La terra trema: storie di infermieri in prima linea


A guardarla, sulla carta geografica dell’Italia, la Pianura Padana è una grande, verde mano, segnata dalle vene di fiumi che ordinatamente si raccolgono nel Delta del Po, nell’ancora selvatica foce dei Fiumi Uniti per diluire il sale dell’Adriatico. E anche da qui, dove sono io, i campi di mais ormai alto, i filari di pioppi e di platani, i campi di grano e di gialli meloni trasmettono un senso di cura paziente, operosa, produttiva.
Se si osserva bene nelle aie ci sono gli animali da cortile; oche bianche dal lungo collo, cani alla catena lunga, gatti che dormono con un solo occhio chiuso e mucche ruminanti il fieno offerto in moderne mangiatoie. E’ una campagna che s’estende fino all’orizzonte… la sua linea celestrina che, a pensarla, da qui si trasforma in linea d’ombra; là si mescolano le provincie di Bologna a quella di Modena e, ad est, a quella di Ferrara. Siamo nella terra la cui tenera accoglienza ha permesso che l’asfalto si sollevasse in onde; non ha opposto resistenza, s’è lasciata trasformare per giorni e giorni, è diventata un mare, ha mostrato, sulla propria superficie, l’antica sabbia da cui si era, nei millenni, generata.

Non si muove più adesso?
Chi lo sa, noi non ci pensiamo più fino a che non arriva la sera e, con la scusa che è bello godersi le ore meno calde che vanno incontro alla notte, rimandiamo l’appuntamento con il sonno e ci facciamo anche un cicchetto “ché aiuta”. Non vorremmo dormire perché, la notte, aspettiamo che “venga quella buona” “quella che ci finisce tutti” tanto “i bambini son tutti al mare, al sicuro”; perché noi si era convinti che il terremoto “toccasse sempre agli altri” perché noi non eravamo “sismici”, perché le nostre rocche, i campanili e i portici, i palazzi dei padroni terrieri e le nostre antiche mura, le nostre case robuste non erano mai diventate, per quelli della nostra età, polverose pietre.
Noi scherzavamo dicendo: – hai visto un asino che vola! ma non avevamo mai visto volare cornicioni, coppi, pietre che sai, non cadevano mica dritte, altro che la forza di gravità! volavano a destra e poi a sinistra, volavano oblique lì, in mezzo a Crevalcore e la gente urlava, qualcuno vomitava e noi, che avevamo appena portato i prelievi fatti a domicilio ci siamo cercate; l’una ha cercato l’altra e poi tutti, ma proprio tutti, tutta la gente a correre verso la scuola. Sì la scuola elementare e quella materna dove i maestri, i bidelli, le “dade” e tutti i bambini erano stati più bravi di noi… loro si erano messi sotto i banchi, come era stato insegnato e provato e riprovato e simulato. “Tutti fuori, son tutti fuori e tutti salvi i nostri bambini!” solo gli adulti gridano; poi, guardi lassù, davanti alle scuole, dietro le nostre spalle… i nostri colleghi della RSA – son dentro! mentre l’antico palazzo Barberini, dove ha sede il Polo Sanitario, perde intonaco e s’apre in crepe.
Ci è crepato il cuore – abbiamo urlato loro – uscite! uscite ! e loro, affacciati, dalla scala di sicurezza ci dicevano:
– No, non possiamo, non possiamo mollare! abbiamo i pazienti – adesso evacueremo… bisogna tranquillizzare i pazienti e anche i parenti perché alle 9 del mattino ce ne sono tanti. “Nessuno si è fatto male, nessuno e… adesso ci verranno a prendere e ce ne andremo da questo posto dove s’è spostato tutto; i carrelli nei corridoi, i farmaci dagli armadi, i libri dagli scaffali, le cartelle dalla scrivania, i letti dei malati, l’intonaco dal soffitto. Nel boato ha scricchiolato tutto, e poi un tintinnio di cristalli come un lampadario mosso dal vento”.

