Alle porte di una nuova stagione


La ripresa della contrattazione per il comparto del personale del SSN sulla base delle direttive all’ARAN del Comitato di Settore Regioni Sanità, che, in parte ho commentato nell’articolo precedente, permetterà il pieno riconoscimento delle competenze avanzate e specialistiche per le professioni infermieristiche come per le altre 20 professioni sanitarie di cui alla legge 251/00.

Questo risultato, una volta concretizzato, permetterà di dar vita ad una nuova stagione di quella stupenda avventura che in Italia è stata la riforma della professione infermieristica, permettendole di navigare verso l’oceano aperto di ulteriori implementazioni di competenze andando oltre le Colonne d’Ercole delle attuali funzioni.

Con questa svolta ci troveremmo ad essere nella fase più avanzata della valorizzazione della professione infermieristica; giunti a questo punto, mi pare opportuno ripensare e riflettere, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni di laureati in infermieristica, sul cammino lungo, difficile e non ancora ultimato percorrendo il quale siamo giunti a questo stadio: è un percorso che mi sono trovato a fare insieme alla professione in più ruoli nella vicenda ma sempre operando intensamente e testardamente perché si raggiungesse e si completasse positivamente, tappa su tappa, questa meravigliosa avventura non ancora conclusa.

Il processo di riforma
Il processo di riforma della professione infermieristica, per come l’ho vissuto e conosciuto io, ebbe come iniziale spinta la consapevolezza maturatasi ad iniziare dagli anni 80 in Italia per la quale si riteneva che fosse necessario riformare l’ordinamento e la formazione sia degli infermieri che degli altri di profili sanitari definiti professioni sanitarie ausiliarie o alcune arti sanitarie, definiti per negazione (non medici) o per approssimazione (paramedici) e quasi mai con il proprio nome.

Le avanguardie più consapevoli di queste professioni ma anche espressioni illuminate della stessa professione medica, constatando l’arretratezza e l’inadeguatezza della normativa italiana in materia nei confronti sia di quelle più avanzate ed organiche degli altri sistemi sanitari europei ed extraeuropei rispetto al livello di evoluzione scientifica, tecnologica ma anche del nostro SSN, che avviata la riforma sanitaria usciva da precedente sistema mutualistico, ritenevano necessaria una profonda e radicale riforma dell’ordinamento e della formazione della professione infermieristica.

Per le nuove generazioni di laureati infermieri, che sono sempre più numerose, può apparire strano che per formarsi in questa complessa e nobile professione si potesse richiedere, per iscriversi al relativo corso di studi, il possesso del solo biennio di scuola superiore, che la formazione fosse svolta in scuole regionali all’interno delle strutture del SSN e che l’agire professionale fosse regolamentato da un desueto mansionario, considerato subalterno ed integrativo a quello medico svolgendo in parte larga attività domestico alberghiere… non è una leggenda metropolitana era la realtà.

Queste avanguardie influirono anche l’orientamento dei sindacati confederali del comparto sanità, i quali, invertendo le precedenti impostazioni strategiche e le precedenti centralità orientate più nei confronti del personale amministrativo e tecnico, individuarono la questione dell’emancipazione e della valorizzazione infermieristica e delle altre professioni sanitarie come centrale e portante nelle loro iniziative e delle stesse piattaforme contrattuali, sino a prevedere in un’intesa propedeutica al rinnovo contrattuale raggiunta con l’allora Ministro alla Sanità Carlo Donat Cattin e con l’allora Direttore Generale delle professioni sanitarie Danilo Morini, che tra l’altro fu l’onorevole relatore della legge 833/78 di riforma sanitaria, sancendo come impegno da concretizzare con successivi provvedimenti:

  • il requisito della maturità per accedere ai corsi ed il loro passaggio all’università;
  • il venir meno dell’aggettivo “ausiliaria” nel termine professione sanitaria;
  • l’istituzione dei servizi infermieristici e delle altre professioni;
  • l’adozione di nuove modalità organizzative non più medico-centriche;
  • l’istituzione di albi ed ordini per tutte le professioni sanitarie.


Una inversione di tendenza

In sintesi programmando anzitempo tutto quello che sarà successivamente sancito dalle leggi 42/99, 251/00 e 43/06 con questo accordo si ipotecherà positivamente il futuro, anche se l’ultimo punto è ancora un obiettivo in fieri…

A questa inversione di tendenza il sindacato confederale nel comparto sanità approdò superando positivamente un confronto interno vivace ed articolato, che vide anche contrapposizioni pesanti con chi riteneva inutile, se non dannoso per le nuove vocazioni nella professione, elevare la maturità quale requisito d’accesso ai corsi di studio per infermiere, ma alla fine, a stragrande maggioranza, passò la linea di impegnare il sindacato per contribuire a conquistare la riforma delle professioni infermieristiche e sanitarie, linea votata anche negli organismi dirigenti del sindacato e divulgata in tante iniziative decentrate, registrando un larghissimo consenso tra gli infermieri.

