Livelli di autonomia dei pazienti sottoposti a impianto di pacemaker cardiaco: studio pilota sugli effetti della mobilizzazione precoce


RIASSUNTO
Introduzione Anche se mancano in letteratura indicazioni precise sull’argomento, in molti casi ai pazienti sottoposti a impianto di pacemaker viene fatto osservare un periodo di riposo a letto di almeno 24 ore. Con questo studio pilota ci siamo proposti di valutare gli effetti di una mobilizzazione precoce (3 ore dopo l’intervento) in termini di livelli di autonomia e frequenza di complicanze postoperatorie.
Materiali e metodi Lo studio è stato condotto su un campione di 32 pazienti sottoposti a impianto di pacemaker  presso il Centro Cardiologico Monzino di Milano tra il settembre e il dicembre 2010. I pazienti reclutati sono stati assegnati al gruppo sperimentale di mobilizzazione precoce o al gruppo di controllo di mobilizzazione tardiva (36 ore dopo l’intervento) mediante randomizzazione; ciascun gruppo era composto da 16 soggetti. Il protocollo di mobilizzazione precoce prevedeva l’applicazione di una medicazione elastica non adesiva sulla spalla omolaterale all’impianto. I livelli di autonomia sono stati valutati utilizzando la scala FIM® (Functional Indipendence Measure) al momento dell’ingresso in reparto e a 6, 12 e 36 ore dall’impianto del pacemaker. Sono state registrate sia le complicanze direttamente correlate all’impianto sia le complicanze cliniche non specifiche.
Risultati I punteggi rilevati a 6 e a 12 ore dall’intervento mostrano che per diversi indicatori della scala FIM® i livelli di autonomia erano significativamente superiori per i pazienti del gruppo di mobilizzazione precoce. Nel complesso, nel gruppo sperimentale si è riscontrata una frequenza di complicanze maggiore (37,5% vs 31,3%), ma la differenza rispetto al gruppo di controllo non era statisticamente significativa.
Conclusioni La mobilizzazione a 3 ore dall’impianto del pacemaker, con medicazione elastica non adesiva, è risultata associata a un ripristino più rapido dell’autonomia valutata secondo la scala FIM®. 
Parole chiave: pacemaker, mobilizzazione precoce, indipendenza funzionale, complicanze postoperatorie


Levels of independence after cardiac pacemaker implantation: a pilot study on the effects of early mobilization

ABSTRACT
Introduction Although there are no specific indications from the literature, in many cases patients undergoing pacemaker implantation are prescribed bed rest for at least 24 hours. The aim of this pilot study was to evaluate the effects of early mobilization (3 hours after surgery) in terms of levels of independence and rate of postoperative complications.
Materials and methods The study was performed on 32 patients who underwent pacemaker implantation at the Centro Cardiologico Monzino of Milan between September and December 2010. The participants were randomly assigned to the experimental group (mobilization 3 hours after surgery, with the application of non-adhesive elastic bandages around the shoulder ipsilateral to the implant) or the control group (mobilization 36 hours after surgery); each group was composed by 16 subjects. Patients’ levels of independence were assessed on admission and 6, 12 and 36 hours after the pacemaker implantation using the Functional Independence Measure (FIM) scale®. Both direct implant-related and indirect clinical complications were recorded.
Results The scores registered at 6 and 12 hours after the intervention show that for several items of the FIM scale® the levels of independence were significantly greater among patients in the early mobilization group. Overall the postoperative complication rate was higher in the early mobilization group (37.5% vs 31.3%), but the difference was not statistically significant.
Conclusions
Mobilization at 3 hours after pacemaker implantation, with non-adhesive elastic dressing, is associated with faster recovery of autonomy as assessed by the FIM scale®.
Key words: pacemaker, early mobilization, functional independence, postoperative complications


