Infermieri leader dei nuovi modelli di assistenza


La professione infermieristica cresce, non difende posizioni antiche e al di là delle parole, nei fatti, comunica col mondo (sanitario) che la circonda. La professione infermieristica non parla di se stessa a se stessa, ma dimostra con la sua capacità come si sta evolvendo l’assistenza.

Essere infermiere oggi è una scelta importante, una professione importante, in divenire e in crescita rispetto a competenze, responsabilità e impegno nei confronti prima di tutto degli assistiti, poi anche degli altri professionisti che ci affiancano nell’attività di tutti i giorni.

Si tratta di un principio che avevamo dichiarato a inizio mandato di questo Comitato centrale e lo abbiamo ribadito strada facendo, in più occasioni dimostrandolo anche nei fatti. Un principio che ha visto numerose conferme e altre – tante altre – ne attende a breve.

La nostra professione è sempre più visibile, anche se la strada da percorrere è lunga e gli ostacoli non mancano mai. C’è il nuovo capitolo della responsabilità tutto da scoprire e da comprendere anche secondo le interpretazioni che della legge danno e daranno i giudici. C’è il capitolo dell’utilizzo improprio dei nostri professionisti da parte di molte aziende sanitarie e del sovrautilizzo che anche a livello giurisprudenziale si sta riconoscendo come illecito e da sanzionare. C’è una difesa di immagine, spesso confusa e fraintesa con quella di altre attività sanitarie o presunte tali che con gli infermieri non hanno nulla a che fare e che per questo addensano spesso ombre sulla professione.

Ma nonostante tutto, l’infermieristica italiana sta compiendo una ulteriore, rapidissima crescita professionale e guadagnando posizioni.

A darle una spinta, ad esempio, ci penserà in parte il contratto, ormai alle porte, che conferma negli atti di indirizzo la nuova posizione di professionista specialista e la inquadra anche nel sistema delle carriere. E naturalmente tutto questo rientrerà nell’ambito di una premialità e di una valorizzazione della professione che rappresenta un ulteriore momento di crescita sia dal punto di vista manageriale-gestionale, sia da quello clinico-assistenziale. Un contratto dal quale ci aspettiamo anche soluzioni ad alcuni dei problemi spesso sottolineati di blocchi di turn over e carenze di organici, anche se per le risorse finali, quelle che potrebbero consentire di abbandonare tutto questo, sarà necessario attendere a fine anno la nuova legge di bilancio, come promesso dal Governo ai sindacati.

Speriamo poi possa portare entro dicembre le novità che attendiamo da oltre dieci anni anche il Ddl Lorenzin, ormai all’esame del Parlamento da circa 1.300 giorni. Per quel che ci riguarda la priorità è il salto da Collegi e Ordini, una evoluzione naturale che dovrebbe essere paradossalmente automatica visto che la legge istitutiva di Ordini e Collegi differenziava gli uni dagli altri in base al titolo di studio: i primi per le professioni laureate, i secondi per le altre e gli infermieri ormai sono venti anni che come professione intellettuale sono formati nelle Università con laurea triennale, magistrale e master.

Ma su molto altro le porte sono aperte grazie all’azione della Federazione. Perché il concetto di multidisciplinarietà non si realizza sedendosi e aspettando, ma mettendo in pratica tutte quelle opportunità che favoriscono il lavoro e che lo favoriscono lavorando insieme.

Gli esempi sono tanti. Da inizio anno siamo al lavoro con FnomCeO per un Tavolo di posizionamento strategico, che ridefinisca come le nostre due professioni stanno in relazione dentro un sistema profondamente mutato. Collaborazione, concertazione, complementarietà delle professionalità di ognuno, onestà intellettuale sono le parole d’ordine che ci siamo dati e che abbiamo condiviso, su cui stiamo lavorando con l’unico scopo di individuare tutte le strade possibili per il bene dell’assistito.

Nell’ultima tornata di Asn (Abilitazione scientifica nazionale) del 2017 abbiamo 16 nuovi colleghi idonei all’ordinariato e/o associatura: spetta ora alla Federazione nazionale, con il Collegio dei docenti e con il Miur, sviluppare le strategie per incardinarli e far crescere così, la nostra disciplina a livello Universitario.

Abbiamo avviato la Consulta delle associazioni infermieristiche per favorire il confronto e la crescita culturale sulle tematiche di interesse per la professione, sviluppando la collaborazione e il coordinamento fra le varie realtà culturali che se ne occupano senza scopo di lucro. E non dimentichiamo che sono proprio le associazioni infermieristiche quelle che dovranno partecipare alla stesura delle linee guida che, secondo la legge 24/2017, faranno da discrimine tra i vai livelli di responsabilità professionali.