Questa discontinuità dalla precedente linea sindacale portò all’archiviazione della negativa scelta sindacale dell’infermiere ”unico e polivalente”, concezione quanto mai subalterna al sindacalismo medico e funzionale ad un’organizzazione del lavoro medico centrica e medico dipendente, che ignora e nega l’articolata complessità e l’articolazione della professione infermieristica… questa rottura con il passato è quanto mai attuale…

Quasi tutti i partiti sia di maggioranza che di opposizione, tentarono nella c.d. prima repubblica in più legislature di proporre specifici e mirati disegni di legge, diversi nella forma e nei contenuti ma con il medesimo obiettivo di risolvere l’inadeguatezza dell’ordinamento professionale e del conseguente sistema formativo degli infermieri e delle altre professioni sanitarie del nostro Paese sia nei confronti degli altri Stati che della nuova evoluzione derivante dal varo della legge 833/78 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.

Una conclusione mai positiva
L’iter legislativo non si riuscì mai a concludersi positivamente per una serie di cause concomitanti quali:

  • l’interruzione precoce delle legislature per cui venne interrotto l'iter di approvazione di questo disegno di legge nonostante che in commissione veniva approvata a larghissima maggioranza;
  • la diversificazioni dell’atteggiamento tenuto dalle varie realtà professionali interessate che esprimevano posizioni diversi e contrastanti che inducevano a ritardi nel proseguimento dell’iter di approvazione del disegno di legge;
  • un atteggiamento ed una conseguente iniziativa più carsica che alla luce del sole di parte delle rappresentanze professionali e sindacali mediche per premere nei confronti di Governo e Parlamento affinché questo disegno di legge non avesse la definitiva approvazione (e questa è una storia che, mutato l’oggetto della contesa, si ripeterà in seguito).

Quindi quasi tutte le forze politiche di allora ed il Governo raccolsero questa richiesta con molte proposte di legge, che, purtroppo, in più legislature non si riuscì ad approvarle definitivamente.

Per superare questo stallo si colse l’occasione del varo del Dlgs 502/92, che avviava la prima manutenzione della legge 833/78, per sancire ed anticipare almeno la struttura portante della Riforma delle professioni sanitarie con poche righe nel terzo comma dell’articolo 6 di questa normativa, con la quale trasferire la formazione della professione infermieristica e delle altre professioni sanitarie all’università. Questo, riconoscendone la complessità e di conseguenza richiedere come requisito d’accesso il diploma di maturità quinquennale, riconoscendone la specificità facendola svolgere laddove la professione operava cioè all’interno del SSN, con docenti di norma da questo dipendente con ordinamenti didattici emanati dal ministero dell’Università di concerto con quello della Salute ma sancendo che quest’ultimo avesse il compito di individuarne i profili professionali.

L’anomalia dell’organizzazione del lavoro
Era alla base, quindi, di questa scelta, l’anomalia della realtà dell’organizzazione del lavoro e dell'ordinamento professionale presente nel sistema sanitario italiano per il mancato riconoscimento dello specifico ambito di autonomia di ciascuna altra professione che non sia quella medica; motivo ancora ricorrente e sempre attuale, anche se in entità sempre più minore.

Pertanto alla fine di superare questo stato di cose e per permettere che almeno le questioni principali della riforma delle professioni sanitarie infermieristiche tecniche e riabilitative divenissero realtà legislativa, per felice intuizione di alcuni deputati ed esperti del settore, furono inserite queste norme, anticipatrici di tale riordino, nel decreto legislativo 502/92 cosi come è stato modificato dal decreto legislativo 517/93: con questa anticipazione della riforma complessiva l’articolo 6 del Dlgs. 502/92, affidò al Ministro, allora denominato, della sanità il compilo di individuare con proprio decreto ministeriale quei profili per i quali prevedere la formazione universitaria.

È stata questa una modifica ed un’innovazione fondamentale rispetto alla preesistente realtà: finalmente viene affidato al mercato del lavoro, in questo caso il Servizio Sanitario Nazionale, il ruolo di individuare le figure professionali necessarie ed al sistema universitario il compito di formarle, ferma restando la titolarità dell'università nel varare i relativi ordinamenti didattici dei vari diplomi universitari, questi, proprio per il ruolo affidato al committente (il ministero della Sanità), devono essere con esso definiti ed emanati “di concerto".