INTRODUZIONE

Ai pazienti sottoposti a impianto di pacemaker cardiaco dopo l’intervento viene normalmente prescritto un periodo di riposo a letto di durata variabile sia per permettere un recupero graduale della capacità di svolgere le normali attività sia come misura di profilassi delle complicanze a breve termine.
A questo proposito, uno studio retrospettivo condotto su 1.884 pazienti (Eberhardt et al., 2005) riporta una frequenza complessiva di complicanze del 4,5%; nel 67% dei casi queste complicanze si erano verificate entro i primi 3 mesi dall’impianto. Sulla durata ottimale del riposo a letto postoperatorio non ci sono in letteratura indicazioni precise. In uno studio sperimentale più recente, Miracapillo e collaboratori (2006) hanno confrontato la mobilizzazione precoce a 3 ore dall’impianto del pacemaker con la mobilizzazione a 24 ore dall’intervento. Lo studio non ha riscontrato differenze significative fra i gruppi di trattamento rispetto alla frequenza di complicanze correlate all’impianto insorte durante un periodo di follow up di 2 mesi (5,2% con mobilizzazione dopo 3 ore vs 10,4% con mobilizzazione dopo 24 ore).
Con questo studio pilota ci siamo proposti di valutare gli effetti di un protocollo di mobilizzazione precoce – 3 ore dopo l’intervento, con l’applicazione di una medicazione elastica non adesiva in corrispondenza della spalla omolaterale all’impianto – in termini di livelli di indipendenza funzionale e frequenza di complicanze postoperatorie.

MATERIALI E METODI
Box 1. La scala FIM® (Functional Independence Measure) – Versione italianaIl disegno sperimentale dello studio è di tipo pretest-posttest con gruppo di controllo. Lo studio è stato condotto su un campione formato da 32 pazienti sottoposti a impianto di pacemaker presso l’Unità Operativa di Aritmologia del Centro Cardiologico Monzino di Milano tra il primo settembre e il 20 dicembre 2010. Per la selezione dei partecipanti è stato utilizzato il metodo non probabilistico di convenienza; sono stati inclusi pazienti di età compresa tra i 18 e i 90 anni sottoposti a un primo impianto elettivo di pacemaker mono o bicamerale, che presentavano un livello di autonomia ottimo secondo la valutazione condotta al momento del ricovero.
I pazienti arruolati sono stati suddivisi in 2 gruppi, sperimentale e di controllo, ciascuno composto da 16 soggetti; l’assegnazione ai gruppi è stata effettuata mediante randomizzazione[1] e comunicata solo dopo l’intervento con l’apertura di una busta sigillata. Come illustrato nella Tabella 1, la durata del riposo a letto prescritto dopo l’intervento era di 3 ore per il gruppo sperimentale e di 36 ore, secondo la procedura standard del reparto, per il gruppo di controllo; il protocollo di mobilizzazione precoce prevedeva l’applicazione di una medicazione elastica non adesiva in corrispondenza della spalla e del braccio omolaterali all’impianto.
I livelli di autonomia dei partecipanti sono stati accertati mediante la scala FIM® (Functional Independence Measure) sia al momento dell’ingresso in reparto (T0) sia nel periodo postoperatorio a 6, 12 e 36 ore dall’intervento. La scala FIM® valuta 18 indicatori dell’indipendenza funzionale in 2 aree principali, motoria (13 item) e cognitiva (5 item); per ciascun indicatore il punteggio può variare da un massimo di 7 (autosufficienza completa) a un minimo di 1 (assistenza completa). L’accreditamento all’uso della scala prevede un corso di formazione specifico (vedi Box 1).

Tabella 1. Protocollo operativo dello studio

L’analisi statistica dei dati è stata effettuata con l’impiego del programma informatico Social Pack Statistic Software (SPSS, versione 13) e la consulenza di un esperto esterno.
La significatività delle differenze fra i gruppi di trattamento rispetto ai punteggi medi per ogni singolo item della scala FIM® è stata valutata utilizzando il test t di Student.
Lo studio è stato condotto con l’autorizzazione del Comitato Etico dell’ospedale e il consenso scritto dei partecipanti.

RISULTATI
Le caratteristiche principali dei pazienti inclusi nello studio sono riassunte nella Tabella 2.

