La mobilizzazione precoce per la prevenzione della sindrome da allettamento prolungato nell’utente anziano ospedalizzato: una revisione della letteratura


RIASSUNTO
Introduzione Nel paziente anziano il ricovero ospedaliero può causare il declino funzionale e cognitivo e aumentare il rischio di una temibile complicanza: la sindrome da allettamento prolungato.
L’obiettivo dello studio è quello di illustrare le strategie di mobilizzazione precoce ed esplicitare il ruolo dell’infermiere per prevenire la sindrome da allettamento prolungato.
Materiali e metodi E’ stata condotta una revisione della letteratura tramite l’utilizzo di banche dati biomediche e la loro interrogazione tramite filtri e parole chiave; l’analisi e la sintesi degli articoli è presentata in forma narrativa e con tabelle sinottiche.
Risultati
Il concetto di mobilizzazione precoce non ha ancora un significato chiaro e univoco; essa aiuta a prevenire il decadimento funzionale e cognitivo, stimola il trofismo muscolare, migliora l’umore e l’autostima dell’utente anziano ed evita l’insorgenza di complicanze dovute all’inattività prolungata.
Conclusioni
La mobilizzazione precoce è essenziale per il ripristino della salute dopo un ricovero ospedaliero. L’esito è condizionato da variabili legate all’utente, al personale, al modello organizzativo e al contesto di cura. Gran parte della letteratura si occupa di strategie di mobilizzazione rivolte a utenti adulti non anziani. Occorrono ulteriori ricerche utili a pianificare e valutare l’efficacia di programmi riabilitativi specifici per l’utente anziano a rischio di sindrome da allettamento prolungato.
Parole chiave: sindrome da allettamento prolungato, mobilizzazione precoce, anziano, ospedalizzazione
 


Early mobilization for the prevention of prolonged bed rest syndrome in the hospitalized elderly user: a review

ABSTRACT
Introduction In the elderly user hospitalization can cause cognitive and functional decline and increase the risk of a serious complication: the prolonged bed rest syndrome.
The aim of the study is to explain the strategies of early mobilization and clarify the nurse’s role to prevent the prolonged bed rest syndrome.
Materials and methods A review of the literature has been conducted through the query of biomedical databases with filters and keywords; the articles analysis and synthesis has been made in narrative form and with synoptic tables.
Results The concept of early mobilization does not yet have a clear and unambiguous meaning. Early mobilization helps to prevent cognitive and functional decline, stimulates the muscle tropism, improves the mood and the self-esteem of elderly user and avoids the onset of complications due to prolonged inactivity.
Conclusions Early mobilization is essential for the restoration of health after a hospital stay. Outcome is influenced by variables related to user, staff, organizational model and context of care. Most of the literature refers to mobilization strategies aimed at non-elderly adult users. Further research will be needed in planning and evaluating the effectiveness of specific rehabilitation programs for elderly user at risk for prolonged bed rest syndrome.
Key words:
prolonged bed rest syndrome, early mobilization, elderly, hospitalization


 

