Applicazione di un percorso per le cure di fine vita per pazienti oncologici terminali in una unità di Medicina Interna


RIASSUNTO
Introduzione Sono molte le indagini che sottolineano la scarsa appropriatezza delle cure spesso erogate al paziente morente in ospedale. Uno studio precedente, volto a descrivere la pratica assistenziale nei malati oncologici terminali ricoverati presso la nostra unità di Medicina Interna (Presidio Ospedaliero di Castelfranco Veneto, Treviso), ha confermato i dati della letteratura, evidenziando la necessità di attuare percorsi assistenziali maggiormente orientati ai reali bisogni dei pazienti nell’ultima fase di vita. In collaborazione con la Fondazione Sue Ryder, lo staff del reparto è stato quindi coinvolto in un progetto formativo a cui ha fatto seguito l’implementazione di un percorso di cure di fine vita, basato sul Liverpool Care Pathway for the Dying Patient, che prevede la definizione di criteri di selezione, la pianificazione di obiettivi e interventi assistenziali finalizzati al comfort dei pazienti e la valutazione sistematica degli esiti.
Materiali e metodi Allo scopo di verificare gli effetti del programma di assistenza adottato, con particolare riferimento al controllo dei sintomi, in questo studio osservazionale abbiamo analizzato le cartelle per le cure di fine vita di 27 malati neoplastici terminali (14 maschi e 13 femmine) ricoverati presso il nostro reparto dal maggio 2009 al marzo 2011.
Risultati L’analisi dei dati mostra che gli obiettivi assistenziali sono stati raggiunti nella gran parte dei casi. Gli ambiti in cui si è registrato con maggiore frequenza un mancato raggiungimento dell’obiettivo (riportato come “variante”) includevano il dolore, l’agitazione, le secrezioni respiratorie, la dispnea e le disfunzioni intestinali. L’individuazione sistematica dei sintomi ha tuttavia permesso di attuare interventi correttivi precoci, con conseguente riduzione della loro persistenza.
Conclusioni I risultati ottenuti indicano che questo percorso di cure di fine vita può essere un approccio efficace per migliorare la qualità dell’assistenza erogata ai malati neoplastici terminali nei reparti ospedalieri.
Parole chiave: morire in ospedale, cure di fine vita


Implementation of an end-of-life care pathway for terminal cancer patients in an Internal Medicine unit

ABSTRACT
Introduction Many studies show the lack of appropriateness of the care often provided to dying patients in hospital. A previous study, aimed to describe the practice of care for terminal cancer patients in our Internal Medicine Unit at the Presidio Ospedaliero of Castelfranco Veneto (Treviso), confirmed the literature data, highlighting the need to implement care pathways more focused on the real needs of patients in the terminal phase of life. Therefore, in cooperation with the Sue Ryder Foundation, the ward staff has been involved in a specific educational program; this was followed by the implementation of an end-of-life care pathway, an adaptation of the Liverpool Care Pathway for the Dying Patient, which includes the definition of criteria for patients’ selection, a comfort-oriented care plan and a systematic evaluation of the outcomes.
Material and methods To verify the effects of this care pathway, with special regard to symptom control, we 
analyzed the clinical records of 27 oncologic patients (14 males and 13 females) admitted to our ward between May 2009 and March 2011.
Results The analysis of the data shows that the clinical goals have been achieved in most cases. Recordings of goals not achieved (coded as “variances”) were highest for pain, agitation, respiratory tract secretions, dyspnea and intestinal dysfunctions. However, the systematic assessment of patients’ conditions allowed for early corrective interventions which reduced the persistence of these symptoms.
Conclusions The results obtained indicate that this end-of-life care pathway can be an effective approach to improve the quality of the care provided to terminal neoplastic patients in hospital wards.
Key words: dying in hospital, end-of-life care


 

