Lo stravaso da farmaco vescicante: una revisione narrativa


RIASSUNTO
Introduzione Lo stravaso da farmaco vescicante rappresenta dallo 0,5% al 6% di tutti gli eventi avversi associati al trattamento. L’infermiere può assumere un ruolo chiave nel contribuire a ridurre la frequenza e la gravità di questo evento. L’obiettivo dello studio è quello di illustrare le più recenti raccomandazioni di buona pratica clinica in merito alla prevenzione e gestione dello stravaso da farmaco vescicante.
Materiali e metodi E’ stata condotta una revisione della letteratura attraverso banche dati biomediche e siti Internet istituzionali.
Risultati I fattori di rischio dipendono dal paziente, dalla procedura e dall’agente farmacologico. Il monitoraggio del sito, del paziente e dell’infusione è la chiave per prevenire lo stravaso. La gestione dello stravaso è non farmacologica e/o farmacologica o chirurgica nei casi più gravi. Sono indispensabili un processo di segnalazione spontanea degli eventi avversi (incident reporting) e un adeguato follow-up dopo il trattamento dello stravaso. Mancano prove di efficacia a supporto di una gestione standardizzata dello stravaso e sono inconcludenti quelle sull’uso di antidoti.
Conclusioni La prevenzione più efficace è un’adeguata formazione del personale infermieristico e informazione del paziente.
Parole chiave: stravaso, farmaco vescicante, infermieri


Vesicant drug extravasation. A narrative review

ABSTRACT
Introduction Extravasation by vesicant is from 0.5% to 6.0% of all adverse events associated with treatment. Nurses can play a key role in helping to reduce the frequency and severity of this event. The objective of the study is to describe the most recent recommendations of good clinical practice for the prevention and the management of vesicant drug extravasation.
Methods A review of the literature through biomedical databases and institutional Internet sites was carried out.
Results Risk factors depend on patient, procedure and pharmacological agent. Monitoring the site, the patient and the infusion is the key to preventing the extravasation. The management of extravasation is non-pharmacological and/or pharmacological or surgical in severe cases. The incident reporting and an adequate follow-up after extravasation treatment are essential. There is a lack of evidence in support of a standardized management of extravasation and inconclusive evidence about the use of antidotes.
Conclusions The most effective prevention is an adequate training of nurse and patient information.
Keywords: extravasation, vesicant drug, nurses


 

INTRODUZIONE
Lo stravaso non è raro come si potrebbe pensare: in ambito oncologico si stima che rappresenti dallo 0,5% al 6% di tutti gli eventi avversi associati al trattamento (EONS, 2007) ma se si considera che gli eventi avversi connessi a chemioterapia sono abbastanza comuni, il numero assoluto di stravasi che hanno luogo è significativo (EONS, 2007). L’incidenza di stravaso relativa a mezzi di contrasto è compresa fra lo 0,1% e lo 0,9% (ACR, 2013). Lo stravaso può verificarsi anche durante l’iniezione di farmaci in bolo o durante la somministrazione in pompa infusionale e la sua frequenza non sembra essere correlata alla portata di iniezione (ACR, 2013). Per stravaso si intende un evento durante il quale avviene la fuoriuscita di una soluzione vescicante, in grado dunque di provocare una grave reazione tessutale, che è stata iniettata per via endovenosa (Sarasota Memorial Hospital, 2012). La sostanza fuoriuscita dalla vena si distribuisce nei tessuti circostanti il punto di iniezione ivi producendo lesioni (Sarasota Memorial Hospital, 2012). Per infiltrazione invece si intende la fuoriuscita di una soluzione non vescicante anch’essa iniettata per via endovenosa (GOSH, 2012). Una condizione di stravaso può verificarsi per dislocazione del catetere venoso periferico e può essere causata, per esempio, da movimenti accidentali del paziente, da un fissaggio inadeguato del dispositivo o da sposizionamenti o trazioni del set preposto all’infusione endovenosa del farmaco (Dougherty L, 2010). Lo stravaso conduce a un’irritazione a carico del circolo venoso locale e conseguente spasmo e vasocostrizione; non è trascurabile il fatto che alcune vene non sono in grado di sopportare la pressione di infusione o un’iniezione in bolo, il che facilita la conseguente insorgenza dell’evento avverso (Dougherty L, 2010). Per una corretta constatazione dello stravaso occorre riconoscere segni e sintomi rilevatori che ne comprovino l’avvenuta manifestazione (EONS, 2007). Essi possono essere raccolti attraverso le segnalazioni dei pazienti e la valutazione visiva del sito di iniezione, stante un attento monitoraggio del dispositivo per l’infusione endovenosa (EONS, 2007). La valutazione da parte dell’infermiere durante la somministrazione del farmaco assume un ruolo chiave in quanto riduce al minimo sia la frequenza sia la gravità dell’evento: possibili ritardi nel riconoscimento e/o nel trattamento di uno stravaso aumentano la probabilità di sviluppare gravi e, a volte, irreversibili danni ai tessuti (EONS, 2007). Alcuni farmaci chemioterapici, pur se correttamente somministrati, possono causare una reazione locale che mima una reazione da stravaso: tuttavia, tale condizione non deve essere confusa con un vero stravaso (Pérez Fidalgo JA, et al., 2012). Le principali differenze tra lo stravaso in senso stretto e le condizioni che lo richiamano riguardano la natura e la tempistica della comunicazione di sospetto stravaso da parte del paziente, il tipo e l’entità dell’eritema osservato e la collocazione e presenza di tumefazione (Tabella 1) (EONS, 2007).

