Così è la vita. Imparare a dirsi addiodi Concita De GregorioLe parole ultime. Dialogo sui problemi del "fine vita"di Ivan Cavicchi, Piero Coda, Salvatore Natoli


Giulio Einaudi Editore, 2011
pagine 124, euro 14,50
Dedalo, 2011
pagine 291, euro 16,00

Fa pensare e guardarsi dentro l’ultimo libro di Concita De Gregorio, una giornalista che ha tradotto spesso in libri la sua capacità di osservare e stimolare riflessioni non comuni. Il libro attrae inevitabilmente, che si sia persone comuni o professionisti sanitari, e lo fa fin dalla quarta di copertina: “funerali e malattie, insuccessi, sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c’è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c’è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo in forza”.
Così, lasciati da parte i gesti scaramantici delle persone comuni, che connotano i funerali e tutto quanto vi è collegato, De Gregorio ci conduce in questo evento della vita, facendocelo vedere sotto una prospettiva nuova. Certo, per un infermiere non è cosa nuova quanto si legge già dalle prime pagine: “una sottile discrezione diffusa impone che al malato non si dica cosa gli sta accadendo, che chi gli sta attorno faccia finta di non saperlo”. È quanto combattiamo ogni giorno nella nostra attività clinica, spesso controcorrente rispetto ai professionisti con cui lavoriamo gomito a gomito. Proprio alle infermiere (sì, al femminile) De Gregorio dedica un passaggio del suo libro (p. 73), dopo aver richiamato una serie di figure femminili che libri e film ci hanno rese note. E dopo queste si legge: “donne sono quasi sempre le infermiere degli hospice, dove il tempo di permanenza media dei pazienti è di una settimana: sono loro che li accolgono, sono loro che li curano negli ultimi giorni chiamandoli per nome, sono loro che li assistono nel congedo favorendolo con gesti semplici, a volte. I gesti delle madri: così come aprire una finestra per cambiare aria e lavare con la spugna, nel letto, un bambino”. Certo, l’immagine a cui l’autrice rimanda parlando delle cure infermieristiche è uno dei più consueti e per certi aspetti usurati, ma innegabilmente costituisce una componente essenziale dell’infermieristica, nella quale infermieri uomini e donne sono costretti, per il loro mandato, a riscoprire e far diventare competenza professionale una serie di gesti di cura vecchi quanto il mondo e la propria infanzia.
Alcuni gesti di cura, infatti, accomunano l’inizio e la fine della vita, che non sono poi così diverse: fasi di transizione l’una e l’altra, momenti dell’esistenza individuale colmi di dinamismi importanti. La fase finale della vita è vita stessa, anzi forse più di molti altri momenti: De Gregorio non ha da raccontarci niente di nuovo su questo. È nuova però la prospettiva che fa assumere al lettore sulla necessità di remare tutti nella stessa direzione, riappropriandoci di un discorso scomparso misteriosamente dalla nostra conversazione, dal discorso pubblico: la morte, la fine della vita, la paura e la difficoltà di invecchiare. Mettendo in primo piano spesso i bambini, la loro saggezza innata e il senso ludico della vita, quindi anche della morte. Come quando una bambina di 8 anni ha letto il suo biglietto di addio al padre, in cui diceva “io nego quello che si dice. Che chi muore va in paradiso oppure dal diavolo. Mio padre non è andato né in paradiso né dal diavolo. È andato nel mio cuore” (p. 4). Oppure quando ha assistito a un dialogo tra un bambino di 5 anni, portato al funerale del nonno, e il suo amichetto, entrambi affacciati in punta di piedi alla bara col mento appoggiato al bordo di legno: “Questo è tuo nonno? – ha esclamato uno – “No, non è mio nonno. Questo è solo il suo corpo” (p. 5).
Poi, col fluire dei pensieri tipico del pensiero femminile, non lineare ma parallelo, appunto, l’autrice ci parla dell’addio con molte storie di persone, Ecco allora sfilarci davanti funerali e altri eventi di separazione, come quello da alcune parti del proprio corpo non accettate, o come dice De Gregorio, la necessità di aderire al mondo che ci circonda, tanto da assumerne le sembianze anche: “ in Italia dal 2009 si è praticato un intervento di chirurgia estetica ogni due minuti. Due minuti, centoventi secondi. Una macchina in funzione giorno e notte” (p. 79).
 

 

Dei vari modi di dirsi addio si occupa anche un altro libro recente, Le parole ultime, nel quale spicca un gruppo di autori che fornisce di per sé una prospettiva multidisciplinare, la più essenziale alla discussione odierna, in cui la competenza ormai raggiunta per alcuni versi si contrappone alla scarsa tolleranza tra le diverse comunità morali della nostra società. Cavicchi, Coda, Natoli, Vargas, Azzoni, Caretta e Gostinelli hanno costituito una piccola comunità, appunto, che ha integrato i rispettivi patrimoni dialogando sui problemi del fine vita : “questo libro vuole offrire alla gente, ai cittadini, ai familiari degli ammalati, agli amministratori di ogni livello, agli operatori sanitari un supplemento di riflessione sui problemi di senso (…) che vengono fuori quando ci si ammala” (p. 8). In effetti, il volume procede con una successione di parole scelte – lemmi – che gli autori hanno ricercato tra le parole ultime, quelle raccontate da una serie di testimonianze raccolte sul campo: “quando si parla in nome e per conto di sta male è meglio, se possibile, essere rispettosi di costoro e il modo migliore è dar loro voce, ascoltarli, farci raccontare le loro esperienze, far parlare i loro familiari” (p. 9). La gran parte del volume ospita poi un vocabolario ad uso e consumo anche dei lettori infermieri, a cui suggeriamo, fra i molti stimoli offerti, di verificare il rapporto tra paternalismo e partecipazione (e libertà, avrebbe aggiunto Gaber!) oppure la discussione dedicata a dolore e analgesia, nella quale si afferma che “la sofferenza non è mai solo una vicenda individuale, ma un fatto sociale e che si apprende a soffrire così come si apprende la lingua materna” (p. 116).
Una considerazione trasversale ai due testi è relativa alla bibliografia: mentre De Gregorio offre un’appendice con una “rassegna incompleta di libri memorabili” e con l’esplicitazione di molti dei testi stranieri citati nel volume, gli autori de Le parole ultime non includono alcuna bibliografia. Peccato. 

Laura D’Addio
 

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