Quando si sogna. Racconti di ragazzi su adolescenza e disabilità


Quando si sogna. Racconti di ragazzi su adolescenza e disabilitàPer le persone che si occupano di disabilità le problematiche riferite in questo libro potrebbero apparire banali e scontate. Ma è invece importante, in questo delicato momento che la sanità e la medicina vivono, stretto tra classificazioni, codificazioni e necessità di riportare ad un numero, un codice le patologie, le sindromi e le complicanze che ogni giorno trattiamo nei servizi di riabilitazione e di Neuropsichiatria infantile, ricordarci e porre attenzione al vissuto dei nostri utenti.
Le autrici infatti non affrontano le patologie che contraddistinguono i differenti ragazzi ma guardano la patologia da un altro punto di vista: quello del loro vissuto concreto. Utilizzano per inabissarsi in questo oscuro mondo, per troppi anni taciuto e rimosso anche dagli operatori, una tecnica ed una modalità poco utilizzata in medicina: la scrittura. “Raccontare, riprodurre in parole ciò che ci accade e ciò che proviamo è uno strano modo per dare un senso alla nostra esperienza, per comprenderla, per collocarla nella nostra autobiografia” (pagina 10). Attraverso i racconti dei differenti ragazzi emergono, a volte in maniera cruda ma viva ed efficace, le limitazioni che subiscono da parte della società, della “diversità” che ogni giorno viene loro rimarcata e che sperimentano, dei sogni non realizzati ma anche della voglia di autonomia e di guardare al futuro come i loro coetanei “sani”. È interessante che nei racconti le patologie che contraddistinguono i diversi ragazzi non emergano, non vengano menzionate. Tutto ciò a rimarcare che il focus è quello di fare emergere il vissuto: “il nostro desiderio era quello di evidenziare similitudini, differenze, punti di contatto, lungo un continuum di stati d’animo ed eventi vissuti” (pagina 9). “Il libro prende avvio dalla testimonianza in prima persona di ragazzi disabili che riflettono su di sè e la propria quotidianità, che con le loro parole ci danno uno spaccato sull’adolescenza che non è teorizzazione sulle fatiche della crescita e del cambiamento, bensì racconto del sentire, pensare, affrontare di un adolescente anche alle prese con le limitazioni fisiche” (pagina 16).
Avanzando nella lettura del libro, attraverso i testi scritti dai ragazzi, si è portati, in modo involontario ma quasi inevitabile, a fermarsi e riflettere sul proprio lavoro e ad interrogarsi se accanto al dolore fisico poniamo attenzione al dolore soggettivo e alle emozioni: quel dolore e quelle emozioni che emergono dagli scritti di Beatrice, Cristiano, Fiamma, Fedez, Francesco… In questo modo il libro appare come una testimonianza di un percorso proposto ed attuato presso il Servizio di Neuropsichiatria infantile degli Ospedali riuniti di Bergamo e contemporaneamente come uno strumento per gli operatori dei servizi per riflettere e considerare differenti punti di vista intorno alla disabilità. Inoltre attraverso i testi emerge un altro importante quesito: la diversità tra integrazione ed inclusione. Scrive Raffaello “All’interno di questo gruppo ho infatti avuto la possibilità di sentirmi normale attraverso lo stare con gli altri, condividendo un obiettivo creativo comune al quale ognuno dava il proprio contributo, mettendo in gioco le proprie caratteristiche specifiche e in cui la relazione si costruiva spontaneamente, nutrita dalla reciproca curiosità di conoscersi, di conoscere le peculiarità di ciascuno al di là delle etichette del disabile. Nulla a che vedere con quelle tipiche attività organizzate con l’obiettivo esplicito di integrare il disabile che di fatto mi fanno sentire ancora più diverso…” (pagina 63). Nella scuola, ad esempio, come cita l’Index per l’inclusione, il paradigma a cui fa implicitamente riferimento l’idea di integrazione è quello “assimilazionista”, fondato sull’adattamento, dell’alunno disabile, a un’organizzazione scolastica che è strutturata in funzione degli alunni “normali”. All’interno di tale paradigma, l’integrazione diviene un processo basato principalmente su strategie per portare l’alunno disabile a essere quanto più possibile simile agli altri. La qualità di vita scolastica del soggetto disabile viene dunque valutata in base alla sua capacità di colmare il varco che lo separa dagli alunni normali… Viceversa l’idea di inclusione si basa non sulla misurazione della distanza da un preteso standard di adeguatezza, ma sul riconoscimento della rilevanza della piena partecipazione alla vita scolastica da parte di tutti i soggetti. Se l’integrazione tende a identificare uno stato, una condizione, l’inclusione rappresenta piuttosto un processo, una filosofia dell’accettazione, ossia la capacità di fornire una cornice dentro cui gli alunni – a prescindere da abilità, genere, linguaggio, origine etnica o culturale – possono essere ugualmente valorizzati, trattati con rispetto e forniti di uguali opportunità a scuola, […] inclusione è ciò che avviene quando “ognuno sente di essere apprezzato e che la sua partecipazione è gradita” (T. Booth, M. Ainscow, L’Index per l’inclusione, Erickson, Trento 2008, pagine 12 e 13). Le autrici di “Quando si sogna”, riescono attraverso questa raccolta delle “testimonianze” dirette di un gruppo di ragazzi disabili, a farci riflettere su tematiche che in modo trasversale attraversano la nostra società. In conclusione, questo libro ci offre lo spaccato di un vissuto poco noto e soprattutto di un punto di vista, quello dei ragazzi, a volte non sufficientemente ascoltato dagli operatori. Un testo di questo tipo, pertanto, può essere una lettura interessante per tutti coloro che a vario titolo si occupano della presa in carico dei ragazzi disabili, sia nel contesto ospedaliero, che quello dei servizi sul territorio. L’obiettivo può essere quello che, sia pure da un’aumentata consapevolezza sia dei curanti che dei curati, di questa volontà e bisogno di sentirsi inclusi, si possano pensare e costruire percorsi che ne facilitino e supportino la crescita, muovendo dalle loro potenzialità, nonostante tutto.
Ecco perché questi racconti così organizzati, rappresentano uno stimolo prezioso a tanti livelli: gli operatori sanitari e sociali, la scuola, sia in servizio che in formazione, le famiglie e quando possibile i ragazzi stessi.


Maurizio Sabbadini
Dirigente medico Uo di Neuroriabilitazione pediatrica
Irccs Ospedale pediatrico Bambino Gesù

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