera orientata all’informazione sono più inclini a ricercare le notizie che possono migliorare la loro posizione in un contesto di carriera (Ashforth BE, 2001) e sono più preparati ad affrontare gli eventi stressanti correlati alla ricerca di un lavoro (Aspinwall LG et al., 1992, 1997). Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004) hanno documentato che, nella costruzione della propria identità di carriera, l’orientamento informativo permette di identificare e realizzare migliori opportunità lavorative.
Il capitale umano e sociale
Il capitale umano si riferisce a variabili individuali che possono influenzare la carriera di una persona come la formazione, le esperienze lavorative, i tirocini, le abilità e le conoscenze. Investendo nell’apprendimento continuo gli individui possono sviluppare il proprio capitale umano e quindi la propria employability (Fugate M et al., 2004).
Invece, il capitale sociale, come il network formale e informale, riflette aspetti interpersonali dell’employability e contribuisce a incrementare la quantità di informazioni relative alle opportunità di carriera (Defillippi R et al., 1994). In tal modo, coloro che hanno un maggiore capitale sociale hanno maggiori possibilità di trovare un’occupazione e di raggiungere i propri obiettivi di carriera. Alcuni studi hanno dimostrato che l’accesso alle informazioni può essere una fonte di sostegno sociale capace di attenuare le conseguenze distruttive di eventi stressanti come la disoccupazione (McKee-Ryan FM et al., 2005).
Gli esiti dell’employability
Gli esiti dell’employability consistono nell’avere opportunità per entrare nel mondo del lavoro. Gli indicatori sono il numero di offerte ricevute, il numero dei colloqui di lavoro sostenuti, la capacità di trovare un lavoro in tempi accettabili ma anche, come affermano Moynihan e colleghi (Moynihan LM et al., 2003), di “qualità”, ovvero la possibilità di essere assunti per la qualifica o formazione ricevuta e la capacità di sapersi adattare al lavoro (Person Job fit – PJf) e all’organizzazione (Person Organization fit, POf) che esprimono rispettivamente l’armonizzazione dell’individuo alle specifiche richieste del lavoro e dell’organizzazione (Saks AM, 2006).
DISCUSSIONE
Entrare nel mondo del lavoro richiede abilità molto diverse rispetto al passato. Non siamo più di fronte a una facile accessibilità, a contratti a tempo indeterminato e ad aziende pubbliche in competizione tra di loro per reclutare i pochi infermieri disponibili sul mercato. Oggi, accedere a un lavoro significa competere con molti altri infermieri, accettare contratti a breve scadenza, a orario ridotto e, magari, anche lontano da casa. Inoltre, può significare anche accettare posizioni diverse da quelle sviluppate con il percorso universitario, fenomeno definito sotto-occupazione, (Dovlo D, 2005; Kingma M, 2006); considerata l’esigenza di adeguarsi a situazioni non sempre congruenti alla propria professionalità pur di avere un lavoro, percepire un compenso economico ed essere autonomi, la sotto-occupazione potrebbe crescere. La situazione è comune all’Italia e a molti paesi europei ed extraeuropei.
McArdle e colleghi (McArdle S et al., 2007) hanno testato il modello dell’employability di Fugate e colleghi (Fugate M et al., 2004) su un campione di disoccupati senza tuttavia considerare nel modello i comportamenti di ricerca del lavoro. Questi ultimi sono stati analizzati da altri autori (Saks AM et al., 2000; Moynihan LM et al., 2003; Hirsch A, 2011; Obukhova E, 2012; Sun S et al., 2013) che hanno documentato la loro rilevanza nella probabilità di trovare un impiego. Pertanto, è l’insieme di questi attributi (adattabilità, identità di carriera, capitale umano, sociale e alcuni comportamenti di ricerca del lavoro più di altri) che assicurano la possibilità di ricevere offerte di lavoro, essere chiamati a un colloquio e trovare un impiego. Essere adattabili, proattivi, capaci di cambiare azioni in base agli stimoli dell’ambiente e perseverare nelle difficoltà determina un periodo più breve di disoccupazione e un maggiore numero di offerte d’impiego (Brown JD et al., 2006; Claes R et al., 2002).
