Lettere dal silenzioStorie di accoglienza e assistenza sanitaria di donne che hanno subito violenza


Ad una prima lettura, il libro a cura di Greco sembra raccogliere delle storie di donne che hanno subito violenza, ma in realtà c’è molto di più. Attraverso un’approfondita e dettagliata introduzione e le prime due sezioni, il testo offre un interessantissimo e puntuale approfondimento a tutto tondo del fenomeno della violenza sulle donne.

“Se non vuoi vedere quello che c’è sotto i tuoi occhi, in fondo non esiste, ne esisterà mai” (p. 10): probabilmente questo è il punto centrale sul quale i diversi autori ci spingono a riflettere a più riprese nel suo testo, orientandoci ad una lettura del fenomeno sia in termini epidemiologici, come emerge dai diversi rapporti internazionali e nazionali, sia in termini umanistici. La finalità che si propone è di arrivare a delineare adeguate strategie di intervento.

Queste strategie di intervento (prevenzione primaria, secondaria e terziaria, secondo i criteri per noi più abituali in sanità pubblica) si basano sull’analisi dell’origine culturale e sociale del problema, che ha un forte impatto sulla salute delle donne coinvolte e che colpisce per  “la trasversalità della classe sociale e il silenzio che le circonda” (p. 33).
E allora, qual è il ruolo del nursing su questo ambito? Greco, nel capitolo “Intrecciare la rete dei servizi”, ci indica alcuni esempi nei quali la funzione infermieristica è preziosa e spendibile:

  • l’attivazione di interventi educativi integrati (per es. sulla qualità delle relazioni affettive  tra i generi), o rivolti alla riduzione e al monitoraggio dei fattori di rischio (per es. alcolismo) – prevenzione primaria;
  • l’utilizzo di strumenti che permettono di individuare precocemente il bisogno e il rischio, per esempio tramite l’uso di apposite check list o di screening di routine, sui quali ancora “non si è arrivati ad un consenso tale da stabilire precise linee guida” (p. 50), ma ad evidenziare la necessità di un impegno sistematico – prevenzione secondaria;
  • le formulazione di diagnosi infermieristiche e piani di assistenza come strumenti che aiutano nella direzione di un approccio olistico, ma orientato al risultato – prevenzione terziaria.
     

Rimane il fatto che il percorso di guarigione e riabilitazione può essere complesso, sia per il coinvolgimento dei diversi soggetti (per es. i figli), sia per l’articolazione in rete di diversi interventi professionali, nel cui ambito può essere ben spesa la competenza organizzativa degli infermieri.

E’ proprio nel secondo capitolo, in cui viene descritto il percorso di recupero delle donne che hanno subito violenza, che si accentua l’attenzione sulla qualità delle relazioni che gli operatori dei centri antiviolenza instaurano con le donne:  è “attraverso la narrazione che il dolore può cominciare ad essere raccontato (…); nel colloquio la donna viene accompagnata (…) anche nel ritrovare la sua identità femminile disconosciuta o annullata negli anni” (p. 66). Queste pagine offrono peraltro alcuni remind sulla comunicazione efficace, utilissimi comunque a tutti. Viene descritto come il meccanismo psicologico di recupero sia complesso e l’uscita da una situazione violenta rappresenti un percorso di cambiamento a volte non breve o lineare, perché la violenza maschile agisce in quello “spazio dell’amore, per questo la ferita più grave è quella che riguarda la  fiducia” (p. 71). 