INTRODUZIONE
Il soddisfacimento del bisogno di movimento, pure non rientrando tra quelli prioritari nella fase acuta di una patologia, non deve essere sottovalutato perché, se rimandato nel tempo, il ripristino delle funzioni locomotorie diventa problematico, complesso e a volte del tutto impossibile, specie in pazienti anziani e/o affetti da patologie cronico degenerative invalidanti (Bliss MR, 2009). La complessità clinica e assistenziale del paziente e la presenza di linee infusionali, drenaggi, una o più soluzioni di continuo o ferite chirurgiche, la mancanza di tempo e/o di personale non devono rappresentare un ostacolo alla mobilizzazione (Morris PE, 2007). Infatti il rischio è di esporre il paziente a vari tipi di complicanze fra cui la più temibile, e quella che forse le riassume tutte, è la sindrome da allettamento prolungato (Killewich LA, 2006). Con tale termine si intende una serie di cambiamenti fisiologici che avvengono nell’organismo a seguito di una protratta inattività (King BD, 2006). Quest’ultima può causare il declino delle normali attività funzionali e aumentare il rischio di complicanze riguardanti vari sistemi e apparati dell’organismo (Knight J et al., 2009) quali per esempio il sistema muscolo-scheletrico, i sistemi cardiocircolatorio, respiratorio e gastroenterico e l’apparato genitourinario (Winkelman C, 2009). La sindrome oltre a essere caratterizzata da una componente fisiologica ne possiede anche una psicologico-ambientale (Lipnicki DM et al., 2009). La popolazione prevalentemente a rischio è quella che conduce vita sedentaria, con età superiore ai 65 anni di entrambi i sessi (Kortebein P, 2009) con un indice di massa corporea (IMC) superiore a 25 chilogrammi per metro quadrato (Johnson KL et al., 2009) e con problemi nutrizionali (Lindgren M et al., 2004). E’ preventivabile che all’aumentare dell’aspettativa di vita e della frequenza annuale di eventi traumatici corrisponderà un incremento d’incidenza della sindrome (Kortebein P et al., 2008). La sindrome da allettamento prolungato può generarsi o peggiorare durante un ricovero ospedaliero laddove la condizione patologica e/o lo stato d’immobilizzazione prolungata agiscono da fattori favorenti (Milbrandt EB, 2008). La mobilizzazione precoce contribuisce a prevenire il declino funzionale e le complicanze associate a un prolungato allettamento (Milbrandt EB, 2008; Graf C, 2006) ma occorre definire i tempi e le modalità di prevenzione ottimali e i contesti clinico assistenziali facilitanti in quanto attualmente non esistono né linee guida né protocolli condivisi (Milbrandt EB, 2008).

Obiettivo
Illustrare lo stato dell’arte a livello clinico assistenziale in merito alla mobilizzazione precoce per la prevenzione dell’insorgenza della sindrome da allettamento prolungato negli utenti d’età superiore ai 65 anni.

MATERIALI E METODITabella 1. Quesito clinico di ricerca individuato tramite la metodologia PICO
E’ stata condotta una revisione della letteratura attraverso la consultazione e l’interrogazione di banche dati biomediche quali PubMed, Cumulative Index to Nursing and Allied Health (CINAHL) e Physiotherapy Evidence Database (PEDro). L’interrogazione di queste banche dati è stata effettuata utilizzando una serie di filtri e parole chiave.
Al fine di formulare una valida strategia di ricerca, per un’efficace interrogazione delle banche dati biomediche e per un ottimale reperimento delle citazioni pertinenti l’argomento considerato nello studio è stato sviluppato un quesito clinico seguendo la metodologia PICO (patient, intervention, comparison, outcome) (Richardson WS, 1995) (Tabella 1). 

Per la revisione sono stati inclusi:

  • gli studi pubblicati negli ultimi dieci anni;
  • gli studi con l’abstract disponibile;
  • gli studi in lingua inglese.

La ricerca bibliografica è stata eseguita il giorno 15 dicembre 2012; le fonti biomediche di interesse per lo studio e le relative strategie di ricerca sono illustrate in Tabella 2.

Tabella 2. Strategia di ricerca bibliografica

Al termine della ricerca è stata operata una prima selezione da parte di due degli autori, Tempera A e Re Luca G, sulla base della pertinenza del titolo e dell’abstract; in caso di dubbio è stato interpellato il terzo autore, Lusignani M.

RISULTATI
I risultati congruenti al quesito clinico sviluppato sono stati 32. Questi articoli, utilizzando una lista di controllo precedentemente predisposta (Tabella 3), sono stati ulteriormente valutati dagli autori, ciascuno in maniera indipendente dagli altri, e quindi filtrati; in seguito a questo passaggio sono stati esclusi altri sette articoli.

Tabella 3. Lista di controllo utilizzata per la selezione degli articoli individuati

Sono stati quindi considerati 25 articoli (Tabella 4).
 