Tabella 1. Stravaso e condizioni simili: diagnosi differenziale (EONS, 2007)

Un’altra diagnosi differenziale importante da compiere è quella fra stravaso e flebite chimica, causata da vari tipi di farmaci: questa infiammazione, spesso seguita da trombosi o sclerosi del circolo venoso locale, può causare una sensazione di bruciore al sito di inserimento dell’agocannula e crampi lungo il decorso della vena prossimale al sito (Pérez Fidalgo JA, et al., 2012). L’eziopatogenesi e il meccanismo dei danni causati da stravaso di farmaco non sono ancora del tutto chiari; la gravità del danno tessutale sembra essere funzione della forza del legame fra il farmaco e il DNA (Unsal Avdal E, et al., 2012; Wickham R, et al., 2006). Secondo una teoria ampiamente accettata, il farmaco diffonde l’agente tossico tra le cellule sane circostanti necrotizzandole per un periodo che può durare da alcune settimane a qualche mese (Unsal Avdal E, et al., 2012). La causa della diffusione è, di norma, la compromissione meccanica della parete del vaso sanguigno dovuta all’inserimento dell’ago, in particolare dopo punture venose ripetute e/o per l’effetto irritante dell’agocannula (EONS, 2007). Il rischio o l’entità del danno possono avere quali fattori favorenti la fragilità dei vasi sanguigni, le punture venose ripetute, la somministrazione frequente di farmaci per ciclo di trattamento o più cicli ripetuti a distanza temporale troppo breve per consentire un’adeguata rigenerazione della parete venosa danneggiata e la somministrazione di mezzi di contrasto (EONS, 2007). Lo stravaso può essere classificato in base alla reazione indotta dal principio tossico contenuto nel farmaco iniettato (EONS, 2007). Sono diverse le classi di farmaci che sono state ordinate in base al tipo di reazione vescicante e irritante che producono; per lo scopo dello studio si farà riferimento per lo più ai farmaci antineoplastici, anche se va notato che essi non sono gli unici a produrre danni (EONS, 2007). In base alla potenziale dannosità, in caso di stravaso i farmaci antineoplastici possono essere raggruppati in tre categorie (EONS, 2007): non vescicanti, irritanti e vescicanti.
I fattori di rischio principali per l’insorgenza di stravaso si riferiscono a (EONS, 2007):

  • tipi di farmaci, soluzioni somministrate e loro caratteristiche;
  • potenziale lesivo;
  • dispositivi di infusione endovenosa e tecnica di incannulazione;
  • caratteristiche fisiologiche e tratti comportamentali del paziente;
  • formazione dell’infermiere (conoscenze, competenze, abilità ed esperienza).

La regola generale è, se possibile, evitare l’insorgenza di stravaso (EONS, 2007). I pazienti possono avvertire dolore o disagio anche ben prima che il danno tessutale progredisca fino a produrre lesioni ulcerative e necrotiche (EONS, 2007). L’entità del danno può variare notevolmente tra i diversi regimi di trattamento e differenti pazienti e la distruzione dei tessuti può non essere immediata ma progressiva e svilupparsi molto lentamente con poco dolore (EONS, 2007). In generale, il danno tessutale inizia con la comparsa di infiammazione e vesciche in prossimità del sito di iniezione; in funzione del farmaco e altri fattori, può esserci un’evoluzione verso l’ulcerazione e infine la necrosi locale (EONS, 2007). Quest’ultima può essere così grave da rendere irrecuperabile la funzionalità della zona interessata; in questo caso è necessario un intervento chirurgico urgente (EONS, 2007). Il danno da stravaso, in genere, coinvolge sia la cute sia il sottocute; se avviene in prossimità di nervi, legamenti o tendini allora vi è un diretto impatto sulla sensibilità e sulla funzionalità del distretto colpito dall’evento (EONS, 2007). Il dolore presso il sito di infusione può essere da moderato a grave e di solito si manifesta sotto forma di bruciore o dolore; può esserci presenza degli altri segni indicativi di flogosi e mancare il ritorno di sangue dall’agocannula. Non tutte queste condizioni possono essere presenti (NEYHCA Cancer, 2013).
La presenza a livello locale di vesciche è indicativa di almeno una lesione a spessore parziale; possono esservi anche screziature o ipercromie della cute, dolore persistente e indurimenti (NEYHCA Cancer, 2013). Un precoce indurimento, accompagnato o meno da fragilità tessutale, sembra essere un segno affidabile di possibile ulcerazione (NEYHCA Cancer, 2013). Quando il danno è a tutto spessore la superficie cutanea appare ipocromica e fredda per scarso o assente riempimento capillare; ciò può progredire verso la formazione di un’escara ed esitare in necrosi secca (NEYHCA Cancer, 2013). L’ulcerazione di solito non si manifesta fino a 1-2 settimane dopo l’infortunio, quando l’escara muta per rivelare la cavità alla base della zona ulcerata (NEYHCA Cancer, 2013). Le ulcere sono tipicamente necrotiche, fibrotiche e giallastre, con un orlo circostante eritematoso persistente (NEYHCA Cancer, 2013). La severità del danno dipende dalle seguenti variabili: localizzazione del sito presso cui è avvenuto lo stravaso; quantità di farmaco fuoriuscito; concentrazione e potere vescicante dell’agente tossico; modalità di gestione dell’evento da parte del personale sanitario (EONS, 2007). Lo stravaso può portare al prolungamento della degenza e del periodo di follow-up, necessità di consulenze specialistiche e di terapia fisica, elevati costi per il suo trattamento e conseguenze fisiche, psicologiche e lavorative per il paziente (EONS, 2007). Inoltre, non è raro per gli ospedali e per il personale a essi afferente dovere affrontare le conseguenze legali derivanti da danni prodotti a seguito di uno stravaso (EONS, 2007). Per le ragioni esposte, uno dei principali obiettivi è formare ed educare gli operatori sanitari alla prevenzione e gestione dell’evento stravaso al fine di evitare le gravi complicanze che possono comportare la sua insorgenza (EONS, 2007).

Obiettivo
Illustrare le più recenti raccomandazioni di buona pratica clinica in merito alla prevenzione e gestione degli eventi di stravaso da farmaci vescicanti.