Era questa la prima volta che avveniva nella storia dell’ordinamento universitario italiano. Si trattava della fase iniziale della storia della riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e riabilitative caratterizzatasi in una lunga odissea di tentativi di iter legislativo che non trovava la possibilità di approvare un testo quadro di legge nelle varie legislature precedenti sino a che si viene a dar corso ad una fase completamente differente e più avanzata.

Infatti il nodo fondamentale sul quale al Senato nelle legislature precedenti si arenarono i vari progetti di legge venne pertanto risolto positivamente con poche righe nel decreto legislativo 502/92 cioè il rapporto fra Università e Servizio Sanitario Nazionale.

Infatti il punto 3, art. 6, legge n. 502 del 1992 ha certamente determinato una svolta nel processo di evoluzione della legislazione sulle professioni sanitarie che ancora, a torto sino ad allora sarebbero impropriamente definite “paramediche” e/o ausiliarie.

La formulazione emersa nella legge n. 502 del 1992 aveva, anche per comune giudizio delle rappresentanze sindacali e professionali di questo personale, risolto nel modo più progressivo ed equilibrato la questione principale attorno alla quale nelle precedenti legislature si erano sviluppati il confronto ed il contrasto nell’iter legislativo del disegno di legge di riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e riabilitative, con il dicotomico atteggiamento fra i due rami del parlamento e le iniziative unilaterali del ministero dell’Università.

Infatti, quest’ultimo con l’emanazione di decreti attuativi della legge n. 341 del 1990, per alcune attività sanitarie, secondo logiche del tutto avulse dai bisogni professionali del SSN e dalle connesse necessità di contenuti didattico-formativi, aveva creato condizioni di pesante difficoltà, di fatto determinando condizioni di doppio o triplo binario formativo e non riconoscendo il ruolo di committente del Servizio Sanitario e delle Regioni.

Invece l’impostazione recepita dal decreto legislativo in tema di formazione in campo sanitario era sostanzialmente sovrapponibile con quella del disegno di legge, di riforma delle professioni infermieristiche che nella legislatura precedente al varo del Dlgs 502/92, trovò l’approvazione unanime della XII Commissione in sede legislativa.

Un alto compromesso
Venne così a realizzarsi un ”alto compromesso”, un vero e proprio lodo tra Regioni e Università in tema di formazione delle professioni sanitarie concretizzato dall’allocazione all’interno delle strutture sanitarie di questa formazione, recuperando e valorizzando il pregnante contenuto di esperienza concreta e valore professionalizzante del SSN, sede di elezione per una didattica finalizzata, e sviluppando coerentemente in sede applicativa le prospettive aperte al sistema universitario della legge n. 341 del 1990, riguardante i diplomi universitari.

Quindi tale “alto compromesso” non soltanto rimarcava l’innegabile coincidenza fra gli interessi nazionali tipici degli ordinamenti, di cui si parla, ma anche il peculiare apporto del Servizio Sanitario Nazionale ed Università nel percorso formativo di figure professionali, che avevano assunto e via via assumeranno nell’ambito del sistema sanitario del nostro Paese grande rilievo, ma anche delle stesse Facoltà di Medicina e Chirurgia, delle quali rappresentavano e rappresentano la maggioranza degli studenti.

Certamente al raggiungimento di questa impostazione confluì il presupposto legislativo collaborativo fra sanità ed università già delineati e sanciti, nell’ambito dell’assistenza, nel rapporto contrattuale previsto dall’articolo 39 della legge n. 833 del 1978, nonché le riflessioni maturate nel corso dell’applicazione della stessa legge n. 341/90, che portavano a confermare il concorso paritetico ed integrato dei ruoli e delle specifiche funzioni dell’università e del SSN e quindi delle Regioni.

Ne consegue che se l’Università portava in dote in questo “alto compromesso” la sua funzione di alta formazione teorico-scientifica e metodologica, il SSN contribuiva, attraverso i suoi presidi ed il personale, con un ricco patrimonio di esperienze formative svolte positivamente nel corso dei decenni da parte regionale.

Inoltre, senza dar corso a sanatorie, da nessuno volute né chieste, di esperienze pregresse, si trattava di procedere ad una non più rinviabile riforma del settore, che prevedeva anche una sostanziale ripulitura e rimodulazione promossa e garantita essenzialmente dall’università, recuperando in positivo le esperienze regionali, chiudendo così una stagione contrassegnata da sperimentazioni ed iniziative assunte sotto il segno dell’urgenza e della non programmazione.