INTRODUZIONE
Il tema della qualità delle cure di fine vita è molto sentito dalla comunità scientifica e dagli operatori che quotidianamente assistono il paziente morente ricoverato in ospedale. In un’indagine precedente, svolta per valutare la qualità dell’assistenza fornita ai malati oncologici terminali presso la nostra Unità Operativa di Medicina Interna, abbiamo rilevato la generale inadeguatezza delle cure prestate al paziente nell’ultima fase di vita (Bordin et al., 2011). Le nostre conclusioni risultavano in linea con l’ampia letteratura sull’argomento; sono infatti numerosi gli studi, condotti anche nel nostro paese, che riportano dati sia quantitativi, sottolineando il numero rilevante di pazienti neoplastici deceduti in ospedale (Beccaro et al., 2007; Regione Veneto, Coordinamento regionale per le cure palliative e per la lotta al dolore, 2006), sia qualitativi, documentando aspetti quali la persistenza di modelli di cure per pazienti acuti, il protrarsi di trattamenti invasivi associati a scarsi benefici (Toscani et al., 2005), l’insufficiente attenzione al controllo dei sintomi che maggiormente contribuiscono alla sofferenza dei pazienti, l’incapacità e la resistenza ad affrontare esplicitamente il tema della morte che ostacolano una corretta comunicazione tra i vari soggetti coinvolti (Beccaro et al., 2006).
Con lo scopo di dare una risposta più adeguata ai bisogni dei malati e dei loro familiari, abbiamo quindi sviluppato un progetto di miglioramento dell’assistenza attraverso l’adozione di un percorso di cura specifico per il paziente nella fase terminale di vita. 
Il progetto è stato condotto in collaborazione con la Fondazione Sue Ryder (FSR) Onlus di Roma, un’associazione di volontariato per l’assistenza dei malati oncologici attiva in molti paesi europei ed extraeuropei. Inizialmente è stato costituito un gruppo di lavoro composto da un tutor della FSR, un esponente della Direzione Medica di Ospedale, il medico responsabile dell’Unità Operativa di Terapia del Dolore e Cure Palliative aziendale, il direttore e l’infermiera coordinatrice dell’Unità Operativa di Medicina Interna. Tale gruppo ha seguito il progetto nelle 3 fasi di sviluppo:

  1. Formazione – Un primo momento formativo ha coinvolto 2 medici e l’infermiera coordinatrice, che hanno affiancato l’équipe Cure Palliative durante l’attività operativa presso la sede della FSR. Successivamente è stato costituito un gruppo di facilitatori (3 medici e 10 infermieri), che sono stati esposti a 20 ore di formazione tenuta dallo staff della FSR presso la nostra sede, mentre gli altri operatori coinvolti (10 medici e 11 infermieri) hanno partecipato a un corso di 2 lezioni frontali per un totale di 8 ore. Durante il periodo di formazione si sono approfonditi temi quali: il concetto di terminalità, la diagnosi di morte imminente, i segni e i sintomi chiave, le cure palliative, il trattamento farmacologico e non farmacologico dei sintomi (con particolare riguardo alla gestione del dolore), tecniche di comunicazione delle cattive notizie.
  2. Definizione del percorso assistenziale – Dopo la fase di formazione il gruppo di lavoro ha elaborato un percorso di cure di fine vita (PCFV) basato sul Liverpool Care Pathway for the Dying Patient (LCP) (Ellershaw, Ward, 2003; Murphy et al., 2004). Il protocollo originario è stato tradotto e verificato mediante back translation e adattato alle esigenze locali con la metodica del focus group. In sintesi, gli elementi costitutivi fondamentali del PCFV, illustrati più dettagliatamente nel Box 1, sono i criteri per la selezione dei pazienti, la valutazione iniziale, la pianificazione degli obiettivi e degli interventi assistenziali (orientati al comfort del paziente) e la valutazione sistematica degli esiti degli interventi effettuati. Questi elementi sono formalizzati in una “cartella per le cure di fine vita”, strumento creato al fine di documentare l’attività clinica e assistenziale erogata al morente (Allegato 1). Dal momento dell’inizio dell’applicazione del PCFV tale documentazione sostituisce completamente quella abitualmente in uso, e fornisce una guida per tutti i professionisti che hanno in carico il paziente nella programmazione degli interventi e nella verifica dei risultati, focalizzando l’attenzione sul raggiungimento degli obiettivi.
  3. Attuazione del percorso assistenziale – A partire dal maggio 2009 tutti i pazienti neoplastici terminali ricoverati presso la nostra unità operativa sono stati valutati per l’eventuale inserimento nel PCFV.