MATERIALI E METODI
Il reperimento della documentazione di interesse è avvenuto tramite interrogazione di siti istituzionali o governativi internazionali ritenuti tra i più importanti e autorevoli per l’argomento in oggetto e di banche dati biomediche quali Trip Database, PubMed, CINAHL Plus e Web of Knowledge. Le parole chiave utilizzate sono state: extravasation, extravasation of diagnostic and therapeutic materials/prevention and control, extravasation of diagnostic and therapeutic materials/nursing. Sono state prese in considerazione le pubblicazioni relative agli ultimi dieci anni riguardanti soggetti adulti. Dopo una prima selezione dei documenti per rilevanza di titolo e contenuto, è seguito il loro reperimento, la lettura, l’analisi e la sintesi in tabelle sinottiche.

RISULTATI
Fattori di rischio correlati a paziente, procedura e trattamento
La presenza dei fattori indicati in Tabella 2 non implica che non sia possibile il trattamento ma è necessaria una particolare attenzione per quanto riguarda, per esempio, la selezione della vena più idonea, una venipuntura adeguata e un monitoraggio più serrato durante e dopo la somministrazione del farmaco vescicante (Dougherty L, 2010). Il fattore di rischio più frequente è la riduzione del numero di siti di venipuntura ottimali a causa di vene logorate e/o insufficiente disponibilità di accessi venosi (Pikó B, et al., 2013). L’efficacia della sorveglianza dell’infusione da parte del personale sanitario e l’attuazione di procedure urgenti in caso di stravaso dipende in modo significativo dalle circostanze dipartimentali (per esempio il numero di operatori, l’esperienza specifica e la formazione adeguata) e dalla capacità di cooperare del paziente (Pikó B, et al., 2013).

Tabella 2. Fattori di rischio correlati a paziente, procedura e trattamento (ACR, 2013; GOSH, 2012; Dougherty L, 2010; Pérez Fidalgo JA, et al., 2012; Pikó B, et al., 2013; Dougherty L, et al., 2010; GMCCN, 2011)

Fattori di rischio correlati all’agente farmacologico
Qualora si verifichi uno stravaso, l’entità della lesione non dipende direttamente solo dalla quantità dell’agente che fuoriesce dai vasi sanguigni ma anche dai seguenti aspetti: struttura chimica, meccanismo d’azione, reazione chimica indotta, osmolarità, concentrazione ed effetti diretti sui vasi sanguigni (vasocostrizione e vasodilatazione) (Pikó B, et al., 2013). In letteratura, i farmaci antineoplastici sono divisi in tre gruppi principali in base al loro effetto sul tessuto (Pikó B, et al., 2013):

  • farmaci vescicanti, che causano spesso necrosi tessutale;
  • farmaci irritanti, con complicanze lievi;
  • farmaci non vescicanti, con conseguenze minime o assenti.

Anche fra gli agenti con potere vescicante vi sono differenze importanti: quelli che si legano al DNA nel tessuto sano (per esempio le antracicline) non sono metabolizzati e conseguentemente possono causare un maggiore grado di distruzione tessutale (Dougherty L, 2010; Pikó B, et al., 2013; Dougherty L, et al., 2010; GMCCN, 2011; Wengström Y, et al., 2008). Il potenziale danno tessutale può essere influenzato anche da fattori quali l’ampiezza del tessuto danneggiato e della zona soggetta a stravaso e l’uso ripetuto di farmaci vescicanti (Unsal Avdal E, et al., 2012). I nuovi farmaci biologici mirati differiscono dai tradizionali agenti citostatici sia nei loro effetti terapeutici sia in quelli collaterali, quindi è difficile la loro collocazione nella classificazione precedentemente illustrata; questo comporta pareri controversi riguardo al trattamento corretto in caso di loro stravaso (Pikó B, et al., 2013).

Fattori di rischio correlati a infusione tramite dispositivo impiantato in vena centrale
Alcuni pazienti possono essere candidati per il posizionamento di un dispositivo di accesso venoso centrale (per esempio, port-a-cath, catetere Hickman e catetere venoso centrale) (Schulmeister L, 2011). Tuttavia anche per tali dispositivi sussistono specifici fattori di rischio per stravaso di sostanze vescicanti (Tabella 3).

Tabella 3. Fattori di rischio correlati a infusione tramite dispositivo impiantato in vena centrale (Schulmeister L, 2011)