L’ambito in cui la formazione veniva, finalmente a svolgersi è compiutamente e formalmente universitario e gode dell’apporto delle Regioni e del SSN sanitario nazionale, attraverso modalità concordate, concertate e condivise.

Il nuovo sistema formativo
Questo nuovo sistema formativo della professione infermieristica faceva fare un balzo in avanti al nostro Paese che dagli ultimi posti, in Europa e nel mondo, si poteva collocare fra quelli più avanzati, evitando soprattutto di evitare l’errore del doppio canale formativo, uno di presunta serie “A” quello universitario ed uno di presunta serie “B” quella del SSN e regionale, con il prevalere di equilibrio fra ruolo e competenze dell’università e sanità attraverso:

  • unitarietà e omogeneità del riordino della formazione per infermieri, tecnici-sanitari e terapisti;
  • elevazione al diploma universitario di cui all’articolo 2 della legge n. 341 del 1990, del titolo abilitante all’esercizio di tali professioni; riconoscimento che gli ordinamenti didattici di tali diplomi universitari, per la loro specificità, debbano prevedere il concerto con il Ministro della sanità, ferma restando la titolarità del ministero dell’Università;
  • consolidamento e valorizzazione della funzione didattica del servizio sanitario nazionale attraverso l’attuazione nella legge del principio che all’interno di tale sistema si svolge la formazione del personale sanitario infermieristico tecnico e riabilitativo;
  • mantenimento, previa verifica di idoneità, delle attuali sedi formative del servizio sanitario nazionale e loro rapporto convenzionale con le università che permette l’adozione degli ordinamenti didattici dei diplomi universitari ed il rilascio dei relativi diplomi a firma del responsabile della scuola e del rettore dell’università competente;
  • affidamento degli insegnamenti di norma a personale del ruolo sanitario dipendente della struttura ove è allocata la scuola, quindi difendendo e valorizzando la funzione di docenza di infermieri, tecnici-sanitari e terapisti, nonché del restante personale;
  • previsione che il responsabile della scuola sia nominato in base alle norme vigenti: quindi, consentendo la conferma della direzione infermieristica dei relativi corsi, estendere questo modello ai corsi per tecnici e terapisti;
  • decorrenza immediata del diploma di maturità per i corsi non trasformati ancora in corsi di diploma universitario con la possibilità per tre anni, in carenza di iscritti con questo titolo culturale, di iscrivere giovani con il solo biennio di scuola superiore;
  • certezza dei tempi attraverso la soppressione di quei corsi di studio che entro tre anni non si siano trasformati in corsi di diplomi universitari e potere di surroga dei ministeri di Sanità e dell’Università se entro quattro mesi dalla costituzione delle nuove Usl e aziende ospedaliere non siano state stipulate le convenzioni.

Pur nei limiti della delega erano, pertanto, contenuti nel decreto legislativo alcuni elementi innovativi che andavano nella direzione del superamento nei fatti, ma non ancora nominalmente, del concetto di definizione di professione sanitaria ausiliaria.

In particolare veniva introdotta la pari dignità con gli altri ordini, dei collegi delle altre professioni sanitarie nell’esprimere pareri ma soprattutto nella composizione del nuovo “consiglio dei sanitari” di Usl o azienda ospedaliera che vedeva la presenza dei rappresentanti di tutte le professioni sanitarie, infermieri compresi; purtroppo non veniva accettato dall’allora Governo l’emendamento sull’istituzione del servizio infermieristico; per questo bisognerà attendere l’approvazione della legge 251 nel 2000.

Avendo conquistato e consolidato la questione delle questioni cioè il riordino profondo e discontinuo della formazione si era in quel tempo in condizione di metter mano con meno problemi al complesso ed articolato scenario della valorizzazione delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e riabilitative.

E’ evidente che il grande passo in avanti e la storica conquista realizzati attraverso il processo di riordino della formazione avviato al punto 3 dell’articolo 6 del Dlgs n. 502/92 non esauriva l’insieme dei problemi di queste professioni; basti pensare che sia pure già formate in sede universitaria, le figure professionali, in particolare tecniche e riabilitative, non erano ancora definite legislativamente quali professioni ed mentre tutte, ad accezione del tecnico sanitario di radiologa medica che con la legge 25 aveva superato la denominazione di professione ausiliaria, le altre venivano ancora giuridicamente definita “ausiliarie” e quindi subalterne ed ancillari al ruolo del medico.