L’employability, così come intesa dai diversi autori, non è mai stata studiata tra gli infermieri neolaureati italiani probabilmente perché, prima d’ora, era assolutamente scontato trovare un lavoro come infermiere. Tuttavia, la popolazione dei neolaureati sta dimostrando una forte capacità di cambiare la propria strategia in base alla difficile situazione del mercato del lavoro: ne è testimonianza il fatto che un elevato numero di giovani infermieri è disposto a emigrare in altri paesi per avere migliori opportunità (ISTAT, 2011).
Un elevato livello di employability è assicurato anche da una forte identità di carriera che determina l’abilità di orientamento e progettualità (Ashforth BE, 2001); si tratta di competenze estremamente utili in un mercato del lavoro in rapido cambiamento. Infine, anche investire su sé stessi continuando ad apprendere (Fugate M et al., 2004) e sviluppando la propria rete sociale (Defillippi R et al., 1994) può aiutare a trovare lavoro. Tuttavia, tali strategie possono trovare difficile realizzazione nei paesi come l’Italia dove la proporzione di disoccupati è elevata, la competizione è altissima e il numero dei laureati è il più basso rispetto ad altri paesi europei (Istituto Giuseppe Toniolo, 2014).
Non trovare un impiego significa non disporre di un rendimento economico ma anche non poter progettare il proprio futuro professionale, di vita e sviluppare la propria autonomia.
Per questa ragione è necessario che i corsi di studio e i career center delle università inizino a riflettere sulle strategie da mettere in atto per sviluppare, tra le numerose altre, anche queste capacità. Simulazioni, dimostrazioni video, feedback sul grado di adesione agli obiettivi pianificati per la ricerca del lavoro sono interventi riconosciti per migliorare l’autopresentazione in un curriculum o in un colloquio (Vuoiri J et al., 2002), incoraggiare la proattività (Brooks F et al., 2001) e supportare la motivazione (Staines GL et al., 2004; Van Hooft EAJ et al., 2009). Una metanalisi ha documentato che questi interventi assicurano una maggiore probabilità di ottenere un impiego soprattutto se progettati su una popolazione giovane come quella dei neolaureati (Liu S et al., 2014). Le sedi formative dovrebbero quindi strutturare percorsi formativi affinché i giovani studenti possano sperimentare, in un ambiente protetto, ciò che dovranno mettere in pratica per entrare nel mondo del lavoro. Questo non solo assicurerebbe ai futuri neolaureati alcune abilità ma permetterebbe loro di avere una visione reale delle difficoltà del mercato del lavoro, delle opportunità esistenti e delle aspettative realistiche che tale mercato può accogliere.
CONCLUSIONI
Fino a oggi, l’employability non è mai stata studiata nel contesto italiano e tra gli infermieri. Per colmare il vuoto di conoscenze è necessario sviluppare un progetto che consideri il modello complessivo e lo verifichi tra gli studenti e laureati italiani. La situazione che sta vivendo il nostro Paese è molto complessa e al contempo unica per il paradossale bisogno di infermieri e la concreta impossibilità di dare loro un’opportunità di lavoro. Servono dati per sviluppare policy appropriate per i diversi livelli del percorso di formazione e/o professionale dei futuri infermieri; in questo i corsi di laurea e i Collegi degli infermieri hanno un ruolo fondamentale in quanto sono i principali contesti in cui avviene la transizione dei neolaureati dal mondo formativo a quello del lavoro e che hanno la mission di proteggere e sviluppare la professione nel suo capitale.
Per questa ragione l’Università degli Studi di Tor Vergata Roma assieme all’Università degli Studi di Udine e di Trieste, ha disegnato e sta implementando un progetto di ricerca longitudinale per misurare l’employability dei giovani infermieri neolaureati. La finalità è di verificare se le abilità nella ricerca del lavoro, l’adattabilità e la proattività, il capitale umano e sociale e l’identità di carriera abbiano un ruolo nella ricerca efficace di un posto di lavoro come infermiere e misurare l’evoluzione di tali dimensioni nel tempo.