Prevenzione
La posizione più appropriata per il posizionamento di un’agocannula è considerata l’avambraccio, tuttavia in certi casi una grande vena a decorso rettilineo sopra il dorso della mano potrebbe essere preferibile a una piccola vena dell’avambraccio (Dougherty L, 2008). Anche se nella fossa antecubitale potremmo apprezzare vene potenzialmente incannulabili, è preferibile selezionarle per eventuali tentativi di incannulamento successivi in quanto il minimo movimento dell’articolazione provocherebbe dislocamento del dispositivo (EONS, 2007; Schulmeister L, 2010; Dougherty L, 2008). Le vene sul dorso della mano, sul polso e antecubitali hanno poco tessuto sovrastante: se si verifica in queste aree uno stravaso vescicante è più probabile il danno alle strutture sottostanti (tendini, legamenti e nervi) (Schulmeister L, 2010). Qualora vi sia il minimo dubbio circa la collocazione o la pervietà di un’agocannula, essa deve essere rimossa e riposizionata nell’altro braccio o in una posizione sopra il precedente sito di fallita venipuntura (WoSCAN, 2009). Idealmente, i cateteri venosi periferici andrebbero inseriti immediatamente prima della somministrazione di farmaci antineoplastici vescicanti (Schulmeister L, 2010): infatti, anche i dispositivi che sono stati inseriti da poche ore possono produrre traumi meccanici alla parete venosa e aumentare il rischio di stravaso (Schulmeister L, 2010). I farmaci vescicanti non dovrebbero mai essere somministrati in un sito sottostante a quello di un recente prelievo venoso o di recenti o non ancora guarite lesioni da stravaso (Schulmeister L, 2010). In caso di somministrazione da vena periferica, essa dovrebbe avvenire tramite infusioni che scendono per gravità o a mezzo di boli endovenosi, evitando la somministrazione per pompa infusionale; essa, infatti, potrebbe continuare a infondere un vescicante nel tessuto finché non si attiva l’allarme ed è anche possibile che in presenza di uno stravaso esso non si azioni (Schulmeister L, 2010). Dato che i sintomi più comuni di stravaso sono rossore e gonfiore e il disagio può non essere avvertito, l’applicazione di una medicazione trasparente ha la doppia funzione di mantenere in sito il dispositivo e consentirne la visualizzazione durante l’infusione (Schulmeister L, 2010). Un ritorno del sangue dal dispositivo dovrebbe essere ottenuto prima di somministrare un vescicante in quanto è un segno abbastanza affidabile del suo corretto posizionamento (Schulmeister L, 2010). Nonostante ciò, l’infermiere dovrebbe comunque valutare il sito di inserimento del dispositivo in termini di gonfiore, fragilità della cute o perdita di fluido, indicativi dell’opportunità di scegliere un’altra sede più appropriata (Schulmeister L, 2010). Qualora non si ottenga un ritorno di sangue da un dispositivo periferico se ne deve inserire uno nuovo in un’altra posizione (Schulmeister L, 2010). Un’agocannula non deve mai essere testata infondendo un farmaco vescicante; allo scopo andrebbero utilizzati solo soluzione fisiologica, ovvero cloruro di sodio (NaCl) allo 0,9%, o destrosio al 5% (Schulmeister L, 2010). Se il ritorno di sangue non si ottiene da un dispositivo di accesso venoso centrale, occorre posizionare il paziente supino e lavare il dispositivo molto delicatamente con una siringa da 10 ml di soluzione fisiologica (Schulmeister L, 2010). In caso di esito negativo si può utilizzare una siringa da 20 ml per tentare di aspirare il sangue: la dimensione maggiore diminuisce la forza sulla parete interna del presidio e può consentire il ritorno di sangue (Schulmeister L, 2010). Nel caso in cui non si ottenga ancora reflusso di sangue occorrerà procedere alla disostruzione utilizzando un agente trombolitico o confermare, tramite esame angiografico, il corretto posizionamento del dispositivo e la sua pervietà (Schulmeister L, 2010).

Monitoraggio
Il monitoraggio è la chiave per la diagnosi precoce sia di infiltrazione sia di stravaso (Dougherty L, 2008). Fra le competenze che si richiedono all’infermiere, assume rilievo fondamentale la capacità di educare il paziente alla prevenzione e alla gestione dello stravaso da farmaco vescicante (Tabella 4) (Smith LH, 2009).

Tabella 4. Monitoraggio del sito ed educazione al paziente (Smith LH, 2009)

L’infermiere deve sempre confermare la pervietà tramite lavaggio con almeno 5-10 ml di cloruro di sodio allo 0,9% prima di somministrare qualsiasi soluzione vescicante o farmaco (Dougherty L, 2008). E’ consigliato il controllo del reflusso di sangue ogni 2-5 ml di farmaco ma, non essendo sempre un segno affidabile, è bene che l’infermiere valuti anche il sito, controlli l’eventuale gonfiore e interroghi il paziente su come avverte il sito di iniezione (Dougherty L, 2008). Con un catetere venoso centrale dovrebbe sempre essere possibile ottenere il reflusso del sangue ma, se questo non è possibile, occorre effettuare ulteriori indagini per verificarne la pervietà prima di somministrare qualunque farmaco, che sia vescicante o meno (Dougherty L, 2008). Le abilità, le conoscenze e le competenze di base e avanzate nonché la formazione continua degli operatori sanitari è indispensabile per mantenere lo standard di cura a un livello costantemente elevato (EONS, 2007; Dougherty L, et al., 2010; GMCCN, 2011). Tutto il personale deve inoltre essere incoraggiato a riesaminare periodicamente la letteratura scientifica in merito alla somministrazione di farmaci vescicanti e ai nuovi agenti terapeutici come parte essenziale della propria formazione continua (Smith LH, 2009). La comunicazione e l’informazione al paziente prima, durante e dopo l’infusione di farmaci vescicanti, per vena periferica o centrale, sono molto importanti in quanto egli è chiamato a riferire agli operatori sanitari segni e sintomi di sospetto stravaso di farmaco vescicante (Smith LH, 2009). Il paziente deve essere informato circa la natura della terapia che sta ricevendo e la possibilità di incorrere in effetti collaterali in modo da potere segnalare prontamente qualsiasi sensazione avvertita, per quanto insignificante possa apparire (Smith LH, 2009). Un paziente informato aiuta l’infermiere a riconoscere precocemente l’insorgenza di stravaso e va sempre ascoltato (Smith LH, 2009).

Riconoscimento
I sintomi iniziali di stravaso si verificano subito dopo il danneggiamento del vaso sanguigno (Tabella 5) (EONS, 2007). A seconda dell’agente responsabile, i sintomi possono essere costituiti da disagio o dolore che può variare da lieve a intenso; spesso i pazienti lo descrivono come una sensazione di bruciore (EONS, 2007). Il dolore, nelle ore successive, può essere seguito da eritema ed edema e/o scolorimento o arrossamento cutaneo in prossimità del sito di infusione (EONS, 2007).

Tabella 5. Riconoscimento di stravaso (EONS, 2007)