Un nuovo provvedimento legislativo
Ne conseguiva, pertanto, la necessità di dar vita ad un nuovo provvedimento legislativo che anche sulla base di quelli già depositati al parlamento affrontasse con più esauriente completezza di intervento la riforma di queste professioni più sul versante precipuo dell’ordinamento che su quello formativo che si intendeva nella sostanza risolto nel Dlgs n. 502 del 1992.

Pertanto, in attuazione di quanto previsto dall'art. 6, comma terzo del decreto legislativo 30 dicembre 1992. n. 502, recante: "riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421" così come è stato modificalo nel testo dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n.517 furono quindi firmati dal Ministro della Sanità, on. Costa, i primi tredici decreti con i quali sono stati individuali altrettanti profili professionali riguardanti il personale infermieristico, tecnico sanitario e della riabilitazione e precisamente: infermiere, ostetrica, fisioterapista, logopedista, ortotista-assistente di oftalmologia, tecnico di radiologia medica, tecnico di laboratorio medico, tecnico ortopedico, tecnico audiometrista, tecnico audioprotesista, dietista, igienista dentale, podologo.

Alla firma di questi decreti da parte dell’allora Ministro della Sanità si era giunti dopo un periodo di pressioni e di iniziative contrapposte all’interno degli operatori del Servizio sanitario nazionale che non ha precedenti nel nostro paese. 

Al raggiungimento di questo storico risultato determinante fu, certamente, l’iniziativa del 1° luglio 1994 promossa ed organizzata dalla Federazione IPASVI, con l’apporto di tutto l’associazionismo professionale e sindacale del settore: 50.000 infermieri ed altri professionisti sanitari (cioè oltre 10% dell’insieme di tali professionisti) sfilarono per le vie della Capitale rivendicando il varo dei nuovi profili professionali. 

Il 14 settembre 1994 venne, quindi, firmato il nuovo profilo professionale di infermiere (insieme ad altri dodici… la famiglia poi si allargò sino a 22) avvalendosi del potenziale innovativo dell’articolo 6 del Dlgs 502/92, il primo tassello della riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, di ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.

Il percorso precedente fu programmato ed attuato dall'allora Ministro della Sanità, on. Maria Pia Garavaglia, la quale per dar corso alla delega prevista dal terzo comma dell’articolo 6 del Dlgs 502/92, insediò una commissione tra i dirigenti competenti di tale dicastero e sei assessori regionali alla sanità (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio e Calabria) per affrontare ed approfondire le problematiche e predisporre, di conseguenza, i relativi schemi di decreto ministeriale.

Attraverso la presentazione di proprie proposte scritte a questa Commissione Ministero-Regioni l’IPASVI ma anche i sindacati e le rappresentanze delle altre professioni, lanciarono l’idea forza per la quale l’emanazione di questi decreti non avrebbe dovuto essere solo un elenco di quei profili per i quali prevedere la formazione ma, attraverso i diplomi universitari, avrebbe dovuto anche identificare e declinare ambiti di competenza ed autonomia professionali, sostanziando così l’elevazione alla formazione universitaria e ricostruendo in forma più avanzata ed europea il rapporto tra le varie professioni sanitarie, ivi compresa quella di medico, avviando a superamento sostanziale il rapporto di dipendenza gerarchica tra il medico e gli infermieri e le altre professioni sanitarie.

È questa l’idea forza che è stata “dominante e vincente” in tutte la vicenda riuscendo a muovere il personale interessato e quello che indirettamente riteneva di essere coinvolto, i medici e le altre professioni sanitarie laureate: basti pensare che a difesa di questi profili, per la prima volta nella storia dell’associazionismo professionale e sindacale, si è dato vita ad un movimento unitario che ha avuto una ricchezza di iniziative culminate addirittura nella ricordata manifestazione nazionale di 50.000 operatori sanitari a Roma in piena estate, promossa ed organizzata insieme dai sindacati e dai collegi e associazioni professionali.

Una riflessione dovuta
Si apre in ciò una riflessione che porta ad evidenziare quale interesse e movimento può esservi dietro ad atti che apparentemente sembrano essere semplici adempimenti amministrativi ma che, invece, per la loro valenza possono divenire effetto e causa di profonde modifiche e riforme nell’organizzazione del lavoro e nel rapporto tra le professioni all’interno dei servizi pubblici in genere ed in specie in quelli sanitari, riflessione quanto mai attuale nella vicenda delle competenze avanzate e specialistiche.