Abbiamo attivato la Consulta sulla formazione universitaria, per favorire il confronto e la crescita culturale sulle tematiche di interesse per la professione infermieristica, sviluppando la collaborazione e il coordinamento tra la Federazione e tutti i Professori-Coordinatori-Ricercatori e Presidenti dei corsi di laurea in infermieristica e chiunque a livello universitario si occupi della formazione professionale infermieristica con incarichi di responsabilità. Un passaggio fondamentale per la crescita della nostra professione che trova proprio nella formazione la base più solida su cui crescere e svilupparsi.

E abbiamo attivato anche la Consulta permanente con le associazioni dei cittadini e dei pazienti. Il rapporto coi pazienti è per noi un elemento valoriale importante della professione e del suo ‘patto col cittadino’ che da anni la caratterizza. Nel nostro Codice deontologico l’elemento portante è il ruolo della professione legato all’ideale di servizio che è quello di assistere la persona. Per noi è essenziale avere una relazione privilegiata con i cittadini e i pazienti, per comprendere come ci vedono (e in questo senso abbiamo attivato anche un Osservatorio civico con Cittadinanzattiva) e come possiamo soddisfare nel modo migliore i loro bisogni di salute. Il Servizio sanitario è ancora troppo centrato sull’acuzie, ma i bisogni di salute stanno rapidamente cambiando e già si sono modificati. Sono aumentati gli anni di vita, ma non in buona salute purtroppo e lavorare sulle competenze e sulle capacità degli infermieri rappresenta un modo proattivo di vedere la professione per conoscere e soddisfare i bisogni dei nostri assistiti.

I nostri assistiti in realtà ci vedono già nel migliore dei modi: un recente monitoraggio di Cittadinanzattiva ha evidenziato infatti che, secondo i cittadini, gli infermieri sono i più presenti nelle cure domiciliari: 84,31 per cento. Ma soprattutto sono i più “reperibili” e sempre disponibili anche rispetto a tutte le altre figure dell’assistenza. Un dato che fa da supporto a quello elaborato dal Censis e presentato a maggio, secondo cui, a prescindere dalle cure domiciliari, gli italiani apprezzano gli infermieri: l’84,7% dei cittadini dichiara di fidarsi di loro. E ad avere più fiducia sono gli ultrasessantacinquenni (90,1%), le persone che vivono sole (89%), le famiglie con ultrasettantenni (84,7%), le famiglie con minori (82%). Il nostro target di elezione insomma.

Questi tutta via sono solo alcuni esempi di quello che stiamo preparando e che già è operativo sul fronte del necessario cambio di rotta nel modello di assistenza. Un modello plasmato su una nuova epidemiologie e nuovi bisogni di salute, dove la cronicità e la demografia in genere aumentano i bisogni di assistenza (area largamente presidiata dagli infermieri) rispetto a quelli strettamente clinici. E la crescita professionale degli infermieri permette di allargare il loro perimetro di azione alleggerendo il lavoro medico e consentendo ai medici stessi di focalizzarsi sulle aree di cura in cui fanno realmente la differenza (i medici sono una risorsa più scarsa e vanno impiegati dopo avere “saturato” le potenzialità infermieristiche).

In questo consiste la multidisciplinarità. Nel saper essere leader e nel saperlo dimostrare, anche al di là di teorie che spesso con l’assistenza di tutti giorni al letto del malato hanno poco a che fare.

I riconoscimenti di carriera sono dietro l’angolo, ma ciò di cui c’è veramente bisogno è che noi stessi “riconosciamo” la nostra professione per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto dove demografia ed epidemiologia rendono il gap bisogni-offerta più ampio.

Dobbiamo pensarci noi. Ancora una volta. E dobbiamo farlo accompagnando i cambiamenti con azioni (sperimentazioni, formazione, trasferimento di esperienze ecc.) che aiutino l’evoluzione del sistema verso la nostra professionalità che, come già accade nel resto di Europa e direi anche del mondo, ha gli infermieri come punto di riferimento per coordinare le cure e assistere in continuità i nostri pazienti.

La realtà ci dice che le Regioni, che devono rispondere in modo diretto ai loro cittadini, applicano spesso modelli più innovativi di quelli previsti dalle istituzioni centrali: abbiamo esempi straordinari e virtuosi come gli infermieri di famiglia in Piemonte e Lombardia, dove si sta affermando anche il Chronic Care Model, ma anche in Basilicata, Campania e Molise il see&treat in Toscana e Lazio, le unità di degenza infermieristica che si stanno moltiplicando dal Nord a Sud per la compliance dei pazienti e l’appropriatezza del servizio e così via in una lista davvero lunga anche rispetto solo a pochissimi anni fa. Questo a dimostrazione che investire sull’innovazione organizzativa e assistenziale significa investire sugli infermieri. Queste Regioni ci troveranno sempre al loro fianco per sostenere queste implementazioni.
 

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