Vite di C’era. L’invisibile nell’impercettibile


Antonio Romano

Musicaos Editore, 2020
Pagine 214

Il libro di Antonio Romano si propone di dare voce a chi voce non ne ha. Esistenze in cui ognuno di noi si riconosce identificando qualcuno che ha incontrato, conosciuto, amato o semplicemente vissuto nella propria esperienza professionale o di vita. Testimonianze di chi, senza chiedere nulla in cambio regala una storia, una poesia, attraverso un’esistenza straordinaria nella sua semplicità. Nursing narrativo che da forma e significato a “Vite di C’era”. Dove il tempo al passato indica la fiamma riflessa di ognuno di noi, istanti in continua evoluzione. Essa diviene passato nell’attimo in cui è vissuta. La cera è ciò che rimane allo sciogliersi della candela. Due fasce evolutive nella società. Da una parte gli impercettibili da sempre impegnati a vivere la vita freneticamente, schiavi degli schemi sociali e subordinati allo stesso meccanismo da loro creato. Essi si spendono per l’autodeterminazione, la propria identità ed obiettivi comuni, in una fase di passaggio che porta all’invisibilità. Composta da anziani, malati cronici, terminali e psichiatrici. Tutte quelle persone che hanno disposto dell’ultimo giro di valzer nella “balera” della società o non ne hanno mai avuto occasione. Bisognosi solo di essere ascoltati e compresi, vivendo nei ricordi e nella nostalgia di essi, consapevoli di essere presto sostituiti da altri invisibili e di aver speso la propria esistenza nella costruzione di un avvenire, concretizzandosi alla fine come un castello di sabbia eretto dagli impercettibili, pronto a dissolversi nel nulla.
Storie narrate con un nobile fine, con lo scopo di trasportare il lettore dentro la quotidianità, in un vissuto di malattia, specie se cronica. Diabete, Alzheimer, neoplasia, cardiopatia, malattie nella mente e nel corpo, raccontate attraverso le emozioni, dando voce a chi non è in grado di urlare, sensibilizzando il lettore su un cambiamento che appartiene a tutti, riflettendo sulle dinamiche umane innescate da un evento improvviso o graduale, ineluttabile. Un trasporto emotivo tale da concedere al lettore la possibilità di immedesimarsi nei protagonisti-assistiti o nel narratore-protagonista, quest’ultimo, dapprima studente, poi infermiere. Consapevole di essere anch’esso in un limbo tra impercettibili e invisibili. La storia di Nepente dapprima introduce il lettore a comprendere il vero significato dell’essere studente; non uno studente qualsiasi, ma uno studente infermiere. Esso delizia, con sottile ironia ciò che lo attende ancora ad oggi, in un percorso di tirocinio in corsia. Un connubio tra emozioni e pragmatismo. Da una parte gioia, paura, silenzi, urla, pianti, sospiri, speranze, rassegnazioni e solitudine nel vissuto del paziente, dall’altra “il mercato” dell’assistenza per compiti e per azioni, delle persone che diventano numeri per posti letto. Consegne, igiene, terapia, giro visite in cicli su cicli. Ma Nepente si ferma, si ferma ad ascoltare, comprendere il significato non convenzionale e non standardizzato della cura, del prendersi cura. Egli rende i personaggi “unità di senso” portatori di esperienze, emozioni e sentimenti nel contesto della relazione di cura. Storie toccanti come quella della moglie di Salvatore, colpita dall’Alzheimer, ci fanno comprendere come improvvisamente la propria esistenza e quella di chi ci sta accanto, possa essere travolta e stravolta, inducendo a riflettere senza indugio ai temi esistenziali della natura umana, sforzandoci di vivere l’oggi nel migliore dei modi come fosse l’ultimo dei giorni, di non dare mai nulla per scontato e più ancora, di dare importanza alle piccole cose, a semplici parole, come: “ti voglio bene”, “scusa”, grazie”, ingigantite se poste di fronte all’inesorabile tramonto del percorso terreno, seppur confortato dal privilegio, non da tutti, di morire nell’amore. La narrazione si avvicina al vissuto della persona sino a farne ri-vivere il suo vero significato. Nepente ci prende per mano spiegandoci come poter comprendere e fare nostre le vite dei nostri pazienti, ricordandoci come poter essere infermieri intimamente presenti. Ci accompagna nell’iniziale consapevolezza di non poter vivere le stesse emozioni e capir le scelte-non scelte di vita di chi si è trovato a convivere con una malattia; di chi si è ritrovato tra gli invisibili.
Antonio Romano, àlias Nepente, nella seconda parte della storia, da scrittore riflessivo diventa protagonista di sè stesso, nella sua personale battaglia contro la malattia. Attraverso di essa ha trasformato le emozioni in esperienza al servizio degli altri. Utilizzando sue parole:” è stato in grado di dare voce a chi voce non ne ha e di ascoltare chi al termine della sua invisibilità non rimarrà”.
Ci ha dato esempio, indirettamente, di come i nostri assistiti siano gli esperti della propria condizione esperita, mettendoci in evidenza come la conoscenza intima del paziente e della famiglia ci consenta di svolgere la professione in un clima di comprensione e fiducia condivisa e di riflesso in modo efficacie e sicuro, tutelando e proteggendo ciò che davvero conta per la persona di cui ci si prende cura. Il testo può rappresentare un utile riferimento nella pratica e nella formazione professionale, spunto per valorizzare skills nell’apprendimento di dinamiche sociali e delle vicissitudini umane, raccontate attraverso emozioni.
Il libro è il frutto di un percorso professionale e di vita, un connubio tra nursing narrativo e polisensorialità tra immaginazione e suono, capaci di generare nel lettore un forte impatto emotivo, amplificato da suggestive melodie strumentali selezionate dall’autore nell’incedere narrativo. Un incalzante coinvolgimento sensoriale che può seriamente compromettere lo stereotipo della lettura attraverso i soli occhi.

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