Vale la pena ricordare, in parallelo con l’attuale situazione, che il Ministro della Sanità Costa di allora, non accogliendo le richieste di revocare tali decreti firmati dal suo predecessore Garavaglia (nonostante il parere contrario del Consiglio Superiore di Sanità ad esclusione dei medici e professori Giovanni Berlinguer e Ferdinando Di Iorio) presentate dal sindacalismo autonomo e dall’associazionismo professionale della componente medica (i toni delle proteste di parte delle rappresentanze mediche erano simili ed analoghi a quelli che vent’anni dopo verranno utilizzati per le competenze avanzate e specialistiche…nulla si crea, nulla si distrugge…), inviò gli schemi di decreti in questione al parere del Consiglio di Stato che, nella seduta del 4 luglio 1994 espresse in adunanza generale un parere non solo positivo ma illuminante del valore di tali decreti.

In questo parere il Consiglio di Stato ha evidenziato, in particolare che:

  • questi decreti hanno natura regolamentare, prevedendo il riferimento all’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988 n. 400, in effetti si tratta di profili professionali utilizzabili tanto nella sanità pubblica quanto in quella privata e quindi anche in regime libero-professionale, stabilendo norme abilitative a comportamenti coerenti con i compiti caratterizzanti ciascun profilo;
  • i decreti in questione dispongono rapporti con altre professionalità, medico compreso, fissando quindi limiti normativi all’esplicazione dell’attività professionale, così come viene delineata negli stessi decreti; il fatto che questi decreti sono destinati ad esplicare la loro efficacia anche al di fuori dei singoli servizi e presidi sanitari pubblici esclude la possibilità di poterli considerare atti normativi '‘interni”;
  • la definizione delle figure e dei profili professionali, prevista dal più volte citato art. 6 del Dlgs 502/92, è preordinata alla identificazione di compiti di assistenza sanitaria, rispetto ai quali impostare programmi di formazione professionale in ambito ospedaliero, in base al principio legislativo della collaborazione tra università e Servizio sanitario nazionale, definizione che costituisce, altresì, la premessa indispensabile per assicurare l’esplicazione dell’efficacia abilitante all’esercizio professionale (v. terzo comma dell’art. 6 suindicato);
  • questi decreti non modificano le fonti di diritto di valenza superiore a quella tipica del decreto regolamentare ministeriale e quindi non vi può essere nessuna invasione di campo nelle competenze già attribuite per legge ad altre professioni sanitarie laureate, ivi compresa quella di medico;
  • premesso che per competenza la normativa sui profili professionali è adottata con decreto ministeriale, considerato che la delineazione di tali profili, per quanto riguarda la sanità, rientra tra le materie riservate allo Stato, art. 6, lettera q, legge 23 dicembre 1978 n. 833, non è pregiudicato il ricorso alle specifiche procedure preordinate alla determinazione degli specifici profili professionali nell’ambito della disciplina del rapporto di impiego, tali procedure hanno lo scopo di adattare i profili professionali alle particolari esigenze organizzative dell’amministrazione e definire i corrispondenti trattamenti economici;
  • infine, le finalità alle quali rispondono i decreti in base al più volte ricordato art. 6 del Dlgs 502/92, e cioè l’esercizio professionale e la formazione, fanno sì che il profilo professionale deve essere definito nella maniera più precisa possibile, per evitare che i profili siano determinati in forma generica con difformi interpretazioni della norma nelle singole aree geografiche o realtà lavorative.


Una nuova analogia con il presente

Siamo, quindi, in presenza di un’altra analogia con i tempi nostri: anche allora a fronte di denunce da parte di una certa e ben determinata rappresentanza professionale e sindacale medica di sottrazione di loro competenze da parte di Ministero e Regioni a favore degli infermieri, la magistratura amministrativa e penale respingeva e respinge tali accuse.

Se, poi, esaminiamo con attenzione questo decreto ministeriale istitutivo del profilo di infermiere in rapporto anche alla situazione preesistente e a quanto viene a delinearsi in prospettiva a breve e medio termine sino ai giorni nostri nella organizzazione del lavoro sanitario, possiamo apprezzare ad oltre vent’anni da quell’evento storico l’enorme portata riformatrice positiva che si è sviluppata.

Le precedenti mansioni dell’infermiere previste nel Dpr 14 marzo 1974, n. 225 e successive integrazioni, erano:

  • attribuzioni assistenziali dirette ed indirette (assistenza completa all’infermo, somministrazione dei medicinali prescritti, sorveglianza e somministrazione delle diete, assistenza al medico, rilevamento delle condizioni generali del paziente, effettuazione di semplici esami di laboratorio, disinfezione del materiale, educazione sanitaria ai pazienti ed ai familiari, interventi di urgenza, trattamenti diagnostici e curativi ordinati dal medico, etc.);
  • attribuzioni di carattere organizzativo ed amministrativo (programmazione dei piani di lavoro propri e del personale alle dipendenze, gestione schede e documentazioni cliniche, richiesta di intervento medico o di altro personale a seconda delle esigenze degli assistiti, partecipazione alle riunioni sull'assistenza, promozione di tutte le iniziative allo scopo di mantenere buone relazioni con i pazienti e le loro famiglie etc.).

