Storia della mia ansia


Storia della mia ansiaL'ultima fatica letteraria di Daria Bignardi è un libro che racconta una storia di donna e insieme condivide un’esperienza comune a tanti. Anzi a ben vedere due esperienze, che alla fine diventano antagoniste: da una parte l’ansia vissuta come una maledizione familiare e un impedimento paralizzante, dall’altra l’irrompere di una malattia, un tumore, che, materializzando e rendendo visibile una paura continua, dà alla fine la possibilità di dominarla e conviverci, facendo di Lea, la protagonista del romanzo, una donna diversa.

L’ultimo romanzo di Daria Bignardi, almeno in parte autobiografico pensando alla sua lotta contro un tumore, si gioca tutto su questa contrapposizione, su questo cambiamento di prospettiva che, pur descrivendo con realismo e senza sentimentalismi la malattia, la chemioterapia, il tradimento del corpo, osserva questa esperienza come una straordinaria opportunità di cambiamento e di nuova possibilità di prendere possesso della propria vita.

La malattia diventa così un'opportunità, ma anche un bivio e un confine tra il prima e il dopo, tra una vita in cui Lea non riesce più né a riconoscersi né a sentirsi libera, e una nuova leggerezza che diventa apertura al nuovo, ad un futuro da attendere con leggerezza. Come dice Lea “il buono di una malattia è che capisci cosa viene prima. Lo senti senza più incertezza, ed esci dalla ruota del criceto. Per piena che sia, ogni vita, prima o poi, diventa una bolla in cui fai sempre le stesse cose. Quando ti ammali la bolla esplode. Fai esperienze nuove, conosci nuove persone: medici, infermieri, altri malati. Altri mondi” (pos. 111/1731, edizione Kindle).

La particolarità di questo romanzo, che a parte qualche elemento di invenzione è, come abbiamo detto, fortemente basato sulla storia di Lea e di molte altre donne con un cancro al seno, è però quella di fare spazio alla malattia e a quello che con sé porta: “scoprire di avere una malattia catapulta in una dimensione più libera. Non puoi programmare nulla, a parte le cure. Improvvisamente hai più spazio nel disco rigido del cervello. Non dico che ammalarsi sia una fortuna – mi irritano i mistici della malattia: non c’è nulla di eroico nell’ammalarsi e curarsi, si è costretti a farlo, casomai c’è qualche nobiltà nella discrezione – ma almeno quest’anno il problema del teatro non si pone: il programma dei prossimi mesi prevede quattro cicli di chemioterapia” (pos. 106/1731, edizione Kindle).

Certo, questa apertura verso una nuova dimensione non viene da sola, non si riceve in dono, non la si può comperare: va solo percorsa. “La chemioterapia fa schifo. Dopo il primo giorno di nausea paralizzante so una cosa sola: non voglio farla mai più. Perché dovrei avvelenarmi ancora? (…) La roba che mi hanno iniettat0 ha cancellato le emozioni, tranne quelle negative, e non mi fa trovare le parole, i gesti, gli slanci. Se questo è il risultato di un’infusione, come starò dopo quattro? Il mio corpo si rifiuta di pensarlo” (pos. 295/1731, edizione Kindle).

Ma lasciamo parlare l’autrice, che descrivendo il suo lavoro dice: “Ho immaginato una donna che capisce di non doversi più vergognare del suo lato buio, l'ansia. Lea odia l'ansia perché sua madre ne era devastata, ma crescendo si rende conto di non poter sfuggire allo stesso destino: è preda di pensieri ossessivi su tutto quello che non va nella sua vita, che, a dire il vero, funzionerebbe abbastanza (…) Nella vita di Lea improvvisamente irrompono una malattia e nuovi incontri, che lei accoglie con curiosità, quasi con allegria: nessuno è più di buon umore di un ansioso, di un depresso o di uno scrittore, quando gli succede qualcosa di grosso” (pos. 16/1731, edizione Kindle).

L’autrice dà così voce a tante donne che devono affrontare il trauma della malattia, ma mettendo la malattia stessa in parte in sfondo, per far emergere la possibilità, data a tutte e a tutti, dopo la paura e lo smarrimento, di scegliere, di reinventarsi, di accettare l’inaspettato.
 

Laura D’Addio

STAMPA L'ARTICOLO