Riparare i viventi


Riparare i viventiSe volete immergervi nel tumulto di sentimenti ed esperienze che si possono attraversare anche solo nell’arco di 24 ore, questo è il libro che fa per voi. Se siete un sanitario, di qualsiasi profilo professionale, sarà per voi un’esperienza importante entrare nelle vicende di Simon Limbres, dei suoi genitori, dei medici e infermieri che lo prenderanno in carico, della fidanzata che non lo ha potuto salutare.

Nello spazio di 24 ore il cuore di Simon Limbres diventerà quello di Claire Mejan: questa in poche parole la trama del libro. Ma attorno a questa vicenda, a questo ragazzo che vedremo agire solo per poche pagine, si sviluppano le storie e i sentimenti, nonché le tragedie, di un coro polifonico, quello che ruota appunto attorno a chi sta andandosene e chi è in attesa. Tra le storie, quella di Thomas Rémige, l’infermiere che assisterà Simon e la famiglia nelle ultime ore prima dell’espianto:
“I primi anni da infermiere nel reparto di rianimazione si sfianca: penetra in una sfera ultraterrena, uno spazio sotterraneo o parallelo, sul limitare dell’altro e turbato dal loro sfiorarsi limitrofo e continuo, quel mondo intriso di sonni in cui lui non dorme mai (…) Orari flessibili, incarichi pesanti, penuria di tutto: il reparto delimita uno spazio chiuso, che obbedisce a regole proprie, e Thomas ha la sensazione di isolarsi a poco a poco dal mondo esterno, di vivere in un luogo dove la cesura notte/giorno non comporta più niente per lui. A volte ha la sensazione di perdere il controllo.” (pag. 58).

Un infermiere come molti altri, che tenta di trovare un suo equilibrio tra vita personale e professionale, che cerca un senso non solo alla successione degli interventi clinici, ma anche al loro significato più profondo, senza nascondersi:
“Sette anni a quel ritmo, poi la voglia di cambiare passo all’interno dello stesso perimetro. Diventa uno degli infermieri coordinatori dei prelievi d’organi e di tessuti, trecento in tutto il paese, entra all’ospedale di Le Havre, ha ventinove anni, è magnifico. Quando gli fanno domande su quel nuovo orientamento che, senza dubbio, avrà richiesto una formazione supplementare, Thomas risponde rapporto coi parenti, psicologia, diritto, dimensione collettiva della procedura, tutto ampiamente presente nel suo mestiere d’infermiere, certo, ma c’è dell’altro, qualcosa di più complesso, e se è in vena di confidenze e di perdere un po’ di tempo, parlerà di quel brancolare sulla soglia della vita, di un interrogativo sul corpo umano e i suoi utilizzi, di un approccio alla morte e alle sue rappresentazioni – perché è di questo che si tratta” (pag. 59-60).

Le storie dei personaggi si snodano lungo tutto il percorso di sostegno ai genitori del ragazzo, per valutare con loro la donazione degli organi, un percorso sempre straziante in cui alla professionalità del team è richiesto in primo luogo di riconoscere la unicità di questo strazio, inserendovi i passaggi previsti dalla procedura. Il lettore potrà così scendere nelle pieghe di questa vicenda, che molte volte si ripete in tanti ospedali ma con tinteggiature e pennellate sempre diverse, in realtà.

La storia dà la possibilità di assistere da vicino, anzi da dentro per così dire, a ogni fase di questo cammino che porta a “seppellire i morti e riparare i viventi” (pag. 103), fino al primo battito del cuore di Simon nel petto di Claire, la persona che da quel cuore verrà salvata, quel cuore che è sede e simbolo della vita in ogni epoca.

Anche in questa storia, come accade nella realtà, il destino di due persone sconosciute, lontane, diverse viene a fondersi. Solo che qui l’autrice risale dal dato scientifico, dalle evidenze, fondendo alle conoscenze scientifiche (che pure emergono nel libro) la tragedia, il sentirsi sovrastati, sfiniti, impotenti. La ricchezza di sentimenti ed emozioni, la polifonia che ne viene fuori, è veramente unica, con un equilibrio tra clinica e storie ed esperienze personali davvero raro. Il turbinio in cui si trovano scaraventati i protagonisti del romanzo diventa dopo poche righe anche quello del lettore, stimolando però non tanto l’angoscia, quanto la piena consapevolezza di quanto in queste situazioni si muove.

Un libro da leggere, probabilmente quasi tutto d’un fiato, e non solo perché dura 24 ore, piuttosto perché centra appieno l’essenza di una delle questioni più dibattute dell’epoca moderna.
 

Laura D’Addio

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