I sintomi iniziali di stravaso non sempre sono tipici di uno specifico agente ma possono essere attribuibili a diverse sostanze, sia irritanti sia vescicanti (EONS, 2007). La progressione dei sintomi iniziali tuttavia è molto diversa per queste due classi, soprattutto in materia di danni permanenti ai tessuti (EONS, 2007). E’ fondamentale che uno stravaso sia riconosciuto e diagnosticato precocemente (EONS, 2007; GOSH, 2012). Il modo più efficace per riconoscere e rilevare uno stravaso nelle sue fasi iniziali è conoscere e agire su tutti i segni e i sintomi (EONS, 2007). I segni e i sintomi rivelatori possono essere raccolti da segnalazioni dei pazienti, valutazione visiva del sito di iniezione e attento monitoraggio del dispositivo endovenoso (EONS, 2007). La qualità della valutazione infermieristica durante la somministrazione del farmaco può svolgere un ruolo fondamentale riducendo al minimo la frequenza e la severità dello stravaso (EONS, 2007). Date le gravi conseguenze che ne possono derivare, se vi è anche il minimo dubbio, è sempre consigliabile un secondo parere (EONS, 2007). I più importanti sintomi riportati dal paziente per valutare uno stravaso riguardano la sensazione intorno al sito di iniezione o, nel caso di una linea centrale, intorno al punto di inserimento cutaneo (EONS, 2007). I segni visivi, anche se non esclusivi di stravaso, forniscono la conferma utile per i report dei pazienti in caso di sospetto di evento (EONS, 2007). Oltre a quanto riferito dal paziente e ai segni visibili, è possibile determinare se si è verificato uno stravaso anche controllando la linea di infusione (EONS, 2007). Il dispositivo di accesso deve essere ben protetto (Dougherty L, 2008). La pressione di un’eventuale pompa di infusione deve essere monitorata e documentata almeno ogni ora (Dougherty L, 2008). Il sito di infusione deve essere controllato ogni 30-60 minuti e documentato quando è in uso e se si sospetta uno stravaso o un’infiltrazione (GOSH, 2012). Controlli più frequenti possono essere necessari a seconda del paziente, dell’integrità vascolare e del tipo di dispositivo di accesso vascolare utilizzato (15-30 minuti) (GOSH, 2012). Il sito di entrata dell’ago nel dispositivo deve essere valutato prima di somministrare vescicanti o soluzioni irritanti (GOSH, 2012). L’allarme sulla pompa di infusione deve essere impostato su una pressione massima raccomandabile pari a 15-25 mmHg per i farmaci vescicanti (GOSH, 2012) all’inizio dell’infusione e ricontrollato all’inizio di ogni turno, se essa è ancora in esecuzione (GOSH, 2012). E’ importante osservare che la lettura della pressione, di per sé, non può né deve essere l’unico indicatore di un possibile stravaso (GOSH, 2012). Per un monitoraggio efficace del sito di inserzione non è raccomandato l’utilizzo di bende o medicazioni che non consentano di rendere visibile lo stesso e quindi di effettuare una precoce diagnosi di stravaso (EONS, 2007; GOSH, 2012). Dopo un’adeguata informazione da parte degli operatori sanitari, occorre interrogare il paziente e l’eventuale caregiver sui segni e sui sintomi occorsi durante o dopo l’infusione ricordando anche che le caratteristiche della manifestazione possono modificarsi nel corso del tempo (Tabella 6) (GOSH, 2012).

Tabella 6. Caratteristiche delle manifestazioni in funzione del tempo (GOSH, 2012)

Gestione
L’intervento precoce e l’identificazione dei primi segni e sintomi di stravaso è di fondamentale importanza al fine di prevenire eventi avversi gravi (Doellman D, et al., 2009). La conformità con le linee guida è essenziale per ridurre al minimo le complicazioni connesse all’evento (Doellman D, et al., 2009). Se si sospetta uno stravaso, il trattamento deve iniziare il più presto possibile (Tabella 7) (SCN, 2011).

Tabella 7. Gestione immediata dello stravaso (GOSH, 2012; GMCCN, 2011; Wengström Y, et al., 2008; WoSCAN, 2009; Doellman D, et al., 2009)

La diagnosi precoce e il trattamento più idoneo attuato entro le 24 ore possono ridurre significativamente i danni ai tessuti (SCN, 2011). Tuttavia, in alcuni casi, lo stravaso può risultare evidente solo 4 settimane dopo la somministrazione (SCN, 2011). Piccoli stravasi (volumi massimi di 1-3 ml) possono risolversi spontaneamente, anche se questo non può essere il caso di soggetti in età pediatrica, per i quali la percentuale di danno sarà proporzionalmente di grado maggiore (SCN, 2011). La gestione dello stravaso successiva all’evento acuto (Tabella 8) si basa su due principi diversi: 1) localizzazione e neutralizzazione, e 2) dispersione e diluizione.

Tabella 8. Gestione successiva dello stravaso (EONS, 2007; GMCCN, 2011)

Nel primo caso si applica una sorgente fredda sul sito di stravaso che provoca vasocostrizione e localizzazione del farmaco (EONS, 2007). In questa fase può essere usato un antidoto per neutralizzare il farmaco, che sarà poi disperso attraverso i circoli vascolare e linfatico locali (EONS, 2007). L’antidoto da utilizzare dipenderà dal tipo di farmaco e dal volume di stravaso (EONS, 2007). Nel secondo caso si applica una fonte di calore sul sito di stravaso che provoca vasodilatazione aumentando la distribuzione e l’assorbimento e diminuendo la concentrazione locale del farmaco (EONS, 2007). L’utilizzo di uno o dell’altro principio di gestione dipende dal tipo di farmaco e dal suo potere vescicante (EONS, 2007). Vale la pena notare che, al di là delle procedure qui descritte, la gestione dello stravaso, purtroppo, non è ancora standardizzata in modo ottimale per mancanza di prove ben documentate, il che spesso richiede la necessità di una consulenza specialistica (EONS, 2007).

Gestione non farmacologica e farmacologica
Le fonti di caldo o di freddo (Tabella 9) non dovrebbero essere applicate direttamente sulla cute: andrebbero collocate alcune garze asciutte come barriera protettiva tra la cute e la fonte di riscaldamento o di raffreddamento (WoSCAN, 2009).

