Vecchi da morire. Anziani in casa di riposo


Silvina Petterino nel suo libro affronta una tematica importante, l’essere anziano in casa di riposo e lo fa in un modo per certi versi singolare. Racconta un viaggio che non sembra pensato e pianificato prima ma semplicemente raccontato dopo, con gli inconvenienti e le sorprese di un percorso non programmato.
L’escursione dentro questo tema tutt’altro che facile inizia con una descrizione della casa di riposo che permette a chi legge di vederla come se guardasse una fotografia e continua attraverso la narrazione del vissuto e dell’esperienza dell’autrice accompagnata dal ritratto di scorci di vita di alcune delle persone che ha incontrato e assistito.
A fare da filo conduttore di questo viaggio sono le cose della vita quotidiana: il momento del pasto, la cura personale, l’amicizia, le relazioni, i desideri, lo svago, le feste, le difficoltà, i ricordi, le medicine da prendere, gli orari da rispettare, le cose da fare. A caratterizzarlo, invece, è la loro contestualizzazione all’interno della casa di riposo.
Nel libro, l’autrice fa ricorso a un doppio sguardo, quello degli operatori e quello dei familiari e descrive senza edulcorazioni una realtà imperfetta al di là dalla buona intenzione dei protagonisti.
Emergono, infatti, quasi palpabili le difficoltà a conciliare quotidianamente il suo pensiero, il suo modo di essere professionista, il suo vissuto personale, con i vincoli e le caratteristiche dell’organizzazione, il sentire comune di molti operatori, i bisogni delle persone anziane, le risposte attese dai loro familiari.
Silvina Petterino è molto diretta nelle sue considerazioni, usa un linguaggio molto schietto, senza sfumature finalizzate ad attenuare ciò che intende dire. Lo fa però senza la presunzione di chi si ritiene più giusto e più bravo degli altri. Non vuole, e lo dichiara nella premessa e si coglie nel testo, essere in alcun modo giudicante, le preme soltanto raccontare di come, secondo la sua esperienza, ci si occupa delle persone anziane nelle strutture.
Il suo intento è di riflettere su questioni rispetto alle quali ritiene si possano modificare alcuni comportamenti per renderli più centrati sulla persona assistita nel rispetto della sua individualità, indipendentemente dai vincoli posti dalla struttura e dall’organizzazione.
Il libro va letto anche, e forse soprattutto, tra le righe per cogliere tutti gli spunti di riflessione che offre e che sono davvero molti. Perderne anche solo uno equivarrebbe a sprecare un’opportunità di rielaborazione della propria esperienza anche se realizzata in un ambito diverso da quello preso in considerazione dall’autrice.
Per fare questo però il lettore deve compiere uno sforzo: non reagire “di pancia” al primo impatto con la realtà delle parole usate dall’autrice facendosi prendere dalla tentazione di interrompere la lettura, ma andare oltre e avanti fino alla fine del libro.

Marina Vanzetta

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