Professione infermieristica: l’anno che verrà


Il 2019 non deve essere un anno di stasi, ma di pieno sviluppo della professione che deve raggiungere nuovi traguardi e posizionarsi su nuovi livelli professionali clinici, manageriali e gestionali rispetto a un sistema che sarà costretto a evolvere non fosse altro che per la nuova epidemiologia dei prossimi anni.
L’età media della popolazione è di 80,6 anni per gli uomini e di 84,9 anni per le donne ed è in continuo aumento così come l’indice di mortalità su 1000 abitanti (+5,1%): 8,1 al Nord, 8,2 al Centro, 9,1 al Sud con una decrescita continua della popolazione: nel 2017 -89mila abitanti al Nord, -45mila al Centro, -49mila al Sud. La fascia di età più popolata è quella compresa tra i 40 e i 64 anni (37,1% della popolazione).
In Italia un adulto su tre soffre di almeno due malattie croniche e nella popolazione anziana i pazienti con multipatologie diventano 2 su 3 e sopra i 65 anni il 10% della popolazione ha almeno tre malattie croniche.
A livello mondiale i costi per la cura di questi malati assorbono circa il 70-80% delle risorse sanitarie, numeri che, in conseguenza del miglioramento delle cure e dell'aumento dell'aspettativa di vita, aumenteranno ma che pongono al “sistema salute” molteplici sfide.
Il profilo del nuovo malato complesso quindi è quello di un individuo sopra i 65 anni, che assume contemporaneamente più di cinque farmaci, afflitto da disabilità, ma con un’aspettativa media di vita più lunga che in passato.
In questo senso la prima figura a entrare in gioco, ma con un nuovo modo di giocare, è l’infermiere.
Le aziende dovrebbero, come ha anche sottolineato il Rapporto Oasi 2018 del Cergas Bocconi, essere aiutate nell’organizzazione degli organici da un dibattito esplicito su conseguenze, implicazioni e misure da adottare per rispondere alle sfide dell’insieme di scelte che il sistema nel suo complesso ha ritenuto di compiere, in particolare sul contenimento del costo del personale.
E dovrebbero adottare obiettivi e vincoli in termini di quantità e di composizione del personale, anche per aiutarle a resistere alle intense pressioni (la carenza di medici) che minano la possibilità di rispondere alle esigenze di domani (un cambiamento nello skill mix), con uno sforzo di rimozione di tutti i vincoli che non presidiano la qualità di cure e assistenza, ma sono spesso solo una difesa di rendite professionali e la promozione e diffusione di modelli di organizzazione del lavoro che consentano a tutte le categorie di operatori di sfruttare al massimo competenze e abilità.
Le spinte a intervenire sulla gestione delle competenze non vengono solo dall’ambiente esterno come nel caso qualità, efficienza e competitività, ma sono il frutto di trasformazioni strutturali dell’ambiente interno, cioè del cambiamento in alcuni elementi critici.

La prima trasformazione è quella dell’aumento delle interdipendenze che caratterizzano i processi di cura e assistenza sia in termini operativi che di saperi e competenze coinvolti (multiprofessionalità e multidisciplinarietà).
L’aumento della complessità necessita di interventi per la gestione delle competenze individuali e di condivisione formale e informale delle conoscenze.
La seconda è l’indebolimento dei confini tra le diverse professioni. Tanto più netti sono i confini tra professioni e specialità, tanto maggiore e il ruolo che possono svolgere per garantire che i livelli di competenze individuali siano coerenti con le attività svolte e le prestazioni erogate.
Modificare lo skill mix non significa sostituire una professione con un’altra nello svolgimento di un’attività, ma l’arricchimento dei “confini” del sapere professionale (cosiddetto upgrading). È un imperativo che tutte le professioni perseguano l’upgrading generali delle competenze di tutti i professionisti senza alzare barriere corporativistiche.
Gli elementi da cui partire sono almeno tre:

  1. le professioni sono caratterizzate dalla infungibilità. Ciascuna professione o disciplina tende a considerarsi in un rapporto fisso ed esclusivo con il bisogno cui ritiene di poter dare risposta, in questa prospettiva il dimensionamento degli organici si configurerebbe come la sommatoria, disgiunta, di dimensionamenti parziali;
  2. poiché l’offerta condiziona la domanda e la formazione dei professionisti è lunga e costosa, in quasi tutti i paesi esistono forme di programmazione del personale sanitario. Accade spesso che per motivi diversi domanda e offerta di professionisti non realizzino un equilibrio;
  3. poiché molte decisioni sono del tipo long fuse big bang – ovvero producono effetti rilevanti nel medio lungo periodo – è importante saper distinguere gli orizzonti temporali effettivamente rilevanti.