Con questo studio osservazionale ci siamo proposti di valutare i risultati ottenuti dopo l’adozione del PCFV in un gruppo di malati neoplastici terminali 
ricoverati nel nostro reparto, verificando il grado di raggiungimento degli obiettivi assistenziali definiti dal percorso soprattutto per quanto riguarda il controllo dei sintomi.

MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto attraverso l’analisi delle cartelle per le cure di fine vita di 27 pazienti oncologici terminali, ricoverati nel reparto di Medicina Interna del Presidio Ospedaliero di Castelfranco Veneto nel periodo compreso tra il 1° maggio 2009 e il 31 marzo 2011.
Sono state esaminate le seguenti variabili: dati anagrafici, durata del ricovero e del PCFV, segni/sintomi presenti all’inizio del PCFV, modalità di somministrazione dei trattamenti, raggiungimento degli obiettivi assistenziali, aspetti psicologico-relazionali (consapevolezza della diagnosi e della morte imminente, capacità di comunicare e di comprendere il progetto assistenziale, accettazione del percorso, modalità di comunicazione del decesso ai familiari), informazione al medico di medicina generale.

RISULTATI
Il campione è costituito da 27 pazienti (14 maschi e 13 femmine, età media 74 anni), pari al 32,1% dei pazienti con diagnosi principale di neoplasia che sono deceduti nel nostro reparto durante il periodo di studio. La durata media del ricovero è stata di 20 giorni, con una media di 12 giorni di assistenza ordinaria e 5 giorni di PCFV. In 25 casi il percorso si è concluso con il decesso in ospedale; un paziente è deceduto a casa dopo 24 giorni con una dimissione in regime di ospedalizzazione domiciliare per cure palliative, mentre un altro è stato trasferito nell’unità di lungodegenza dove è deceduto dopo 4 giorni, mantenendo lo stesso protocollo assistenziale.
Per quanto riguarda il processo di selezione, la maggior parte dei pazienti reclutati presentava più criteri per l’applicazione del PCFV (vedi Box 1): tutti risultavano completamente allettati, 23 erano soporosi, 24 riuscivano a deglutire solo piccoli sorsi d’acqua e non erano in grado di assumere terapie per bocca.
La Figura 1 riporta i sintomi di maggior rilievo riscontrati nel corso della valutazione iniziale, che corrispondevano al quadro tipico della terminalità e includevano visibile sofferenza (55,5% dei pazienti), stipsi (51,8%), dispnea (48,1%), confusione (44,4%), dolore (40,7%), irrequietezza (40,7%), secrezioni respiratorie (40,7%). Solo 9 pazienti (33,3%) erano coscienti, con 8 (29,6%) in grado di verbalizzare i propri bisogni.

Per tutti i pazienti sono stati rivalutati i trattamenti in atto, sospendendo quelli ritenuti inappropriati e sostituendo la somministrazione per via orale o endovenosa con l’infusione sottocutanea; a tutti sono state inoltre prescritte terapie al bisogno per la gestione dei sintomi maggiormente disturbanti quali dolore, agitazione, dispnea e secrezioni respiratorie, nausea e vomito. In tutti i casi sono state sospese anche le procedure diagnostiche e assistenziali di routine, che sono state rimodulate in base alle necessità individuali; per tutti i pazienti è stata documentata la volontà di non procedere a pratiche rianimatorie.
Per pazienti e familiari è stata valutata la capacità di parlare e comprendere la lingua italiana, come pure la consapevolezza rispetto alla diagnosi e all’imminenza della morte e le preferenze circa le modalità di comunicazione del decesso ai familiari. Solo 2 dei pazienti coscienti e in grado di verbalizzare le proprie scelte sono stati pienamente informati e coinvolti nel processo decisionale. Infine, per quanto riguarda l’informazione al medico di medicina generale, soltanto in 4 casi è avvenuta una comunicazione formale.
Complessivamente i 27 pazienti inclusi nello studio sono stati seguiti per 135 giorni. La Figura 2 riassume i risultati di 5.664 attività di valutazione documentate durante l’applicazione del PCFV, con 516 registrazioni per ogni sintomo (valutazioni previste ogni 4 ore) e 204 registrazioni per le altre componenti assistenziali considerate (valutazioni previste ogni 12 ore).

