Io… dopo.Io adolescente e la mia vita con il cancro


Questo volume offre un viaggio veramente originale tra le testimonianze di ragazzi malati di cancro (pagina XIII), nonché di medici, infermieri, genitori, raccolte da Lorenzo Spaggiari, chirurgo oncologo dell’Ieo di Milano. Nei titoli di coda vengono poi riportate le riflessioni dei ragazzi nella rilettura delle bozze e una postfazione del primario di psicologia clinica Lucio Sarno.
Questa espressione corale non è un dettaglio del libro. Il rapporto empatico, l’intensità e la profondità che si creano in reparti in cui insieme si collabora per far vincere la vita non sono paragonabili ad altre realtà. Marco Venturino, primario di Anestesia, scrive nel libro: “La malattia che entra nella giovinezza è come un camion che viene lanciato a tutta velocità in una cristalleria. Spacca tutto, infrange la danza di quei delicatissimi cristalli che ornano l’adolescenza: bellezza, fragilità, aspettativa, desiderio, sogno, ambizione, attesa, fiducia” (pagina 99).
Ci sono tanti dopo nella nostra vita, ma sicuramente il dopo di questi giovani ragazzi segnati dalla diagnosi di cancro è fatto di una ricchezza interiore e di un valore inestimabile, come dice Umberto Veronesi nell’introduzione. Il cancro è un male allo stato puro e le storie autografe di esperienze di vita raccolte da Spaggiari in questo piccolo ma grande ed intenso libro rappresentano uno spaccato di una generazione che può raccontare ed offrire una lezione di vita . Sono storie scritte liberamente e lasciate integrali perché vengono dal cuore. Il fil rouge che unisce le storie di questi ragazzi è “l’affermazione della vita come valore in sé e dell’amore per gli altri come espressione di questo valore “ (pagina XV); per questo il libro andrebbe letto come un libro d’amore, dice Veronesi.
Il volume ha uno scopo ed un’ambizione per l’autore: raccontare storie di ragazzi che stanno combattendo o hanno combattuto il cancro, per far emergere i loro sentimenti, i loro valori e come questa esperienza abbia cambiato la loro esistenza. L’ambizione è che questi pazienti possano trasmettere qualcosa ai loro coetanei. Ma ci si può trovare, in realtà, molto di più. Il lettore è introdotto infatti, inevitabilmente, verso un percorso di verifica, di rivalutazione, stimolato alla riflessione, all’attenzione ai propri pensieri sul senso della vita, della sofferenza, sulla passione, sui desideri.
Nelle lettere di questi ragazzi non c’è mai disperazione, impotenza, fallimento, piuttosto voglia di vivere. Sono lettere in cui alcune parole ricorrono frequentemente: solidarietà, amicizia, affetto, riconoscenza, Dio, fede, forza di reagire, consapevolezza, oltre a tutto il senso della vita.
V. ha 18 anni ed ha imparato ”a godere di ciò che può essere banale: la pioggia, i giorni grigi o afosi o lo studiare, l’amicizia, l’affetto, la riconoscenza” e consiglia di “provare a vivere la vita come fosse l’ultimo giorno, dando spazio ai sentimenti e alle emozioni” (pagina 6).
L. racconta il brivido che passa per la schiena alla parola tumore e nell’avere a che fare con la paura e la morte. Per lui la vita è stata donata per capire ed amare, ma non si può amare senza capire e non si può capire senza vivere le emozioni che presenta la vita. Regala ogni giorno il suo grande amore per la vita agli amici, il suo sentirsi fortunato perché sta vivendo la vera vita e ritiene sfortunato chi vive sterilmente, senza obiettivi e vere soddisfazioni. L. crede che la vera vittoria sia non guarire, ma essere sempre fino in fondo la stessa persona, con lo stesso amore per la vita, per le cose e le persone che lo hanno fatto diventare quello che è. Coltiva la speranza di non smettere mai di stupirsi e di affezionarsi alle persone, di non congelarsi e di non staccarsi dalla vita.
E. afferma che la vita è imprevedibile ed è come un muro di mattoni che non sempre sono perfetti. La vita non sempre è rosa e fiori, ma ogni brutta situazione porta con sé dei risvolti inimmaginabili che possono stupirci, perché le sfide si possono vincere e possono cambiarci l’esistenza. I ragazzi malati di tumore hanno la forza che si esprime nel poter mostrare i denti, il sorriso in qualsiasi situazione ed insieme al sorriso sanno dire “grazie “(pagina 22). Si cambia fortemente perché il dolore, la sofferenza, il pianto e la disperazione sono istruttivi. Le cose importanti della vita devono ancora venire e il brutto è alle spalle, perché a tanta sofferenza corrisponderà in futuro sicuramente tanta gioia e tanta soddisfazione. Si sente consapevole del fatto che qualsiasi evento porti con sé una scia di luce, una luce così bella da far rabbrividire quella del sole e delle lampadine e raccomanda di non mollare ma di camminare a testa alta lungo le strade tortuose della vita, nella speranza di un “rettilineo in discesa” (pagina 29).