Le politiche per consentire e facilitare il cambiamento nello skill mix dovrebbero operare in quattro direzioni.
La prima è la valorizzazione nell’opinione pubblica del ruolo e delle funzioni dei professionisti infermieri altrimenti ogni cambiamento nello skill mix sarebbe vissuto come un mero ragionamento economico.
La seconda è la necessità di definire e rendere cogenti per le aziende standard di miglioramento in alcune variabili chiave tra cui una diversa composizione del personale raggiungibile attraverso lo sviluppo delle competenze dei professionisti infermieri. ). Le razionalità aziendali spingono invece verso una ripetizione di modelli ereditati dal passato.
È necessario poi – ed è la terza direzione – esercitare uno sforzo di rimozione di tutti i vincoli che ostacolano lo skill mix change che non presidiano la qualità delle cure e dell’assistenza, ma rappresentano spesso solo una difesa delle rendite professionali.
Infine, si devono promuovere e diffondere modelli di organizzazione del lavoro che consentano a tutti gli operatori di sfruttare competenze e abilità.
Per questo, che rappresenta non un futuro prossimo ma il passaggio dall’oggi al domani, tra i tanti passi che la Federazione ha intenzione di compiere nel 2019 c’è il riconoscimento delle specializzazioni infermieristiche, una necessità dettata dalla costante evoluzione nei settori scientifico, epidemiologico, demografico, tecnologico, formativo/professionale e dallo sviluppo dei processi assistenziali e dei modelli organizzativi in ambito sanitario e sociosanitario.
Consentirebbero un migliore sviluppo di strutture a bassa intensità di cura (ospedali di comunità, reparti a gestione infermieristica, percorsi domiciliari di proattività e presa in carico, ambulatori infermieristici).
In questo senso è necessario inquadrare anche l’infungibilità di queste specializzazioni, che parte dalla necessità di un coordinamento trasversale dell'assistenza per il quale si richiedono nuovi ruoli, già individuati nelle aree specialistiche descritte nella bozza di accordo Stato-Regioni 2013 e nel prot. FNOPI-CSM-CNF.

Per poter condurre questa battaglia è prioritario affrontare la carenza di professionisti.
Lo scenario da ricercare è di una trasformazione strutturale nell’organizzazione del lavoro che deve riuscire a produrre un sistema a maggiore focalizzazione e specializzazione per lasciare spazio ad altre figure, in linea con quanto indicato dagli organismi internazionali.
Una soluzione di breve periodo che consentirebbe una giusta programmazione delle risorse e al tempo stesso l’espletamento delle funzioni richieste sul territorio e sulla continuità assistenziale sarebbe quella di investire sull’autonomia infermieristica, puntando ad agire su competenze Già esprimibili e consolidate ma con fatica ancora oggi messe a regime formale.
Gli argomenti da sviluppare, in questo scenario complesso e su cui la Federazione sta lavorando alacremente, sono tanti: dall’ospedale di comunità all’infermiere di famiglia, dalla tutela delle specificità della professione e del nome “infermiere” a quella dell’aumento del corpo docenti MED 45, dal fabbisogno formativo e di un diverso piano di studi per andare verso forme di specializzazioni al riconoscimento della intromoenia per i pubblici dipendenti.
In questo senso fondamentale risulta il recente protocollo FNOPI / Conferenza Regioni che affronterà parte di queste tematiche declinato formalmente anche sui singoli livelli regionali che in questi giorni si stanno attivando.

Ma vale su tutto quello ciò che il nostro Comitato centrale 2018-2021 si è dato come obiettivo dei valori della professione basandosi sulla forza della relazione, dell'ascolto, dell'inclusione, sull’autonomie di pensiero e di cultura, sullo spirito di servizio istituzionale, sullo studio continuo, sulla delega alla comunità professionale con le giuste competenze.
Percorsi che si prefiggono obiettivi di sistema che si raggiungono nel medio-lungo termine e si ottengono con serietà, impegno, senso istituzionale, dignità e rispetto per l'onesta intellettuale. Tutte caratteristiche proprie della nostra professione e degli infermieri e su cui tutti dobbiamo impegnarci, nessuno escluso.

 

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