Come mostrano questi dati, l’attuazione del percorso ha permesso di raggiungere gli obiettivi assistenziali prefissi nella gran parte dei casi. Gli ambiti in cui si è rilevato il maggior numero di obiettivi non raggiunti, riportati come “varianti” nella cartella per le cure di fine vita (vedi Allegato 1), includevano il dolore (73 registrazioni, 14,1%), l’agitazione (49 registrazioni, 9,4%), le secrezioni respiratorie (48 registrazioni, 9,3%), la dispnea (7 registrazioni, 1,3%), le disfunzioni intestinali (6 registrazioni, 2,9%) e il supporto ai familiari (4 registrazioni, 1,9%).
L’individuazione sistematica del persistere dei sintomi ha però consentito di attuare interventi correttivi precoci, con conseguente riduzione della loro frequenza rispettivamente al 2,5% per quanto riguarda il dolore, all’1,3% per agitazione e secrezioni bronchiali, allo 0% per dispnea e disfunzioni intestinali; inoltre, solo nell’1% dei casi il supporto ai familiari è alla fine risultato inadeguato (Figura 3).

Per la maggior parte dei pazienti il decesso è quindi avvenuto in assenza di sintomi e con adeguato sostegno.

DISCUSSIONE
Il miglioramento della qualità dell’assistenza ai malati terminali ricoverati in reparti di Medicina Interna è un’esigenza avvertita a ogni livello (pazienti e loro familiari, medici, infermieri) ma deve fare i conti con barriere e resistenze di diversa natura, tra cui la scarsa preparazione specifica degli operatori e la mancanza di programmi ad hoc e di modelli organizzativi di riferimento (Ellershaw, Ward, 2003). Per questo motivo abbiamo sentito la necessità di stabilire una collaborazione con un’organizzazione professionale come la Fondazione Sue Ryder, riconosciuta nel campo della medicina palliativa a livello internazionale, che ci ha sostenuto nella fase di formazione del personale e nella progettazione di un programma di cure più adeguato ai bisogni dei pazienti neoplastici terminali.
Il percorso elaborato è un adattamento alla nostra realtà ospedaliera del Liverpool Care Pathway for the Dying Patient (LCP) (Ellershaw, Ward, 2003; Murphy et al., 2004) originariamente sviluppato in Inghilterra per contesti assistenziali anche di tipo territoriale. Si tratta di un percorso che guida i professionisti nella valutazione iniziale e continua del paziente e nelle scelte terapeutiche e assistenziali, orientate principalmente al comfort e al controllo dei sintomi che caratterizzano le ultime ore di vita del morente.
Poiché la diagnosi di morte imminente può non essere ovvia in molti pazienti, è necessario innanzitutto fare riferimento a criteri definiti e condivisibili, per evitare decisioni frettolose e rinunciatarie (Morita et al., 1999; Tanneberger et al., 2002; Tassinari et al., 2002; Viganò et al., 2000). I pazienti inclusi nello studio sono stati attentamente valutati dal gruppo multidisciplinare coinvolto, con esclusione di ogni potenziale causa reversibile delle condizioni terminali. Per la maggior parte di loro risultavano soddisfatti tutti i criteri di selezione definiti dal protocollo. Di fatto, il PCFV non è stato applicato per tutti i pazienti neoplastici considerati per un possibile reclutamento, e quelli reclutati hanno trascorso in media 12 giorni di ricovero ordinario prima di iniziare il percorso, a testimonianza di come non sia stato favorito alcun atteggiamento sbrigativo o rinunciatario. Il PCFV non rappresenta una sorta di abbandono del paziente, quanto piuttosto un intervento attivo, orientato a risultati che sono il comfort, la qualità di vita e la dignità della persona. Di questo può essere conferma la costante attività di valutazione effettuata, con le numerose registrazioni documentate. 