Tabella 9. Gestione non farmacologica e farmacologica dello stravaso (Sarasota Memorial Hospital, 2012)

L’applicazione di calore provoca vasodilatazione, aumenta la distribuzione del farmaco e il suo assorbimento e ne riduce le concentrazioni locali (WoSCAN, 2009); favorisce inoltre la dispersione degli alcaloidi della vinca ed è di aiuto nelle lesioni indotte non vescicanti dove sia richiesta una strategia di “dispersione e diluizione” (WoSCAN, 2009). Il calore non dovrebbe mai essere usato per lesioni indotte da doxorubicina: questo ne aumenta l’assorbimento cellulare e quindi l’effetto citotossico (WoSCAN, 2009). Laddove il calore è consigliato, si raccomanda di utilizzare impacchi caldi sulla zona soggetta a stravaso per 20 minuti ogni 6 ore (WoSCAN, 2009).
Il raffreddamento topico diminuisce il dolore e il fastidio nel sito di stravaso e provoca vasocostrizione (WoSCAN, 2009). Diminuendo l’apporto di sangue diminuisce la richiesta metabolica del tessuto colpito e rallenta l’assorbimento del farmaco (WoSCAN, 2009). Inoltre, cambia anche la fluidità della membrana cellulare rendendo le cellule meno sensibili agli effetti dannosi (WoSCAN, 2009). Questo approccio non deve essere utilizzato per le lesioni da alcaloidi della vinca in quanto aumenta la probabilità di formazione di ulcere (WoSCAN, 2009). Quando è indicato il raffreddamento topico si raccomanda di utilizzare un impacco freddo sulla zona per 30 minuti ogni 4 ore (WoSCAN, 2009). La gestione farmacologica dello stravaso avviene attraverso l’uso dei cosiddetti antidoti (Sarasota Memorial Hospital, 2012); essi sono agenti applicati o iniettati nella zona di stravaso per contrastare gli effetti dell’agente infiltrato. Costituiscono una parte importante delle strategie di “localizzazione e neutralizzazione” e di “dispersione e diluizione” (Sarasota Memorial Hospital, 2012). Per esempio, il dexrazoxane può contribuire a neutralizzare le antracicline mentre la ialuronidasi facilita la diluizione di alcaloidi della vinca nei tessuti circostanti (Sarasota Memorial Hospital, 2012). A condizione che siano utilizzati e infusi in modo appropriato, coadiuvano a prevenire la progressione verso lo stato di ulcerazione, la formazione di vesciche e necrosi (Sarasota Memorial Hospital, 2012). Tuttavia, va detto che le prove di efficacia che sostengono l’uso di diversi antidoti sono spesso inconcludenti e il loro utilizzo (a favore o contro) deve essere sottoposto a un’attenta valutazione (Sarasota Memorial Hospital, 2012). Fra le principali controversie relative alla gestione dello stravaso ancora rimaste irrisolte annotiamo le seguenti:

  • meglio una crema a base di idrocortisone o a base di FANS? L’idrocortisone è utile se c’è un processo infiammatorio (per esempio, un eritema) ma nel caso in cui prevalga il sintomo doloroso è probabilmente migliore il secondo tipo di crema (SCN, 2011);
  • come realizzare in modo efficace l’infiltrazione di antidoto sul sito di stravaso? La tecnica “puntaspilli” è probabilmente il metodo più comune (SCN, 2011). I farmaci possono essere somministrati tramite la cannula originaria; tuttavia, ci può essere qualche rischio nel caso in cui non si è sicuri che tutto il suo decorso sia situato entro il circolo venoso (SCN, 2011);
  • quanto antidoto occorre somministrare? Questo è attualmente difficile da determinare fino a quando non c’è un metodo per valutare con precisione il volume di stravaso (SCN, 2011). Alcuni antidoti possono anche causare danni al tessuto circostante, quindi è importante avere una diagnosi accurata e conoscere con sufficiente certezza il volume dello stravaso per conoscere la quantità di antidoto più opportuna da somministrare (SCN, 2011);
  • si possono eseguire lavaggi con soluzione salina in caso di stravaso vescicante? Questa è una tecnica specialistica eseguita in anestesia generale da chirurghi plastici (SCN, 2011). Soprattutto in caso di grandi volumi di stravaso (10-20 ml) è raccomandabile chiedere una loro consulenza (SCN, 2011).


Gestione chirurgica e a lungo termine

I vescicanti possono causare danni ai tessuti se stravasano al di fuori del letto venoso (Tabella 10) (EONS, 2007).

Tabella 10. Gestione a lungo termine dello stravaso (NEYHCA Cancer, 2013; WoSCAN, 2009)