Tabella 2. Caratteristiche dei pazienti inclusi nello studio

Il gruppo sperimentale era composto da 11 maschi e 5 femmine (con età media pari a 68,5 anni), il gruppo di controllo da 9 maschi e 7 femmine (età media 70 anni); la durata media del ricovero è stata di 4,31 giorni per il primo gruppo e di 4,38 giorni per il secondo. Per le variabili considerate non si sono riscontrate differenze significative fra i gruppi (p>0,05), che possono quindi essere ritenuti equivalenti.
L’analisi dei dati raccolti ha evidenziato una differenza percentuale tra i punteggi medi complessivi ottenuti sulla scala FIM® al momento del ricovero (T0) e a 6 ore dall’impianto del pacemaker (T6) del 17,37% (deviazione standard 8,88) per il gruppo sperimentale di mobilizzazione precoce e del 45,08% per il gruppo di controllo (deviazione standard 2,68), con una differenza fra i gruppi statisticamente significativa (p<0,001).
A 12 ore dall’intervento (T12) la differenza percentuale media rispetto ai valori T0 è risultata pari al 12,04% (deviazione standard 8,44) per il gruppo sperimentale e al 43,71% (deviazione standard 3,63) per il gruppo di controllo, anche in questo caso con una differenza significativa fra i gruppi (p<0,001).
I punteggi medi rilevati ai tempi T6 e T12 rispetto ai singoli indicatori della scala FIM® (vedi Box 1) per cui si sono riscontrate differenze statisticamente significative fra gruppo sperimentale e gruppo di controllo sono riportati nella Figura 1 (T6) e nella Figura 2 (T12).

Figura 1. Medie dei punteggi relativi agli indicatori della scala FIM® per cui si sono rilevate differenze significative (p<0,05) fra gruppo sperimentale e gruppo di controllo a 6 ore dall’intervento (T6)
Figura 2. Medie dei punteggi relativi agli indicatori della scala FIM® per cui si sono rilevate differenze significative (p<0,05) fra gruppo sperimentale e gruppo di controllo a 12 ore dall’intervento (T12)
 
La Tabella 3 riporta invece la frequenza assoluta e relativa delle complicanze postoperatorie registrate durante il periodo di osservazione, fino alla dimissione dall’ospedale.

Tabella 3. Frequenza delle complicanze postoperatorie

Sono state considerate sia le complicanze direttamente correlate all’impianto, come ematomi della tasca sottocutanea sede del pacemaker o dislocazioni degli elettrocateteri, sia l’insorgenza di nausea e vomito o la necessità di ricorrere alla somministrazione di analgesici per alleviare il dolore. Nel gruppo sperimentale si sono verificate complessivamente 6 complicanze (37,5%), nel gruppo di controllo 5 (31,3%); la differenza fra i 2 gruppi non era statisticamente significativa (p>0,05).

DISCUSSIONE
Durante il periodo di studio, a livello clinico si è osservato che i pazienti del gruppo di mobilizzazione precoce si dimostravano relativamente indipendenti in termini di movimento e provvedevano, con adattamenti ma in piena autonomia, all’igiene personale; i pazienti che appartenevano al gruppo di controllo manifestavano invece maggiori bisogni di assistenza infermieristica sia per il movimento sia per l’igiene (Cantarelli, 2003). La quotidianità dell’assistenza diretta si è di conseguenza differenziata nell’organizzazione e nella tipologia delle prestazioni erogate, che per i pazienti del gruppo sperimentale si limitavano essenzialmente al controllo della medicazione, al monitoraggio dei parametri clinici e alla valutazione della sicurezza del movimento.
Nelle misurazioni del grado di indipendenza funzionale effettuate mediante la scala FIM® a 6 e a 12 ore dall’intervento, nel gruppo sperimentale i punteggi per gli indicatori relativi a cura della persona e mobilità/locomozione sono risultati nettamente superiori. Le differenze rilevate tra i 2 gruppi nei livelli di autonomia trovano quindi riscontro in una diversa complessità assistenziale, anche se quest’ultima non è stata valutata in maniera sistematica e con sistemi di classificazione specifici: dal punto di vista assistenziale la mobilizzazione a 3 ore dall’impianto del pacemaker sembra avere effetti positivi rispetto a una mobilizzazione più tardiva. A questo proposito va sottolineato che il calcolo della potenza dello studio rispetto all’esito primario dei livelli di indipendenza funzionale ci permette di rifiutare l’ipotesi nulla: le differenze osservate ai tempi T6 e T12 sono statisticamente significative e non sono dovute al caso.
Nel complesso la frequenza di complicanze è risultata maggiore nel gruppo sperimentale, a differenza di quanto riscontrato nello studio condotto da Miracapillo e collaboratori (2006), ma in maniera non statisticamente significativa; le complicanze postoperatorie rilevate non hanno inoltre determinato un allungamento dei tempi medi di degenza rispetto al gruppo di controllo. Al termine di questo studio pilota è stata calcolata la dimensione campionaria adeguata per future ricerche sperimentali mirate a valutare gli effetti della mobilizzazione precoce rispetto all’outcome frequenza di complicanze: considerando che in questo studio il rischio relativo per il gruppo di controllo rispetto al gruppo sperimentale è risultato pari a 0,83, per programmare uno studio prospettico con á=0,05 e una potenza statistica dell’80% è necessario reclutare almeno 1.110 soggetti, con un rapporto tra i gruppi di 1:1.