I cellulari, prima di diventare inutili per oltre 45 minuti, ci hanno permesso di chiamare i nostri compagni perché corressero subito dai bambini – abbiamo pensato che saremmo morte serene – ma, c’è il vecchio telefono, ora che ho le mani libere e non devo aggrapparmi alla scrivania chiamo subito “quelli dell’Ufficio Tecnico e il Dott. A. Z. del Dipartimento di Cure Primarie… stanno già arrivando con le ambulanze, con i pompieri” Ce ne andremo con tutti i pazienti in una struttura così nuova che non ha neppure le lenzuola e dove poi sarebbero arrivati tanti, altri , da tutta la Provincia di Modena.
Siamo tornate, veloci alla “base” dell’assistenza domiciliare – lì c’era già anche C. A. – che doveva fare pomeriggio, ma era entrata in servizio prima per capire: cosa facciamo ora? Chi ha pazienti di quelle zone? Andremo… ma da chi? Priorità, questo è stato il motto. Cernita dei casi in assistenza domiciliare: chi sta in zona rossa e si può muovere ha già accanto i pompieri, e chi sta oltre la rossa? Andremo e se sono al piano alto della casa li aiuteremo a scendere a piano terra, diremo loro di stare nei garage, nelle aie, nelle capanne degli attrezzi e lì faremo quel che c’è da fare. E tra noi? Qualcuno è già senza casa? Sì, c’è già qualcuno che, in questo poco tempo, ha una casa che non potrà abitare fino a quando non sarà ispezionata per l’agibilità. Metteremo la tenda in giardino, li ospiteremo e condivideremo la cena, il difficile sonno, la paura ed il lavoro di domani. Domani andrò da M. che vive solo e poi da quelli che stanno proprio accanto alla Torre Medievale e poi dalla M. che è allettata e poi anche dalla V. E poi stanno già allestendo il campo di Crevalcore è lì, certo ci saranno i pazienti che abitano in zona rossa. Ma non solo i pazienti anche i colleghi che lavoravano al Polo Sanitario saranno tutti là ed avranno bisogno di materiali, farmaci, acqua, carta, asciugamani… andiamo ad aiutare, andiamo perché ci vuole anche l’ambulatorio infermieristico; la nostra gente ha un servizio sanitario a 5 stelle, noi ne siamo orgogliosi e non ci ferma il terremoto.

Evacuazione! no, non pensate al bisogno primario bensì al fatto che abbiamo dovuto smontare dei letti, rassicurare dei parenti che con le braccia piene di borse e abiti ci seguivano mentre, con i pompieri e i pazienti barellati si scendevano le scale di emergenza della Rsa; mettevamo i pazienti all’ombra degli alberi, in posto sicuro, in attesa del loro viaggio in ambulanza verso la nuova Casa di Navile, a Bologna. E poi ancora su, in Rsa. Anche i colleghi del Polo che, dapprima ci chiamavano dal basso, sono saliti; S. B. ed il dott. M. V., sono venuti ad aiutarci. E mentre si faceva questo, altre due scosse facevano rollare l’ambulanza e se non si stava attenti si cadeva tutti… si avvicina un’auto, è lui, mio marito ed ha le bambine, le bacio, dico che devo restare lì e che le raggiungerò a casa dei nonni a Bologna. Il nonno è già arrivato a Crevalcore, anche lui a cercarci; mio padre che mi guarda, capisce e rassicura che non andrà in vacanza all’estero, ma che porterà le bambine al mare. Alle 11 la Rsa di Crevalcore è completamente evacuata.
E dentro la nuova Casa di Navile a Bologna sembra una guerra… si riempiranno, in quel giorno e fino a notte inoltrata, tutti e 100 i letti. Erano arrivati sfollati da Modena con le ambulanze e con i pullman. La gente, se pur spaventata e basita, ci osservava domandando “come fate? come fate a stare qui e non andare a casa vostra?”. La risposta: un sorriso. Loro non sapevano perché, io invece sì… ero viva, ero ancora lì a fare il mio lavoro.

E’ notte fonda quando salgo in auto, mio marito mi è venuto a prendere; l’auto è piena di tutto, tutto quello che ha potuto portare fuori dalla nostra casa. Mi guarda e sorridendo mi dice – a proposito, non possiamo tornare a casa – già, penso io, perché noi abitiamo nella zona rossa di Crevalcore e da oggi siamo sfollati. Finalmente mi escono le lacrime; ma non è perché siamo sfollati ma perché ce l’abbiamo fatta; non s’è fatto male nessuno, abbiamo accolto i modenesi, abbiamo trovato anche le lenzuola, ho spacchettato, per la prima volta nella mia vita, un carrello nuovo della terapia, ho scoperto che lavoro con gente meravigliosa in un’azienda a cui sono contenta di appartenere… andiamo dai nonni perché le bambine ci aspettano ed io non vedo l’ora di stringerle, forte, tra le braccia.
Davvero, questo movimento cambia tutto, cambia la visione della vita; capisci che hai tutte le “cose” e che in 20 secondi non ci sono più neppure le tue scarpe. Sono andata a lavorare con le scarpe spaiate; sono andata lo stesso. Ho già dentro di me altre unità di misura, capisco meglio; torneremo a casa, forse; aggiusteremo o costruiremo se necessario ma andremo avanti, più ricchi di prima.