M. si è sposato ed ha due figli e con la malattia ha scoperto che la vita va vissuta intensamente, dando più importanza alla quotidianità ed anche semplicemente ad un vero bacio.
A. ha preso a calci e pugni la vita, a volte come un pugile e a volte come un monaco zen, che crede che la felicità non è alla fine della strada, ma è la strada. Non aveva mai paura e non aveva mai smesso di coltivare i suoi interessi con passione.
Nella seconda parte del libro gli infermieri e i medici coinvolti nelle storie, nelle malattie dei loro pazienti esprimono come sia difficile raccontare a parole le esperienze vissute sul campo: questo a poco a che fare con la competenza e le conoscenze. Tutti riconoscono con umiltà e gratitudine di sentirsi fortunati per i grandi insegnamenti dei pazienti: l’importanza delle piccole cose della vita che ci è donata, la voglia di vivere fino in fondo e in ogni momento. Il primario di Anestesia paragona la capacità professionale ad una scalata di un neofita su di una parete rocciosa: all’inizio ci si concentra sui movimenti per cercare di non cadere e salire in fretta, senza compromettere le scalate degli altri della cordata. Non c’è spazio per guardare il panorama, ma con il tempo la salita diventa meno faticosa, i movimenti più agili ed automatici e si può quindi anche guardare il panorama. Ed allora colpisce come uno schiaffo il dolore variegato, subdolo, lacerante e la malattia è paragonabile ad un canyon creato dal passaggio erosivo di un fiume antico, mentre le gole più orrende sono quelle incise nella giovinezza. Come medico si fa fatica a ricostruire i cocci, ma se si osserva con attenzione, vincendo l’orrore e la paura della frantumazione della vita, ci si può accorgere che ci sono altri addobbi che la giovinezza sa regalare: speranza, tenacia, coraggio, solidarietà e senso dell’amicizia, la forza del rapporto umano e l’abbraccio che consola, la potenza di una parola, la felicità di un attimo, il bisogno di un sorriso, il calore di una carezza, la potenza di una parola. A questo punto tutto quello che hai appreso a scuola e nella salita faticosa verso la vetta del mestiere non basta, è poca cosa e ricominci a imparare, come ad una scuola serale.
La riservata e sobria testimonianza di Spaggiari racconta dell’impossibilità di mollare davanti a tanta umanità, coraggio, forza, sentendosi fortunato di vivere con i pazienti momenti di affetto e amicizia. ”La malattia può portarli via, ma non porterà via mai il ricordo della loro vita e quello che ci hanno dato e quello che abbiamo dato a loro” (pagina 116). Pensa di essere fortunato perché i pazienti gli hanno insegnato che la forza non è nei soldi, nei muscoli e nella carriera, ma nell’anima e li ringrazia per questo.
In conclusione lo psicologo Lucio Sarno, intitolando il suo contributo “Quel che resta dell’anima”, esplora la necessità di considerare il paziente nella sua interezza, discutendo dell’importanza dell’aspetto relazionale e comunicativo. Il prendersi cura globalmente del paziente e della sua famiglia deve necessariamente tener conto di cosa succede alla sua anima (pagina 133) quando si ammala il corpo e di come sia eticamente necessario mantenere lo stato spirituale per permettere all’anima di continuare a vivere. I limiti della vita fisica e mentale dei malati oncologici sono in gran parte imposti dalla malattia e il compito-obiettivo dello psicologo è quello di mantenere più aperta possibile la via che dalla mente, nelle sue componenti affettive e cognitive, conduce alla vita, evitando il più possibile che la vita interiore sia presa solo dalla sofferenza fisica e dai problemi della malattia. La giusta cura della sofferenza, il prendersi cura globalmente, non significa solo lotta per la sopravvivenza, ma promozione del valore della vita, della sua durata e della sua qualità: ciò permette, per tutto il tempo che rimane da vivere, di dare un senso più profondo alla vita.
Un piccolo libro che coinvolge intensamente, da consigliarsi sia a chi lavora a contatto con i ragazzi malati di queste patologie, ma anche a chi è consapevole che si può andare oltre la malattia. Perché non siamo solo le nostre malattie.

Isabella Nicolai
Infermiera Pediatrica, Counsellor, Dipartimento di oncoematologia, Irccs
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – Roma

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