Tagli continui, a rischio il Servizio sanitario


Presentato il "Rapporto Osservasalute 2012" dell’Università Cattolica di Roma. Nonostante crisi e cattivi stili di vita, migliora la salute degli italiani. 

Gli italiani in sovrappeso e obesi aumentano e cresce ancora il consumo di alcol fuori dai pasti, soprattutto quel fenomeno del binge drinking tra i giovani in età sempre più precoci. Senza contare i tagli al finanziamento del Servizio sanitario, che rischiano di mettere a repentaglio il sistema di tutela della salute. Nonostante ciò aumenta ancora la speranza di vita e diminuisce la mortalità sia per le patologie cardiovascolari, sia per i tumori.
Sono questi gli elementi principali che fanno emergere un’Italia “paradossale” dal Rapporto Osservasalute 2012, pubblicato dall'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane che ha sede all'Università Cattolica di Roma e presentato il 29 aprile.

Ecco qualche dettaglio dell’Italia fotografata dal Rapporto.

I tagli mettono in pericolo il Servizio pubblico. Anche il 2011, come il 2010, è stato caratterizzato da una crescita molto contenuta della spesa sanitaria pubblica (+0,1% a parità di criteri di contabilizzazione) che mantiene l’Italia al di sotto della media dell’Unione europea sia in termini pro capite, sia in rapporto al Pil. I disavanzi ci sono ancora, ma sono ormai ridotti a livelli molto circoscritti, almeno in termini di valori medi nazionali (nel 2011, circa 29 euro pro capite, pari all’1,6% del finanziamento complessivo). Sotto il profilo degli equilibri economici di breve periodo, l’unico elemento di forte preoccupazione è la differenziazione interregionale, con risultati economici consolidati positivi in tutte le Regioni del Centro-Nord (tranne la Liguria) e negativi in tutte le Regioni del Centro-Sud (tranne l’Abruzzo) e con due Regioni (Lazio e Campania) che, anche nel 2011, hanno generato da sole il 63% dell’intero disavanzo nazionale.
«Risulta da ciò chiaro – sostiene il Rapporto, che è coordinato da Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica del Policlinico Gemelli di Roma – che gli ulteriori sacrifici richiesti alla Sanità Pubblica dalla Spending Review non si possono giustificare con una presunta dispendiosità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), bensì da un lato, con l’elevato livello del debito pubblico e della correlata spesa per interessi (quest’ultima è pari a circa i 2/3 dell’intero fabbisogno sanitario nazionale), dall’altro con l’incapacità del sistema economico di crescere adeguatamente».
Il rischio evidente, prosegue il Rapporto, è che questi ulteriori sacrifici aggravino il divario tra le risorse disponibili e quelle necessarie per rispondere in modo adeguato alle attese, intaccando ulteriormente una copertura pubblica già incompleta. Laddove il contenimento dei costi sia ottenuto riducendo i servizi offerti «si potrebbe generare un impatto negativo di medio periodo sulle condizioni di salute della popolazione, con gravi conseguenze negative anche sul piano economico. Il rischio è più accentuato nelle regioni assoggettate a Piano di Rientro, dove le iniziative di contenimento dei costi sono state più intense».
In questa prospettiva e nell’attuale congiuntura economica soluzioni come recuperare efficienza; adottare esplicite scelte di razionamento e ricercare risorse aggiuntive potrebbero non bastare e «potrebbe, quindi, diventare necessario chiarire in modo più esplicito i livelli di assistenza che il SSN potrà continuare effettivamente a garantire su base universalistica».

La “pagella” al Ssn. Quest’anno il Rapporto presenta anche un’analisi delle performance del nostro sistema sanitario. In breve, dal confronto tra i livelli di efficienza e di efficacia registrati nelle Regioni emerge che la Provincia autonoma di Bolzano e l’Abruzzo, a fronte di bilanci di spesa positivi, fanno registrare livelli bassi e medio-bassi di efficacia. Si tratta, quindi, di casi in cui una buona gestione della spesa non concorda con altrettanti buoni risultati in termini di salute. Per contro, Regioni che lamentano conti in rosso, come la Liguria e la Basilicata, possono vantare livelli medio-alti di efficacia del sistema sanitario. La Valle d’Aosta si dimostra un’eccellenza in quanto riesce a coniugare conti in ordine e alta efficacia; all’estremo opposto troviamo Calabria e Sardegna, negative sia in termini di efficienza che di efficacia.

Mortalità evitabile. Tra il 2006 e il 2009 si è assistito a una lieve riduzione del tasso di mortalità riconducibile ai servizi sanitari: dal 63,86 (per 100.000) al 61,69 (per 100.000). Queste cause di morte riguardano soprattutto gli uomini. Le Regioni che presentano la peggiore performance in tutti gli anni considerati sono Calabria, Campania e Sicilia.

Un Paese sempre più vecchio. Nel 2011 la popolazione in età 65-74 anni rappresenta il 10,2% del totale e quella dai 75 anni in su il 10,1%. Significa che un italiano su dieci ha più di 65 anni. Si confermano Regione più vecchia la Liguria (gli anziani di 65-74 anni sono il 12,7%; gli over-75 il 14%), Regione più giovane la Campania (65-74 anni sono l’8,3%; over-75 il 7,8%).

