Parole e gesti di cura


Parole e gesti di curaGiuliana Masera, infermiera, filosofa in Bioetica e docente presso l’Università di Parma, propone un testo importante, fondante e sfidanti per la professione infermieristica.

Un testo importante perché “Parole e gesti di cura” articolato nelle sue tre sezioni, ci conduce attraverso una riflessione che dal tecnicismo della cura, ci fa “fermare” sul senso del prendersi cura. Prendersi cura è prendersi cura di qualcuno ma anche prendersi cura di se stesso. E’ un po' come un invito a prendersi cura della professione, di una professione che vive di reciprocità, di relazione correlata alla responsabilità (pag. 143) con l’altro di cui appunto si prende cura.

Un testo fondante perché riparte dalle basi della relazione con l’altro, affrontando movimenti e sentimenti del vivere umano che sono e danno senso alla quotidianità di una professione che fa della vicinanza e la cura con il corpo e del corpo, il suo principale ambito di azione.

Certo, anche un testo sfidante. Sfidante perché la complessità dei contenuti proposti, dei ragionamenti che li sottendono e dei percorsi proposti corrono il rischio di non essere apprezzati nella loro interezza. E’ un testo che necessita di un vero accompagnamento nella sua comprensione profonda, ma che ne vale sicuramente la pena, perché di questo livello di riflessione ne abbiamo bisogno sia come singoli infermieri che come corpo professionale. La possibilità di chiarire a questo livello il senso e la natura delle parole e dei gesti che connotano la professione infermieristica, può essere utile ad orientarsi a fronte della molteplicità di tipologie umane e collettive, problematiche di salute e malattia, varietà di modelli di cura e di organizzazioni.

La prima sezione declina appunto le “parole di cura”, alcune ci sono più familiari, altre sono una scoperta, come una scoperta può essere l’esperienza con i/le filosofi/e che hanno ragionato su queste parole e il loro contenuto. A titolo di esempio, qui si cita la parola “Attenzione” (pag. 18). Tanto per cominciare la Masera ci descrive le origini del termine e questo già di per se è illuminante. Il precursore latino era attentio che significa “dedicarsi a, volgere la propria mente e se stesso verso…” (pag. 18). Insomma l’autrice ci ricorda che la prima cosa da farsi quando ci si prende cura di un altro, è dargli attenzione. E poi continua “prestare attenzione rappresenta la prima forma di cura” (pag. 19), viceversa la disattenzione è descritta come un “atto moralmente riprovevole” se non altro perché anticipa l’indifferenza. Viene poi riportato il pensiero della filosofa Simone Weil che ritiene la capacità di prestare attenzione come la base di una relazione “autenticamente umana” (pag. 20) e come per fa ciò sia necessario avere nella relazione con l’altro un atteggiamento iniziale di passività, necessario appunto nel primo stadio della cura.

Ma non basta, viene richiamato come per esercitare una prassi, sia sempre indispensabile che questa sia espressione di un pensiero. E allora tanto per passare dal pensiero alla prassi, all’inizio della II guerra mondiale la Weil aveva il “Progetto di Infermiere di prima linea” (pag. 22), che portasse una “testimonianza attiva di attenzione alla vita” (pag. 23), anche nel centro del conflitto.

In qualche modo, il gesto concreto di cura, richiama alla fragilità dell’essere e alla sua necessità di cura e questo è già prestargli attenzione.

Ma quali possono essere le ricadute appunto nella pratica di quando dissertato nel testo? Probabilmente ognuno individuerà le proprie, ma se si pensa ai tanti conflitti che vengono descritti nei pronto soccorsi o nelle unità operative con pazienti e familiari sfiduciato o abituati che solo strillando ottengono ciò che ritengono importante per loro, bè forse ripensare al “campo di antiforza” (pag. 21) della Weil citato sapientemente dall’autrice, non ci farebbe male affatto.

In modo analogo sono tante le parole declinate nel testo: dono, dolore, empatia, tenerezza, fiducia, silenzio, speranza, senso, di tute probabilmente ce ne è un grande bisogno.

La seconda sezione del testo ci offre la cornice teorica. Sono quindi descritti alcuni strumenti di indagine che i principali filosofi fenomenologi hanno messo a disposizione per i professionisti della cura. La fenomenologia, è ritenuta la metodologia di ricerca più adatta per le professioni di cura, in quanto non solo permette di comprendere la realtà della persona, ma ne considera i valori individuali e le relazioni che in un approccio olistico, si instaurano tra professionista e persona assistita.

L’ultima sezione del testo offre due interessanti esempi pratici di ricerca fenomenologica in merito all’esperienza del tocco e alla proporzionalità della cura.

A chi potrebbe essere rivolto questo testo? Ben presentato e discusso certamente agli studenti della laurea magistrale. Per gli studenti o gli infermieri in generale, il rischio che una riflessione così importante possa non essere compresa e apprezzata a pieno, specie per le preziose ricadute nella prassi che porterebbe con se, in effetti potrebbe essere considerato un limite. Ma, come ci dice il testo, non perdiamo la speranza (pag. 64), potrebbe essere una nuova sfida per il futuro una versione che riesca a rendere semplici anche i concetti più complessi.
 

A cura della Redazione del L’Infermiere

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