Attraverso la vita



Sigrid Nunez
Editore Garzanti, 2022
Pagine 176

Se il buon samaritano esaurisce la sua riserva di filantropia.
“Ai gatti riesce senza fatica ciò che è negato all’uomo: attraversare la vita senza far rumore”: la sentenza di Hemingway è quotidianamente confermata sia dalla discrezione dei felini, sia dalla chiassosa richiesta di attenzione degli umani. Parlano, si lamentano, cercano continuamente degli interlocutori. È l’esperienza della protagonista del romanzo di Sigrid Nunez: Attraverso la vita (Garzanti 2022). Si tratta di una signora di una certa età, colta e ben disposta verso gli altri. È quotidianamente esposta alla richiesta di attenzione da parte di coloro che la vita le fa incontrare. Eppure la comunicazione profonda sistematicamente fallisce. Tanto da essere indotta a dar ragione al suo ex – un intellettuale arido e convinto che la cosa più sbagliata da fare sia mettere al mondo dei figli, perché significa esporli al disastro ecologico che incombe – che ha una visione della Torre di Babele più radicale di quella presentata dalla Genesi: l’Onnipotente non si sarebbe limitato a confondere le lingue degli uomini, ma ha indotto una confusione più profonda: “Ognuno di noi parla la sua lingua personale, e ciò che vuol esprimere è chiaro solo a lui, o a lei, e a nessun altro”. Una regola che vale per tutti. “Soprattutto per gli innamorati”, aggiungerebbe il nostro disincantato esploratore della sofferenza umana.
La prova più onerosa che deve affrontare la protagonista del romanzo – senza nome; forse per significare l’universalità di ciò che deve sperimentare attraversando la vita – è la richiesta che le viene da un’amica. Sono legate fin dalla gioventù; anche se hanno percorso vie diverse, sanno di essere l’una per l’altra l’essere umano su cui ci si può appoggiare incondizionatamente. Ebbene, l’amica è arrivata alla fine della sua parabola vitale. Colpita da un cancro, si è sottoposta a trattamenti medici che l’hanno devastata. Senza alcuna remissione della patologia. Ora ha deciso che rinuncerà a ciò che la medicina vorrebbe ancora offrirle, con la prospettiva di perdere la vivibilità della poca vita che le resta. Un’altra dura esperienza del periodo della malattia è stata l’essere sottoposta ai consigli e incoraggiamenti delle persone che aspirano ad aiutarla. “Tutti pretendono che continui a lottare, a ogni costo”, dichiara all’amica. La malattia è trasformata in una narrazione eroica, in cui il ruolo di amici e conoscenti è di dispensare incoraggiamenti. Perché a chi sta male potrebbero mancare le cure, ma non avrà mai carenza di consigli…
La malata ha deciso di giocare d’anticipo sulla morte. Ha progettato la propria eutanasia; si è procurata i farmaci necessari; desidera solo qualcuno che le tenga compagnia, magari semplicemente soggiornando nella stanza accanto. È questa la richiesta rivolta all’amica del cuore. La quale si trova confrontata con una delle situazioni che mai si sarebbe aspettata di dover attraversare nella vita.
Sarebbe scorretto fare “spoiling” e rivelare gli sviluppi di quella che è la struttura portante del romanzo. Anche perché non siamo di fronte a un thrilling, ma piuttosto a una riflessione sulla faticosa esigenza di stare accanto a chi – con le parole o con la sua stessa vita – continua a chiedere aiuto. La buona disposizione verso il prossimo della nostra protagonista è messa alla prova da richieste ancor più difficili da accogliere dell’accompagnare chi vuol mettere fine anticipatamente ai propri giorni. Perché c’è chi alla vita si aggrappa, mentre questa lo trascina inesorabilmente verso il buco nero di un crescente degrado. E continua a “far rumore”, direbbe Hemingway; anzi, spesso lo accresce. Come quel docente universitario, già maestro di comportamenti civili, che ora in epoca di senilità e di demenza grida continuamente insultando “froci” e “negri”. O come quell’anziana signora che abita nello stesso palazzo della nostra eroina. Il figlio della signora vive in una città lontana e non riesce assolutamente a convincere la madre né a trasferirsi da lui, né a traslocare in una residenza appropriata. Chiede alla signora di andare regolarmente a fare una breve visita alla madre, per assicurare un controllo minimo. Lei ci va, ogni giorno. Porta dei muffin e caffè. La vecchia signora si rivela una campionessa di lamentele: tutto il tempo, ininterrottamente, snocciola la sua litania di lagnanze. Non rivolge nessuna attenzione alla visitatrice, nessuna parola di ringraziamento: i muffin avrebbero potuto portarli gli elfi. Così, giorno dopo giorno. Finché la visitatrice benevola non ne può proprio più. Essere invisibile è frustrante; la lamentela continua esasperante. Il più delle volte l’anziana si comporta come se lei non ci fosse neppure, salvo utilizzarla per riversarle addosso critiche a tutto e a tutti. In breve, è come se il Buon Samaritano della parabola evangelica, che si è preso cura del malcapitato, esaurite le sue risorse filantropiche, decidesse di desistere. E quando un imprevisto porta uno sconvolgimento organizzativo, la nostra protagonista mette fine al suo volontariato e si allontana definitivamente dalla lamentatrice compulsiva.
È la descrizione realistica di una generosità a termine nel prendersi cura di coloro che la vita mette sulla nostra strada. Nessuno è autorizzato a puntare un dito colpevolizzante contro chi si arrende in situazioni che eccedono le proprie risorse psicologiche ed emotive, anche le più generose. È invece l’occasione per ricordare che esiste un altro scenario della cura: quello professionale. Sono i curanti che, sostenuti dalla struttura delle regole deontologiche – delle quali la più importante è che la cura va rivolta, indistintamente, ai simpatici e agli odiosi, a coloro che la meritano come a coloro che fanno di tutto per essere ostili a chi la offre – fanno del prendersi cura di chi ha bisogno il loro lavoro quotidiano. Non meritano una considerazione minore di coloro che praticano la cura per idealismo, con una forte carica umanitaria. Tutt’altro: il lavoro di cura come professione è una garanzia nel tessuto della nostra vita sociale. Ci appoggiamo con gratitudine alle donne e agli uomini che lo svolgono. I Buoni Samaritani ci sono preziosi; ma non lo sono meno i professionisti della cura: infermieri e medici, operatori socio-sanitari e badanti. Tutti coloro che si sono impegnati a rimanere in prima linea anche quando i caregiver volontari si ritirano. Non necessitano di qualifiche di santità, né di eroismo; per tutti noi sono una risorsa quando, fieri del loro lavoro, lo svolgono con correttezza ed onestà.

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