Le tende non erano piantate solo nel nostro giardino ma tutti i prati e tutti i giardini erano diventati un campeggio diffuso; la gente s’è data da fare, nessuno è stato con le mani in mano! pensavo così mentre, con la Panda dell’assistenza domiciliare, raggiungevo i pazienti in campagna, quelli fuori dalla zona rossa, che avevamo ipotizzato fossero nelle loro case. Era davvero così; chi s’era già sistemato a piano terra, chi nei garage, chi, invece, essendo la nonna impossibile da muovere confermava, senza alcun risentimento “la nonna è qui e noi stiamo qui”.
Abbiamo medicato i nostri pazienti, lo abbiamo fatto in ogni luogo, anche nell’aia; il nostro zaino ha tutto ed ha contenuto anche la paura mentre, al terzo piano di una persona allettata, ci volevano 40 minuti a medicare le ulcere alle gambe. Nei gesti, negli atti non c’era nulla di diverso; solo che questo intenso e continuo movimento ci aveva pareggiato tutti! perciò era faticoso aiutare senza sentire che avresti desiderato prenderli tutti i pazienti, M. V. e M. e anche la nonna, portarli via da lì ed andare con loro. Perché sai, questa esperienza ti cambia la vita; la tua testa in zero attimi, seleziona quello che “conta” per te e rischi di chiuderti nel tuo guscio; senti la nausea, la testa che gira e non sai più se è ancora il terremoto o se è solo il caldo. Oggi non ci pensiamo quasi più, solo la sera…
Dovremmo prenderci tempo e fermarci a riflettere su quanto è accaduto, su come abbiamo reagito e su come ci siamo organizzati; dobbiamo definire insieme come comportarci – cosa scegliere di fare – cosa rimandare – salire o non salire al terzo piano? – chiedere di essere sempre accompagnati dai vigili del fuoco? Andare nelle case solo quando si sia certi che sono agibili? Aggiungere alla dotazione “zaino” anche il caschetto giallo che ci protegge la testa? Ma la nostra postazione a Pieve di Cento dove le scale durante le scosse sembravano di burro è sicura? Perché sai, questa esperienza ti cambia la prospettiva; non eravamo un’area sismica, ora lo siamo. Abbiamo pensato agli incendi, alle alluvioni, al rischio chimico, al rischio biologico, a quello radiologico ma non a questo… ora dobbiamo pensarci.

E poi le scuole erano chiuse e noi mamme ci siamo organizzate; chi non andava al lavoro si prendeva cura dei bambini delle altre e ci siamo regalate il tempo l’una con l’altra. Abbiamo occupato i prati davanti alla parrocchia. Abbiamo cercato i nostri pazienti al campo sfollati, li abbiamo trovati ed assistiti nelle loro brande in palestra. Gli anziani raccontavano che il rumore che si era percepito era lo stesso dei bombardamenti ma, quelli, si poteva sperare che qualche potente li facesse finire… il terremoto nessuno lo poteva fermare. In questo raccontarsi reciproco, a volte ci “confondevamo” con loro, ma la divisa mi ha aiutato; conteneva la mia paura ed anche con il cuore crepato sapevo dove andare perché la mia casa è solida ed è ancora lì. Adesso dobbiamo prepararci per tempo all’autunno: il Polo Sanitario sarà nuovo ed attrezzato in un grande prefabbricato di 800 metri quadri, la nuova Crevalcore sarà costruita, le scuole ricominceranno… a proposito… la settimana scorsa ( fine giugno ) il Sindaco di Crevalcore ha chiamato tutti i genitori perché, finalmente era riuscito a far recuperare tutti gli zainetti e le cose dei bambini. Le ha consegnate ai genitori accompagnandole con una lettera indirizzata a ciascun bambino; il contenuto? Ecco il tuo zaino. Ti chiedo scusa se sono riuscito a farlo solo ora, in ritardo. Il Tuo Sindaco.

Grazie alle Colleghe Cristina, Camilla, Claudia, Flavia, Stefania dell’Assistenza domiciliare e della Rsa dell’Ausl Bologna; il Vostro raccontarVi ho cercato di renderlo più vicino possibile allo stato d’animo che mi avete trasmesso. Cercatevi nelle parole, siete lì. Perdonate se ho mancato di nitidezza in questo racconto sincrono, ma ho provato a guardarvi, tutte insieme, in quel momento del nostro tempo; a volte i miei occhi si sono, di nuovo, diluiti come l’Adriatico che lambisce la nostra costa.

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