La difficoltà del recupero ci conferma come la violenza sulle donne sia un problema importante, che anche in modo indiretto ci riguarda tutti: anche noi sanitari, in fondo, non siamo esenti dai meccanismi sottili che lo sottendono. Ciò potrebbe probabilmente spiegare perché, come emerge anche da alcune delle narrazioni delle donne alle quali è stato chiesto di scrivere una lettera al personale sanitario incontrato nelle strutture, non si riesca sempre a dare l’aiuto concreto necessario, anche solo di carattere informativo, o  che l’accoglienza e l’ascolto non siano tali da permettere alla donna di riferire il suo dramma, o che ci si limiti alla cura del danno fisico, senza approfondire le implicazioni più nascoste che comporta.
E allora, non fosse altro per l’elevata componente femminile della professione infermieristica (comune anche ad altri operatori sanitari), questa è chiamata ad esprimere un percorso di consapevolezza su questo tema, anche in relazione alle responsabilità deontologiche ed etiche, nonché ad individuare delle forme di intervento che sappiano in modo equilibrato integrare due diversi approcci. Quello  efficace per alcuni aspetti,  aderente al “paradigma della giustizia” (p. 83), quindi con regole,  procedure, poteri  (tipicamente maschile), con quello aderente al “paradigma dell’etica della cura” (p. 79), centrato sulla disponibilità relazionale (ritenuta per consuetudine caratteristica femminile). Questi approcci, coniugandosi, possono permettere una presa in carico “umana e umanizzante, anche per il personale di cura” (p. 87). In questa cornice si inserisce la raccolta della narrazione autobiografica, un approccio che secondo gli autori è un modo di esprimere la funzione di advocacy degli operatori, nel senso che dimostrano effettivamente attenzione, vicinanza, dignità a chi potrebbe non averle mai avute. 

Molto dettagliata e precisa è poi la terza sezione del libro, centrata sul progetto di ricerca qualitativa portato avanti dal gruppo di infermieri ricercatori, che descrive gli obiettivi e la metodologia narrativa; sono anche riportati i risultati raggiunti, nei termini di una possibile interpretazione in unità di significato di quanto era narrato nelle storie delle donne. Si suggerisce vivamente la lettura delle lettere, che offrono interessanti spunti di cambiamento e di intervento.   
 
E’ da sottolineare l’originale percorso del libro, che offre ai lettori una prima “restituzione rispetto allo sforzo di scrittura compiuto da donne che hanno sperimentato su di sé la violenza” (p.155) e che per i ricercatori “sono state come un dono” (p.111). In particolare:

  • la sensibilità di alcuni uomini, tra cui il curatore del libro, che si sono posti il problema della violenza sulle donne (“Associazione Plurale Maschile”);
  • un gruppo infermieristico di miglioramento continuo dei percorsi di assistenza rivolti alle donne che subiscono violenza, composto da uomini e donne (“Rispondere al silenzio” del Policlinico Tor Vergata di Roma);
  • l’esperienza pluriennale e la collaborazione con i Centri Antiviolenza (“Associazione Differenza Donna”);
  • il progetto di ricerca “Ascoltare il silenzio – il vissuto delle donne vittime di violenza che si rivolgono alle strutture sanitarie”, sostenuto dal Centro di Eccellenza per la Cultura e la Ricerca Infermieristica ( Collegio Ipasvi di Roma).
     

In conclusione, questo testo può essere veramente un’interessante proposta per:

  • chi si occupa di formazione continua, al fine di progettare percorsi ad hoc per il personale sanitario coinvolto;
  • gli infermieri e gli operatori sanitari e sociali che svolgono la propria attività dove più frequentemente le donne che hanno subito violenza possono rivolgersi: Pronto Soccorso in primis, ma non solo (per es. consultori, ambulatori di ginecologia);
  • gli studenti infermieri, sia generalisti che pediatrici, ricordandoci che spesso anche i bambini sono vittime indirette e inconsapevoli;
  • tutte le persone che vogliono mettere delle lenti di ingrandimento per riuscire a vedere, dentro e fuori di se stessi, ciò che spesso potrebbe apparire offuscato e sfumato.
     

La lettura di alcune testimonianze, all’interno di un percorso strutturato e protetto, può rappresentare per gli operatori un utile trigger per indirizzare il miglioramento dell’assistenza nella direzione della consapevolezza, dell’ascolto e dell’accoglienza.

A cura della Redazione
 

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