Come per i sintomi iniziali, l’entità del danno tessutale può variare notevolmente in funzione dei diversi regimi di trattamento e della tipologia di pazienti (EONS, 2007).
La distruzione del tessuto circostante può essere progressiva ed evolversi molto lentamente con relativo poco dolore (EONS, 2007). La formazione di indurimenti o ulcere non è un fenomeno immediato (EONS, 2007). In generale, il danno tessutale inizia con la comparsa di infiammazione e vesciche in prossimità del sito di iniezione (EONS, 2007); a seconda del farmaco e di altri fattori esse possono progredire in ulcerazioni ed evolvere in necrosi del tessuto locale (EONS, 2007). La necrosi può occasionalmente essere così grave da rendere irrecuperabile la funzionalità della zona interessata, rendendo necessario un intervento chirurgico (EONS, 2007). Uno stravaso nell’avambraccio provoca danni al tessuto cutaneo e al sottocute (EONS, 2007); se avviene in prossimità di nervi, legamenti o tendini, il danno può avere un impatto sulla sensibilità e sulla motilità della parte interessata (EONS, 2007). Il rinvio a un consulto di un chirurgo plastico è indicato quando, nonostante il trattamento conservativo, la lesione da stravaso progredisce verso l’ulcerazione (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). Una consulenza di chirurgia plastica è consigliata dopo stravasi di grandi volumi di vescicanti in presenza di dolore o se la guarigione non si è verificata dopo 1-3 settimane dall’evento (Schaverien MV, et al., 2008). Tuttavia, è ancora indefinito che cosa si intenda per stravaso di grande volume: non è chiaro dopo quanto tempo e a quale livello di intensità di dolore si renda necessario il consulto chirurgico; un intervallo di 1-3 settimane, per esempio, è relativamente ampio (Schaverien MV, et al., 2008). L’intervento chirurgico definito come tecnica flush out è consigliato in caso di stravasi di grandi volumi di vescicanti che prevede un’ampia escissione con l’utilizzo di innesti (Pikó B, et al., 2013). Tale tecnica è eseguita da chirurghi plastici e consiste nell’esecuzione di un certo numero di piccole incisioni in cui vengono infusi grandi volumi di soluzione fisiologica (cloruro di sodio allo 0,9 %) con l’obiettivo di eliminare il farmaco stravasato (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). La procedura sembra essere meno traumatica e più conveniente rispetto al trattamento chirurgico ma è più efficace se eseguita all’inizio del processo di stravaso (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). Il trattamento della necrosi tessutale o del dolore irrisolto di durata maggiore a 10 giorni richiede un intervento di sbrigliamento chirurgico (debridment) (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). Si ritiene che solo un terzo degli stravasi progredisca in ulcerazione; pertanto, il trattamento chirurgico è riservato solo per gravi stravasi o in pazienti per i quali non è stata adeguatamente avviata la terapia conservativa (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). Qualora si renda necessario, occorre eseguire un’asportazione ampia e tridimensionale di tutti i tessuti coinvolti con copertura temporanea eseguita con medicazione biologica (Dougherty L, et al., 2010; Hannon MG, et al., 2011). Una volta che la ferita è pulita, l’applicazione dell’innesto cutaneo viene eseguita di solito entro 2-3 giorni (Dougherty L, et al., 2010; Schulmeister L, 2011; Hannon MG, et al., 2011). La tempistica appropriata di un intervento chirurgico resosi necessario a seguito di uno stravaso non è ancora chiaramente definita; alcuni medici sono a favore di un approccio conservativo (Schaverien MV, et al., 2008). Un diligente e frequente follow-up è fondamentale per l’identificazione precoce di vesciche o ulcere che necessitano uno sbrigliamento o interventi di chirurgia plastica più aggressivi (Schaverien MV, et al., 2008); pur tuttavia, aspettare e osservare non è un approccio appropriato qualora un paziente abbia dolore persistente, gonfiore ed eritema, vesciche o una necrosi iniziale (Schaverien MV, et al., 2008). Inoltre, un danno funzionale permanente può risultare da un’esposizione prolungata al farmaco vescicante e ritardare l’intervento chirurgico può richiedere ripetuti sbrigliamenti e un’ampia escissione (Schaverien MV, et al., 2008). L’atteggiamento più prudente è rappresentato da una consulenza chirurgica precoce e un intervento conservativo locale entro 24 ore per la gestione dello stravaso combinati fra loro, anche perché, a oggi, non sono disponibili sperimentazioni cliniche randomizzate che abbiano confrontato, per lo stravaso da vescicante, un trattamento conservativo con uno chirurgico (Schaverien MV, et al., 2008). La progressione delle lesioni da stravaso con formazione di vesciche, ulcerazioni o necrosi determina un’importante sintomatologia dolorosa (Hadaway L, 2007). Le sole terapie non farmacologiche (per esempio gli impacchi caldi o freddi) è improbabile che allevino il disagio (Hadaway L, 2007). Sebbene gli analgesici non oppioidi possano essere di qualche utilità, i pazienti che riferiscono dolore da moderato a severo di solito richiedono un oppioide per ottenere un adeguato controllo del dolore, soprattutto quando il sintomo interferisce con il movimento degli arti o le attività quotidiane (Hadaway L, 2007). Il dosaggio deve essere aggressivo per ottenere il sollievo richiesto, quindi gli effetti collaterali correlati dovrebbero essere previsti e adeguatamente gestiti (Hadaway L, 2007).

Segnalazione
E’ importante documentare in modo completo e accurato l’episodio di stravaso e il periodo di follow-up a esso conseguente per consentire una gestione ottimale del danno (WoSCAN, 2009). L’incidente dovrebbe essere documentato attraverso un modulo di segnalazione spontanea degli effetti avversi (incident reporting) e fotografie della zona interessata, da ripetere a ogni follow-up (WoSCAN, 2009). Le foto devono essere di qualità soddisfacente, scattate da diverse distanze e direzioni e con un’esposizione corretta; può essere utile delimitare la zona interessata con un pennarello indelebile (WoSCAN, 2009). Una buona foto può consentire anche future elaborazioni digitali dell’immagine (Pikó B, et al., 2013; WoSCAN, 2009). La documentazione relativa all’avvenuto stravaso serve per diversi scopi (EONS, 2007):

  • fornire un resoconto accurato di quanto è successo (anche nel caso in cui vi sia un contenzioso);
  • tutelare gli operatori sanitari coinvolti nell’incidente;
  • raccogliere informazioni specifiche sulle caratteristiche manifestate dallo stravaso;
  • evidenziare eventuali aree di miglioramento della pratica clinica.

Tutto il processo di segnalazione deve vedere il paziente attivamente coinvolto nel monitoraggio della lesione fino alla sua completa risoluzione (Dougherty L, 2008). Gli infermieri svolgono un ruolo chiave nella prevenzione, nell’identificazione e nella gestione di uno stravaso (GMCCN, 2011). Essi devono fornire adeguate informazioni al paziente e valutare l’insorgenza di segni e sintomi di sospetto stravaso allo scopo di limitarne l’incidenza e la severità delle conseguenze (EONS, 2007). Uno stravaso mal gestito o non trattato può provocare dolore cronico, necessitare di un intervento di chirurgia plastica ed esitare in danni a livello sensoriale e funzionale anche permanenti (Dougherty L, 2010; Doellman D, et al., 2009).
Un esempio di modulo di segnalazione degli eventi avversi è presentato in appendice 1.