Tabella 4. Risultati della ricerca bibliografica effettuata secondo le strategie stabilite

I contenuti dei singoli studi considerati nella revisione sono riportati in maniera sintetica nella tabella a pagina e71.
I fattori di rischio per l’insorgenza della sindrome da allettamento prolungato si suddividono in intrinseci, legati alla persona, per esempio l’età e lo stile di vita sedentario, ed estrinseci, non legati alla persona ma interagenti con essa, per esempio l’ambiente di vita (Boltz M, 2012). Gli effetti della sindrome d’allettamento prolungato (Winkelman C, 2009; Lipnicki DM et al., 2009; Brower RG, 2009) sono sintetizzati in Tabella 5.

Tabella 5. Componente fisiologica e psicologico-ambientale della sindrome da allettamento prolungato

Il rimodellamento muscolare e osseo, e quindi l’effetto di un allettamento prolungato, è diverso tra uomo e donna: esso è meno accentuato nel sesso femminile, probabilmente a causa di una differente azione ormonale rispetto a quella maschile (Winkelman C, 2009). Si stima che dal 35% al 50% circa degli anziani ricoverati in ospedale subisce un declino funzionale a partire dal terzo giorno di ricovero dovuto principalmente a riposo prolungato, nutrizione inadeguata, sviluppo di malattie iatrogene, infezioni nosocomiali e procedure chirurgiche (King BD, 2006). Le condizioni patologiche più comuni negli utenti ricoverati in ospedale per lo sviluppo di sindrome da allettamento prolungato sembrano essere quelle che colpiscono il sistema cardiovascolare e respiratorio e le fratture (Lindgren M et al., 2004). I pazienti con problemi cognitivi hanno maggiore probabilità di avere un deficit funzionale (Kortebein P et al., 2008). Da non sottovalutare infine il fatto che l’immobilizzazione prolungata, creando perdita della propriocettività e del reclutamento dei motoneuroni per il disuso, aumenta il rischio di cadute (Winkelman C, 2009). Le più diffuse cause di mortalità connesse alla sindrome da allettamento prolungato sono le infezioni a carico dell’apparato respiratorio e le embolie polmonari (Johnson KL et al., 2009).
Per qualunque individuo l’esercizio fisico riduce lo stress ossidativo, migliora il tono dell’umore, riduce la sensazione di fatica e il decadimento muscolare (Vollman KM, 2010); dunque la mobilizzazione precoce di un utente, dopo l’evento acuto che ne ha determinato il ricovero in una struttura ospedaliera, rappresenta uno standard di cura per favorire il recupero ed evitare di incorrere nella sindrome da allettamento prolungato (Winkelman C, 2009). L’attività fisica contribuisce alla ripresa funzionale qualora sia regolare e consideri le caratteristiche dell’utente e la complessità della malattia (Winkelman C, 2009). Alcune strategie possono essere svolte al di là delle condizioni critiche in cui verte l’utente ma occorre sempre valutarne le capacità funzionali residue, la tolleranza all’esercizio, lo stato cognitivo, il tipo e il livello di gravità della patologia (Morris PE, 2007; Kortebein P, 2009; English KL et al., 2010; Winkelman C, 2009; Pellatt GC, 2007; Killewich LA, 2006; Vollman KM, 2010). In Tabella 6 sono rappresentate schematicamente alcune strategie di mobilizzazione precoce.

