Primary nursing. Conoscere e utilizzare il modello


Primary nursing. Conoscere e utilizzare il modelloIn un momento storico di crisi globale come quello che stiamo vivendo in Italia, che mette in discussione i pilastri dello stato sociale, il libro di Magon e Suardi può rappresentare una “boccata di aria fresca”. Finalmente si parla di cambiamenti dei modelli organizzativi culturali e non dell’ennesima rivisitazione del modello per compiti e funzioni, tanto caro all’infermieristica italiana, in cui l’unica alternativa è la suddivisione in moduli, aree, zone, ma fondamentalmente il lavoro è sempre centrato sulla mansione e non sulla persona assistita.
Il testo si apre appunto con una disamina, condotta da due economisti, circa le specificità del deficit “di intensità e densità assistenziale” (pagina 13) in Italia. Una specificità che ha determinato la difficoltà ad attuare progetti che sperimentano approcci organizzativi innovativi, ma che ha comportato l’utilizzo, per la salvaguardia delle perfomance assistenziali, di modelli organizzativi ispirati a logiche tayloristiche che, come ricordano gli Autori, risultano desuete anche nelle industrie automobilistiche dalle quali sono state generate. Gli autori sottolineano come “la valutazione complessiva del rapporto costi-benefici e della sostenibilità nel lungo periodo della spesa dell’assistenza infermieristica del servizio sanitario nazionale italiano non può limitarsi ad un progetto di riduzione di costo tout court” (pagina 23).
Segue, a cura di Magon e Suardi, una presentazione dell’approccio all’assistenza proprio del primary nursing: un modello organizzativo basato sulla relazione e guidato dalle risorse. Un modello che ha il suo baricentro nella relazione che si instaura tra infermiere e persona assistita quale condizione più adatta per scoprire e comprendere le persone che vengono curate e per rendere significative le informazioni che esse veicolano. Evidenziamo come il prendersi cura o caring infermieristico sia una pratica che si realizza attraverso azioni competenti e disponibilità a occuparsi intenzionalmente della persona assistita. L’infermiere capace di prendersi cura della persona dispone di conoscenze, competenze cliniche esperte, capacità di problem solving e di decision making, competenze tecniche e capacità relazionali. Tutto ciò porta gli infermieri a sviluppare competenze che, una volta, erano principalmente di “sostituzione” mentre ora mirano allo sviluppo delle capacità di autogestione della persona.
Entrando nel vivo del testo, pochi sono gli scritti o gli articoli italiani su come organizzare l’assistenza quotidiana centrando il fulcro sulla presa in carico della persona assistita; la maggior parte delle riflessioni su questo argomento sono state condotte in una cultura diversa da quella italiana e i testi di riferimento sono, in gran parte, tradotti dalla lingua inglese. È questo il contributo specifico che quest’opera apporta alla cultura infermieristica italiana: la sperimentazione nella realtà, come dicono gli autori, “dalle parole ai fatti: realizzare il cambiamento” (pagina 47).
Il testo dettaglia in modo specifico i passaggi chiave necessari all’implementazione di un nuovo modello, la scelta e la sua dichiarazione, l’analisi della realtà, la condivisione, la sperimentazione, la verifica e l’implementazione.
Molto interessante il paragrafo sugli “ostacoli più grossi” (pagina 45) che sono stati individuati in questo percorso, la puntualizzazione sulla pianificazione come strumento “che parla al futuro” (pagina 46) e che aiuta a stabilire corretti rapporti tra infermiere di riferimento (primary) e infermiere associato. Questa è una delle problematiche più sentite nei gruppi che si sono affacciati a questo tipo di modello. Come lo è anche la visibilità del ruolo infermieristico nel percorso della persona assistita, che è sia un riconoscimento, ma anche una responsabilità che gli infermieri non sempre sono pronti ad affrontare.
Un importante lavoro vien proposto sulla documentazione: ogni elemento fondamentale del primary nursing è stato analizzato e sono stati rivisti sia gli strumenti sia le modalità di utilizzo (ad esempio la trasmissione delle consegne). Il testo presenta questi strumenti offrendo quindi al lettore esemplificazioni interessanti che possono, fatte salve le dovute contestualizzazioni, essere utili nell’implementazione del modello.
Interessante inoltre la nascita di progetti complementari al primary nursing che individuano specifici ruoli (case manager) o costruiscono strumenti per la valutazione della performance del professionista. Questi progetti testimoniano come, attraverso una progettualità condivisa, si aprono nuove e originali prospettive di lavoro ad integrazioni dei percorsi originali.
Crediamo che un testo come quello di Magon e Suardi aiuti, non solo gli infermieri ma anche la dirigenza, a vedere oltre agli ostacoli un orizzonte di possibilità. Possibilità che devono da una parte basarsi sul riconoscimento e sulla valorizzazione dei soggetti in gioco – le persone che assistiamo, le persone che assistono – e, dall’altra, orientarsi al confronto su come le nuove modalità di erogazione dell’assistenza contribuiscano a raggiungere risultati sulla collettività. Questo lavoro lancia quindi due sfide: la prima è la sperimentazione di questo modello anche in realtà sanitarie meno protette dal punto di vista organizzativo – vedi l’influenza dei servizi d’emergenza-urgenza sulla programmazione assistenziale delle aree di degenza – e integrate tra servizi ospedalieri e servizi di cure domiciliari a sostegno della continuità assistenziale. La seconda sfida riguarda la valutazione degli outcome conseguibili dall’applicazione dello stesso. Lavorare sui risultati vuol dire identificare con chiarezza lo scopo per il quale lavoriamo: sviluppare l’autocura e sostenere l’autodeterminazione delle persone delle quali ci prendiamo cura.


Chiara Boggio Gilot e Claudia Gatta
Coordinatori Scientifici Progetto Primary Biella

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