Appendice 1. Esempio di modulo di segnalazione degli effetti avversi (incident reporting) (EONS, 2007; GOSH, 2012; Hadaway LC, 2009; SWSH Cancer Network, 2009)


DISCUSSIONE

L’obiettivo della presente revisione narrativa della letteratura è di illustrare le più recenti raccomandazioni di buona pratica clinica per la prevenzione e gestione degli eventi di stravaso da farmaci vescicanti. I fattori di rischio possono essere correlati al paziente (Dougherty L, 2010; Pikó B, et al., 2013; Wengström Y, et al., 2008), all’agente farmacologico (Pikó B, et al., 2013), alla procedura e al trattamento (ACR, 2013; GOSH, 2012; Pikó B, et al., 2013; GMCCN, 2011); ve ne sono inoltre di specifici che riguardano l’infusione attraverso vena centrale (Schulmeister L, 2009, 2011). Il fattore di rischio più frequente è la riduzione del numero di siti di venipuntura ottimali a causa di vene logorate e/o insufficiente disponibilità di accessi venosi (Dougherty L, 2010; Pikó B, et al., 2013; Wengström Y, et al., 2008). La selezione non ottimale della vena per l’inserimento dell’agocannula e un flusso di farmaco troppo rapido, non idoneo al diametro della vena, sono tra i maggiori fattori di rischio per l’insorgenza di stravaso, correlabili rispettivamente alla procedura di incannulamento e al trattamento curativo (ACR, 2013; GOSH, 2012; Pikó B, et al., 2013; GMCCN, 2011). Uno dei fattori di rischio correlato all’infusione del farmaco in vena centrale è rappresentato dall’esecuzione, da parte dell’infermiere, di un lavaggio con siringhe di volume inferiore a 10 ml: ciò determina un sovraccarico di pressione in corrispondenza del sito che favorisce il verificarsi dell’evento (Schulmeister L, 2011). La prevenzione si attua sia attraverso un’adeguata formazione e un aggiornamento del personale infermieristico preposto sia tramite l’educazione del paziente al riconoscimento precoce dei segni e dei sintomi di un possibile stravaso (WoSCAN, 2009; Schulmeister L, 2010; Dougherty L, 2008). E’ importante la rilevazione delle tipologie di pazienti a rischio quale fondamentale forma di prevenzione, specie se appartenenti alle fasce di età estreme e/o con deficit cognitivi e/o sensoriali (WoSCAN, 2009; Schulmeister L, 2010; Dougherty L, 2008). Qualora si utilizzino anestetici topici, la scelta dovrebbe ricadere su quelli a breve durata di azione, in quanto non mascherano l’insorgenza dei sintomi (Schulmeister L, 2010). Si sottolinea la necessità di verificare il buon ritorno di sangue con una siringa da 10 ml dal dispositivo di accesso venoso prima dell’inizio del trattamento (WoSCAN, 2009; Dougherty L, 2008). La pervietà di un dispositivo di accesso endovenoso non dovrebbe mai essere testata infondendo un farmaco antineoplastico, soprattutto se con potere vescicante; allo scopo si possono utilizzare una soluzione fisiologica (cloruro di sodio al 0,9%) o destrosio al 5% (Schulmeister L, 2010). La gestione dello stravaso deve seguire una precisa sequenza di interventi sia nell’immediato, in modo lievemente differente se esso si sia verificato da vena periferica o centrale (GOSH, 2012; GMCCN, 2011; WoSCAN, 2009; Doellman D, et al., 2009), sia in seguito all’evento acuto. In caso di stravaso è previsto l’utilizzo di trattamenti non farmacologici e farmacologici, spesso combinati e complementari fra di loro (EONS, 2007; Sarasota Memorial Hospital, 2012; GMCCN, 2011). Le tecniche non farmacologiche consistono in applicazioni fredde o calde in base alla necessità di eseguire una strategia di “localizzazione e neutralizzazione” oppure di “dispersione e diluizione” dell’agente farmacologico (EONS, 2007; Sarasota Memorial Hospital, 2012; GMCCN, 2011). Il trattamento farmacologico utilizza antidoti; tuttavia, occorre un’attenta valutazione del loro ruolo in quanto le prove che ne sostengono l’uso sono spesso inconcludenti (EONS, 2007; Sarasota Memorial Hospital, 2012; GMCCN, 2011). I farmaci biologici mirati di nuova generazione sono dissimili dai classici agenti citostatici, quindi di difficile collocazione e classificazione in termini di potenziale potere vescicante; ciò comporta pareri controversi sul trattamento corretto in caso di loro stravaso (Pikó B, et al., 2013). Allo stato attuale in letteratura esistono ancora ambiti oggetto di controversie che riguardano (SCN, 2011):

  • l’utilizzo topico di una crema a base di idrocortisone o di FANS;
  • il modo più efficace per realizzare l’infiltrazione di antidoto sul sito di stravaso;
  • la quantità ottimale di antidoto da somministrare;
  • l’opportunità di eseguire lavaggi con soluzione salina.

Dati i potenziali effetti devastanti derivanti da un danno a seguito di stravaso da agente vescicante, è raccomandabile, qualora esso si verifichi, procedere alla compilazione di un modulo di segnalazione degli effetti avversi che contenga i dati identificativi del paziente e dettagliate informazioni relative ai segni e ai sintomi occorsi, sede e caratteristiche del presidio di accesso vascolare e area colpita (EONS, 2007; GOSH, 2012; Hadaway LC, 2009; SWSH Cancer Network, 2009).

CONCLUSIONI
La forma di prevenzione più efficace per evitare l’insorgenza di uno stravaso da farmaci vescicanti consiste in un’adeguata formazione teorica e sul campo e in un aggiornamento continuo del personale infermieristico preposto. E’ di fondamentale importanza anche l’informazione e l’educazione al paziente: per il professionista infermiere essa costituisce un prezioso alleato nel precoce riconoscimento dell’evento. Le componenti preventiva e di riconoscimento precoce hanno un ruolo predominante rispetto alla gestione successiva all’insorgenza di stravaso: questo sia perché la mancanza di prove di efficacia ben documentate non consente una sua standardizzazione sia perché le prove di efficacia a supporto del ruolo degli antidoti sono per ora inconcludenti.

Conflitti di interesse dichiarati: gli autori dichiarano che la proposta di pubblicazione non è già stata oggetto di pubblicazione o contemporaneamente proposta ad altre riviste; non vi è conflitto di interessi relativamente all’articolo proposto; non sono stati ricevuti finanziamenti per la realizzazione dell’articolo da parte di industrie farmaceutiche, biomediche, imprese o enti pubblici o privati.

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