Si trattava di funzioni esercitabili anche in esercizio libero-professionale, ma mantenendo il vincolo di "professione sanitaria ausiliaria” quindi limitando l’ambito di autonomia in rapporto con altre professioni sanitarie in particolare con quella medica.

Come ho detto in precedenza il dibattito e l’orientamento sviluppatisi negli anni, anche sulla base di evidenze certe ed inconfutabili, avevano evidenziato l’inadeguatezza e la contraddizione della concezione e della definizione di “ausiliario” riferito ad un profilo professionale al quale l’evoluzione in corso dell’organizzazione del lavoro sanitario attribuiva maggiori responsabilità e competenze fino a prevedere di specifici servizi infermieristici già allora in alcuni piani sanitari regionali, con compiti attribuiti nel famoso decreto del Ministro Donat Cattin sugli organici infermieristici, all’allora Operatore Professionale Dirigente compiti in nuce che saranno poi sviluppati maggiormente nel profilo di dirigente infermiere istituito dalla legge 251/00.

Si opera con questo decreto un superamento sostanziale del concetto anacronistico di “ausiliarietà” della professione infermieristica rispetto a quella medica avviando quella fase di integrazione del sistema sanitario italiano a quello più avanzato degli altri Stati, nei quali il rapporto tra infermiere e medico è tra due professioni, le quali hanno un proprio e specifico ambito d’intervento ed operano in collaborazione reciproca per la formazione di quell’atto sanitario, composto dall’intervento integrato ed interagente di più componenti professionali, senza primazie né gerarchie.

Si era già sviluppato e maturato un preciso convincimento da parte della Federazione dei Collegi IPASVI e dalle rappresentanze associative e sindacali della professione per il quale bisognasse negare la descrizione delle funzioni e competenze infermieristiche per “mansioni” come era nella precedente legislazione affermando, invece, l’introduzione del concetto più adeguato e confacente di “prestazione infermieristica autonoma rivolta al soddisfacimento dei bisogni di base dell’uomo”, individuando sia le funzioni che gli obiettivi sulla base delle più recenti ed attuali indicazioni ed orientamenti dell’Unione europea e dell’organizzazione mondiale della sanità; indicando le “azioni” come strumenti per raggiungere specifici obiettivi di assistenza in sostituzioni delle “mansioni”.

E’ evidente che così non si sarebbero reintrodotte ingessature normative tali da impedire od ostacolare l’evoluzione della professione infermieristica in quanto la prestazione regola l’attività professionale in forma più duttile e rispettosa dello sviluppo in essere in sanità rispetto ad un rigido mansionario.

Ritengo opportuno ricordare che fu determinante alla definizione del nuovo profilo professionale dell’infermiere il contributo venuto dalle dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ufficio regionale per l’Europa, che nel 1993 elaborò il “Progetto infermiere per l’Europa del futuro”, con le seguenti linee guida:

  • il ruolo dell’infermiere nella società è quello di aiutare gli individui, le famiglie ed i gruppi ad espletare al massimo le loro potenzialità fisiche, mentali e sociali, rimanendo all'interno del contesto ambientale nel quale essi vivono e lavorano;
  • da ciò derivano direttamente le funzioni e le responsabilità dell’infermiere: erogare e coordinare l’assistenza infermieristica di tipo promozionale, preventivo, curativo, riabilitativo o di supporto agli individui, alle famiglie ed ai gruppi; educare alla salute i cittadini/utenti ed insegnare agli operatori sanitari; partecipare come membro effettivo all’interno dell’équipe sanitaria, fornendo il proprio apporto; sviluppare modelli assistenziali basati sulla scientificità della disciplina infermieristica e sulla ricerca.

Le stesse dichiarazioni affermano che i “programmi di formazione centrati sull’assistenza sanitaria di base prepareranno gli infermieri del futuro ad un ruolo più ampio, che non preveda solo l’assistenza ospedaliera, centrata sulla malattia, ma responsabilità crescenti nell’ambito della comunità”.

Si sancisce, altresì, che l’assistenza infermieristica utilizza conoscenze e capacità derivate dalle scienze umane, sociali, fisiche, mediche e biologiche.