Sempre di più anziani che vivono soli. A livello nazionale oltre un anziano su quattro (28,1% della popolazione con 65 anni e oltre nel 2010) vive da solo. È in Valle d’Aosta che la percentuale raggiunge il suo massimo (33,6%), mentre il valore più contenuto si registra nelle Marche (22,9%). Solo il 15,1% (come nel 2009) degli uomini di 65 anni e oltre vive solo, mentre la percentuale è decisamente più elevata, pari al 37,6% (38% nel 2009) per le femmine.

Migliora la speranza di vita. Al 2011, stando ai dati provvisori, la speranza di vita alla nascita è pari a 84,5 anni per le donne e a 79,4 anni per gli uomini. Si continua a erodere il vantaggio delle donne rispetto agli uomini: nel 2006 il vantaggio femminile alla nascita era di 5,6 anni, si riduce a 5,1 anni nel 2011.

Sempre meno morti, soprattutto tra i maschi. Il dato di mortalità registrato nel 2009 conferma il trend degli ultimi anni: un sensibile miglioramento per gli uomini (il tasso standardizzato di mortalità scende di 2 punti percentuali circa passando da 111,85 per 10.000 del 2007 a 109,91 per 10.000 nel 2009) e una situazione pressoché stabile per le donne (69,44 per 10.000 nel 2007 e 69,31 per 10.000 nel 2009). Per entrambi i generi e fino ai 74 anni, ma con un’intensità generalmente maggiore per gli uomini rispetto alle donne, nel triennio 2007-2009 è continuato il calo dei rischi di morte per le malattie del sistema circolatorio, dei tumori, delle malattie dell’apparato digerente e del sistema respiratorio. Oltre i 75 anni, l’evoluzione della mortalità nei due generi si differenzia e, per la prima volta, si osserva un lieve aumento dei tassi per le donne: +0,5% contro -0,8% degli uomini.

Sempre più grassi. Nel 2011, oltre un terzo della popolazione adulta (35,8%, mentre era il 35,6% nel 2010) è in sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa; complessivamente, il 45,8% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009 e il 45,9 nel 2010). Nel periodo 2001-2011 è aumentata sia la percentuale di coloro che sono in sovrappeso (33,9% vs 35,8%) sia quella degli obesi (8,5% vs 10%).
Si conferma il gradiente Nord-Sud, ma dal 2001 è boom di obesi al Nord. Gli uomini hanno più problemi delle donne: risulta in sovrappeso il 45,5% (44,3% nel 2010) degli uomini rispetto al 26,8 (27,6% nel 2010) delle donne e obeso il 10,7% (era l’11,1% nel 2010) degli uomini e il 9,4% (9,6% nel 2010) delle donne.

Il Paese è sempre più pigro. Diminuiscono, anche se di poco, gli sportivi: nel 2010 il 22,8% della popolazione italiana con età ≥3 anni praticava con continuità, nel tempo libero, uno o più sport (nel 2009 era il 21,5%, nel 2008 il 21,6%, nel 2007 il 20,6%). Nel 2011 si scende al 21,9% della popolazione.
I sedentari sono pari al 39,8%. L’abitudine all’attività fisica non è uguale in tutte le Regioni, ma c’è un gradiente Nord-Sud. La pratica sportiva è molto più frequente fra gli uomini.

Poca frutta e verdura. Le persone di 3 anni e oltre che consumano quotidianamente verdura, ortaggi e frutta costituiscono una percentuale piuttosto stabile, con un minimo di 83,7% nel 2009 e un massimo di 85,3% nel 2006, per attestarsi all’85% nel 2011 come valore nazionale.

Alcol: meno consumatori, ma più comportamenti a rischio. La prevalenza dei non consumatori nel 2010 è del 32,7%, in aumento rispetto agli ultimi anni. Cresce però il fenomeno del binge drinking tra i giovani: dal 9,5% del 2009 al 10,5% del 2010.

Si fuma un po’ meno. Nel 2010 fumava il 22,8% degli over 14, nel 2011 il 22,3%. Notevoli le differenze di genere: gli uomini fumatori sono il 28,4%, mentre le donne il 16,6%.

Si riduce la mortalità per malattie cardiovascolari, ma gli uomini muoiono il doppio delle donne. Negli ultimi 40 anni la mortalità totale si è più che dimezzata (il tasso standardizzato di mortalità totale si è ridotto del 53,0% tra il 1970 e il 2008). La mortalità per le malattie ischemiche del cuore continua a colpire quasi il doppio degli uomini rispetto alle donne; in particolare, nel 2009, si sono registrati 14,07 decessi (per 10.000) fra gli uomini e 7,79 decessi (per 10.000) fra le donne; entrambi i tassi di mortalità sono in diminuzione rispetto al 2008.

Cresce il consumo di antidepressivi. Prosegue il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi. Nel 2011 il consumo (in Ddd/1000 ab die) è di 36,1, contro l’8,18 nel 2000.

www.ipasvi.it – News del 2 maggio 2013

STAMPA L'ARTICOLO