Un indicatore della qualità delle cure erogate al morente è costituito dal controllo dei sintomi che, se presenti, contribuiscono ad aumentare lo stato di sofferenza complessiva del malato. I risultati di alcune indagini (SUPPORT, 1995; Toscani et al., 2005) indicano come nelle realtà ospedaliere spesso si presti scarsa attenzione a tale aspetto, con alte percentuali di pazienti (dal 40% al 50%) che presentano dolore e dispnea; questi studi sottolineano inoltre che in generale pazienti e familiari desiderano una migliore qualità di vita piuttosto che un suo semplice prolungamento. In un’indagine retrospettiva precedente condotta su un gruppo di pazienti neoplastici deceduti nel nostro reparto, nella maggior parte dei casi avevamo riscontrato durante le ultime 48 ore di vita uno o più sintomi tra cui dolore, incontinenza urinaria, dispnea, agitazione, nausea (Bordin et al., 2011). La formazione del personale e l’adozione, nel quadro del PCFV, di una cartella per le cure di fine vita hanno consentito di rilevare costantemente le problematiche prioritarie per il paziente morente e di attuare interventi mirati e rapidi atti alla loro soluzione, con un controllo dei sintomi che in questo studio risulta raggiunto nella quasi totalità del campione esaminato.
Nella nostra esperienza, la comunicazione rappresenta un nodo problematico. Mentre nel rapporto con i familiari non si osservano incongruenze, la discussione del piano assistenziale con il paziente è stata attuata solamente in 2 casi (su 9 pazienti coscienti all’inizio del percorso). Da parte degli operatori sanitari persiste quindi la tendenza a eludere il tema morte con i pazienti coscienti, considerando la reticenza come una “premurosa protezione”, in questo spesso sollecitati dagli stessi familiari. In questo ambito è massimo il margine di sviluppo di competenza da parte dei professionisti e si rileva l’esigenza di un’ulteriore formazione specifica. Anche nel rapporto con il medico di famiglia vi è spazio di miglioramento: la comunicazione con tale figura è stata quasi sistematicamente trascurata, non tanto per difficoltà psicologiche quanto per aspetti di tipo organizzativo.

CONCLUSIONI
Dato il disegno esplorativo e osservazionale e la bassa numerosità del campione in esame, questo studio non può essere considerato come una validazione del PCFV; fornisce tuttavia l’evidenza di come sia possibile ottenere miglioramenti concreti, oggettivi e misurabili nell’assistenza dei malati terminali, anche in una unità di Medicina Interna. Il percorso di formazione e l’introduzione del PCFV per i pazienti oncologici ha consentito infatti di sensibilizzare al problema la totalità dei medici e infermieri del reparto, uniformando le modalità di approccio a questo tipo di malati. Ambiti di ulteriore sviluppo sono rappresentati da:

  • l’approfondimento, da parte degli operatori, delle competenze comunicative nei confronti del paziente;
  • l’elaborazione di procedure più operative per gli interventi attribuiti a operatori sociosanitari non coinvolti nel processo di formazione;
  • la valutazione dei risultati in termini di gradimento e vissuto dei familiari;
  • il trasferimento dell’esperienza a pazienti terminali con altre patologie.

Sarebbe auspicabile, infine, poter condividere l’esperienza con altre realtà italiane ed effettuare uno studio multicentrico, allo scopo di studiare gli effetti del PCFV su un campione maggiormente rappresentativo.


 

 Allegato 1. Estratto della cartella per le cure di fine vita

 

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Bibliografia

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