Tracce di empatia


Giuliana Masera

EFFATÀ Editore, 2021
Pagine 96

“Abbiamo voluto dimenticare che veniamo al mondo dipendenti, bisognosi e già in relazione. C’è una relazionalità originaria, quella tra il nostro corpo e quello della madre. Il soggetto non può pensarsi fuori dalla relazione. La nostra unicità e singolarità ne sono segnate, partono da lì. Ma nella cultura occidentale interdipendenza vuole dire fragilità, vulnerabilità” (Boella, 2008).
L’idea odierna di persona intesa come individuo assoluto, sciolto dalle relazioni, è diventata un modello per la società contemporanea, ma è possibile partecipare alla gioia o al dolore di un altro se prima non si stabilisce un contatto?
La capacità di sentirlo, di rendersi conto, di immaginarsi nel luogo dell’altro può far nascere l’empatia, oppure può scoraggiarla?
E ancora: gli studi sulle neuroscienze possono aiutarci a comprendere meglio i meccanismi di funzionamento dell’empatia dal punto di vista neuronale?
Se empatia è provare a comprendere dove l’altro/a abita e come sta in quel luogo, allora è necessario fare continuamente i conti con l’estraneità di questo luogo e l’intenzionalità verso un suo possibile raggiungimento.
Siamo perennemente in relazione e gran parte delle nostre azioni sono relazionali. Eppure se siamo relazioni, perchè fatichiamo a curarle, nutrirle, sostenerle?
Relazione è costruzione di legami tra persone, che hanno a che fare con esperienze vissute insieme, con una storia comune, con le parte emotiva di noi, con il sentirci accolti e rispecchiati, ascoltati e rispettati nella nostra unicità e nel nostro essere .
Attraverso il tempo che noi dedichiamo alla relazione riusciamo a conoscerci , capirci o confliggere, attraversare insieme momenti difficili, e gioire insieme di quelli positivi, solo nella reciprocità il legame nella relazione si mantiene vivo e fecondo.
Diventa allora fondamentale nutrirla attraverso l’attenzione ai piccoli gesti, alla gentilezza, alla consapevolezza che dietro a qualsiasi ruolo o funzione esiste una persona e non ci si rapporta mai con un corpo macchina da aggiustare in qualche parte malfunzionante, ma sempre con un corpo vivo, spesso ferito nella parte più profonda di sè.
Assumendo nel lavoro di cura quotidiano, la capacità empatica quale forma di conoscenza, si può realmente sperimentare come nell’azione dei gesti quotidiani possano avvenire cambiamenti, sviluppi di disposizioni nuove inesplorate e imprevedibili.
La relazione costituisce qualcosa di dinamico e complesso e ciascun partecipante porta una parte di se che a volte può essere irritante e incomprensibile, ma il dialogo consente l’attivazione di un processo di co-costruzione della relazione stessa dove gli angoli si smussano e si impara ad accettare anche aspetti che in un primo momento non riusciamo a comprendere.
Pagine facili da leggere ma che invitano a profonde riflessioni sull’empatia considerandola o meglio, riconsiderandola alla luce delle neuroscienze, delle discipline filosofiche e come, ben spiega l’autrice, anche di discipline come la neuroetica.
Una rilettura dunque per approfondire anche le modalità e le forme di espressione dell’empatia, tutti i giorni, nella relazione con l’altro.

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