Tabella 6. Strategie di mobilizzazione precoce

La mobilizzazione precoce non è indicata in particolari condizioni patologiche come per esempio l’angina instabile, le coronaropatie, l’insufficienza cardiaca allo stato terminale, le valvulopatie, le aritmie maligne o instabili, l’aneurisma aortico;‒ in tali casi è richiesto un trattamento personalizzato per evitare un peggioramento della condizione ma per molte altre i dati disponibili in letteratura non forniscono risposte certe (Kortebein P, 2009). Allo stato attuale non esistono linee guida che forniscano un protocollo unico e condiviso di riabilitazione precoce (Milbrandt EB, 2008) e non è univocamente chiaro quali siano la dose ottimale di terapia motoria precoce e le figure preposte (fisioterapisti, infermieri, pazienti o caregiver) in funzione del tipo di paziente, della condizione patologica, della strategia di mobilizzazione e dell’obiettivo di cura (Milbrandt EB, 2008). Inoltre esistono condizioni predisponenti o limitanti per la mobilizzazione precoce (Tabella 7) che inevitabilmente possono condizionare gli esiti di cura a prescindere dalla tecnica di mobilizzazione precoce prescelta e dalla figura professionale individuata per attuarla (Kortebein P, 2009; Graf C, 2006; Gillis A et al., 2005; Boltz M, 2012; Morris PE, 2007; King BD, 2006; Milbrandt EB, 2008; Killewich LA, 2006; Bliss MR, 2009; Vollman KM, 2010).

Tabella 7. Mobilizzazione precoce: condizioni facilitanti e limitanti

La qualità della relazione infermiere-paziente è fondamentale nel corso della degenza perché influisce sull’andamento del percorso di cura e la relativa precoce ripresa funzionale, soprattutto se l’individuo è anziano (Gillis A et al., 2005). Occorre stabilire, in collaborazione con gli altri professionisti, con il paziente e gli eventuali familiari o caregiver, gli obiettivi riabilitativi personalizzati, condivisi, concordati, negoziati e raggiungibili in modo che si instauri una mutua collaborazione (Gillis A et al., 2005). Il paziente dev’essere stimolato e reso partecipe delle tecniche che deve apprendere o compiere, bisogna prestare ascolto alle sue sensazioni e dare risposta ai suoi dubbi oltre a cercare di instaurare un rapporto di empatia per poter trarre il massimo beneficio soprattutto durante le fasi acute della patologia, ovvero quelle in cui c’è il maggiore rischio di insorgenza della sindrome da allettamento prolungato (Gillis A et al., 2005). In modo coerente è necessario avere rispetto delle abitudini e degli stili di vita del paziente correggendone nel tempo solo gli aspetti che più rischiano di inficiare il successo del programma riabilitativo e offrendo adeguati tempi e modi affinché egli comprenda l’errore e si corregga spontaneamente (Gillis A et al., 2005).

DISCUSSIONE
La mobilizzazione precoce è molto importante per contrastare il declino funzionale, accelerare la ripresa dell’organismo e prevenire l’insorgenza della sindrome da allettamento prolungato. Anziché farsi condizionare dalla complessità del paziente, dai presidi sanitari a esso collegati o dal timore di commettere un errore durante la mobilizzazione occorre rivolgere l’attenzione sui benefici apportati, non ultimo il minore soggiorno in ospedale.
Il termine “precoce” non autorizza a definire con precisione quando sia più opportuno iniziare una terapia riabilitativa per il paziente ma l’essenziale è che essa sia eseguita quando i parametri emodinamici sono stabilizzati. Alcune delle strategie di mobilizzazione precoce possono essere attuate dall’infermiere il quale, dunque, ha un ruolo attivo e fondamentale nel prevenire la sindrome da allettamento prolungato, soprattutto con pazienti fragili e anziani.

CONCLUSIONI
Diversi studi illustrano le modificazioni fisiologiche che avvengono in un individuo a seguito di un allettamento prolungato; tuttavia sono pochi quelli che trattano di mobilizzazione precoce attuata in utenti anziani ricoverati in ospedali per acuti. Molte delle conoscenze si riferiscono a una popolazione giovane o adulta in fase di riabilitazione dopo traumatismi o interventi ortopedici; è auspicabile la promozione d’ulteriori ricerche in merito allo sviluppo di programmi riabilitativi specifici per l’utente anziano e finalizzati alla riduzione del rischio di insorgenza della sindrome da allettamento prolungato.

Conflitti di interesse dichiarati: gli autori dichiarano la non sussistenza di eventuali conflitti di interesse.
 

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Bibliografia

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Tabella. Sintesi dei contenuti degli articoli inclusi nella revisione

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