CONCLUSIONI
Nonostante la ridotta numerosità del campione esaminato, i risultati ottenuti nel corso di questo studio pilota indicano che rispetto alla mobilizzazione a 36 ore dall’intervento la mobilizzazione precoce è associata a un ripristino significativamente più rapido di ottimi livelli di autonomia, quantificati secondo la scala FIM®, in pazienti sottoposti a impianto di pacemaker cardiaco. Come in studi precedenti (Miracapillo et al., 2006), non sono inoltre emerse differenze significative tra la mobilizzazione a 3 ore dall’intervento e la mobilizzazione più tardiva in termini di frequenza di complicanze.
In base ai dati disponibili si potrebbe quindi ipotizzare l’implementazione della mobilizzazione precoce come procedura di routine per questa tipologia di pazienti. Ciò potrebbe portare a un cambiamento importante nella pratica quotidiana dell’assistenza infermieristica, con una probabile diminuzione della complessità assistenziale. La mobilizzazione precoce potrebbe ridurre i tempi di assistenza diretta dedicati a questo tipo di pazienti? Potrebbe abbreviare la durata della loro degenza postoperatoria? Questi interrogativi, nati a conclusione del nostro studio pilota, sono meritevoli di ulteriori approfondimenti in ricerche sperimentali future.


[1] La sequenza delle assegnazioni è stata creata utilizzando la pagina web: http://www.randomization.com/ (consultata l’11 marzo 2010).
 

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Bibliografia

– Cantarelli M (2003) Il modello delle prestazioni infermieristiche. Seconda edizione. Masson, Milano.
– Doubravska L, Dostalova K, Fritscherova S et al. (2010) Incidence of postoperative nausea and vomiting in patients at a university hospital. Where are we today? Biomed Pap Med Fac Univ Palacky Olomouc Czech Repub, 154 (1), 69-76.
– Eberhardt F, Bode F, Bonnemeier H et al. (2005) Long term complications in single and dual chamber pacing are influenced by surgical experience and patient morbidity. Heart, 91 (4), 500-506.
– Epstein AE, DiMarco JP, Ellenbogen KA (2008) ACC/ AHA/HRS 2008 Guidelines for device-based therapy of cardiac rhythm abnormalities: executive summary. J Am Coll Cardiol, 51 (21), 2085-2105.
– Fain JA (2004) La ricerca infermieristica. Leggerla, comprenderla e applicarla. Seconda edizione. McGraw-Hill, Milano.
– Miceli D, Tozzi Q, Di Giulio P et al. (2005) Manuale cardionursing. Uno strumento per l’assistenza infermieristica. Centro Scientifico Editore, Torino.
– Miracapillo G, Costoli A, Addonisio L et al. (2006) Early mobilization after pacemaker implantation. J Cardiovasc Med, 7 (3), 197-202.
– Pakarinen S, Oikarinen L, Toivonen L (2010) Short-term implantation-related complications of cardiac rhythm management device therapy: a retrospective single-centre 1-year survey. Europace, 12 (1), 103-108.
– Santullo A (2008) Le scale di valutazione in sanità. McGraw-Hill, Milano.