C’è un modo giusto per vivere il morire e la morte? A questa domanda fondamentale cercano di dare una risposta Marta De Angelis, una giovane dottoressa di Cure Palliative, e Paolo Trenta, un sociologo con una ampia e matura esperienza in Medicina Narrativa. Lo fanno con un volume di estremo interesse sia per gli addetti ai lavori, sia per le persone comuni: in ambedue le prospettive la morte e il morire saranno parte del proprio cammino. In modo giusto cerca appunto di dare risposta a quel quesito che ci siamo posti in partenza, per giungere a una considerazione che ormai accomuna tutti coloro che si riconoscono nella Medicina Narrativa, a cui è dedicata questa collana dell’editore Maria Margherita Bulgarini: non può riconoscersi un modo giusto, per così dire unico, universale, bensì il modo giusto, ovvero quello che ciascuno di noi riconosce come tale, in base alla sua esistenza, alle sue scelte, ai suoi valori.
Il percorso che offre il volume è decisamente degno di attenzione per il suo particolare valore: come ci dice Stefania Polvani, Presidente della Società Italiana di Medicina Narrativa, è “un prezioso scrigno di reazioni: pensieri ed esperienze di pensatori, di professionisti, di scrittori, di ammalati e di loro familiari e amici” (pag. 8).
Nella prima parte l’approccio sociologico ci aiuta a inquadrare le problematiche del nostro tempo sulla morte. Ci viene così descritta la decostruzione della morte (pag. 52), definita da Bauman come la scomposizione in piccole parti, ognuna delle quali affrontabile separatamente, e successivamente la medicalizzazione della morte, per giungere a analizzare, con una ricca ed ampia rassegna di autori, la morte nella società postmortale. Gli Autori giungono così a riaffermare “l’ineludibile esigenza di comporre, connettere, collegare in un’unica trama vita e morte, poiché è quest’ultima che definisce il senso del vivere e la sua intima ed esclusiva essenza“ (pag. 75).
Essenziale, in questo percorso di cura della morte, è il ruolo dei professionisti e degli operatori sanitari: infatti “plasmare la propria storia sino alla fine della propria vita può essere fatto solo con un accompagnamento solidale, caldo e competente, da parte di chi conosce le cose cui va incontro e conosce anche i rimedi lenitivi per contenere e limitare le sofferenze inutili” (pag. 117).
Ma una parte fondamentale dell’opera è proprio quella finale, nella quale vengono presentate le storie di varie persone, che da una parte (quella della persona paziente e dei suoi cari) e dell’altra (quella dei professionisti) raccontano il complesso quanto affascinante percorso della fine della vita, affinché la storia di ciascuno possa essere di aiuto all’altro, persona o professionista che sia. L’intento degli Autori si dimostra, dopo 262 pagine, ampiamente soddisfatto: “solo così è possibile, come abbiamo provato a dimostrare, costruire per ogni persona un vivere la fine della vita e un morire ‘in modo giusto’, senza dolori inutili, ‘sazio di giorni’, ‘al momento giusto’, come nel suo Zarathustra ha ammonito Nietzsche” (pag. 260).
Laura D’Addio