Il primo punto
Analizzando alcune parti di tale decreto ministeriale si può capire ad esempio, che avendo nel primo punto dell’articolo 1 individuato la figura dell'infermiere, elevando al diploma universitario, oggi diploma di laurea, il titolo di studio richiesto e abilitante all’esercizio professionale, previa iscrizione allo specifico albo professionale non poteva che corrispondere una crescita conseguente delle funzioni e delle responsabilità, crescita non fissata una volta per legge ma corrispondente alla dinamicità dell’evoluzione scientifica, tecnologica ed ordinamentale nonché al mutarsi del quadro epidemiologico ed epidemiologico del Paese.

Il secondo punto
Con il secondo punto si evidenziano le dimensioni operative dell’assistenza infermieristica attraverso le principali funzioni nella prevenzione delle malattie, l’assistenza dei malati e dei disabili di ogni età e l’educazione sanitaria, quindi sancendo un complessivo ed unitario ambito di intervento.

Il terzo punto
Con il terzo punto si identificano con più completezza le funzioni, introducendo, per la prima volta, significativi e determinati riconoscimenti di autonomia e responsabilità professionali:

  • è riconosciuta all’infermiere la partecipazione all’identificazione dei bisogni di salute sia della singola persona che della collettività, identificando i bisogni di assistenza infermieristica e formulando i relativi obiettivi (con questo viene riconosciuto quale atto professionale “giuridicamente accreditato” il piano di assistenza per obiettivi cioè il “nursing” come negli altri paesi europei);
  • gli viene riconosciuta la competenza nella pianificazione, gestione e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico, è questo, certamente, il passaggio più importante e delicato nella emancipazione di questa professione dalla subalternità a quella medica, con questo diviene “legittima” la realizzazione di autonomi servizi per l’assistenza infermieristica nelle aziende sanitarie;
  • deve garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche – terapeutiche (e questo garantisce ai medici che le loro competenze non vengono messe in discussione) però è precisato che agisce sia individualmente che in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali (è qui previsto il nuovo rapporto di collaborazione tra professioni, e quindi anche tra infermiere e medico, che diviene non più di dipendenza ma di interazione e di collaborazione reciproche), ovviamente quanto sopra vale nei rapporti interprofessionali e deve, nel campo del rapporto di impiego, tener conto anche dell’organizzazione interna prevista;
  • in tale ottica gli viene riconosciuta la possibilità di avvalersi di personale di supporto, fermo restando che può svolgere la sua attività professionale in servizi e presidi sanitari pubblici e privati sia nel cosiddetto territorio che a domicilio dell’utente/cliente, sia con rapporto di impiego subordinato che in regime libero-professionale.


Il quarto punto

Con il quarto punto dell’articolo primo viene riconosciuta la funzione didattica nella formazione del personale di supporto e nell’’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale; la competenza nella formazione di base dell’infermiere è già sancita dallo stesso terzo comma dell’articolo 6 del decreto legislativo 502/92; infine è riconosciuta la funzione di “ricerca”.

Il quinto punto
Con il quinto punto, recependo la specifica “Raccomandazione” del Consiglio d’Europa, viene introdotta la formazione specialistica post-diploma in grado di far acquisire agli infermieri più avanzate conoscenze cliniche e delle capacità in grado di permettere loro di fornire prestazioni di carattere specialistico nelle aree: sanità pubblica, pediatria, salute mentale, geriatria ed area critica.

Aree non esaustive nella descrizione in quanto si prevede, che in presenza di nuove indicazioni e scelte motivate provenienti dal Servizio sanitario nazionale possano essere individuate con decreto del ministero della Sanità ulteriori aree di formazione complementare specialistiche, ma questo per colpevole inerzia della parte pubblica è purtroppo rimasta non realizzata sinora, ed è stata novellata nella forma e nei contenuti dalla legge 43/06 che ha introdotto il “professionista specialista” e nell’elaborazione da parte del ministero alla Salute e delle Regioni della proposta di implementazione delle competenze avanzate e specialistiche delle professioni infermieristiche, elaborate con il contributo determinante dell’IPASVI e del sindacato.

Questa parte ultima, invece, costituisce la parte più rilevante della direttiva emanata dal Comitato di Settore Regioni-Sanità all’ARAN per il rinnovo contrattuale; quindi l’avvio della sua attuazione è rinviata ed affidata alla contrattazione collettiva di comparto.

Non finisce qui…
Con successivi approfondimenti saranno esaminate le fasi successive del processo di riforma della professione infermieristica contestualizzando la ricostruzione e l’analisi storica all’evoluzione in corso attualmente nel SSN; come si è già visto da quanto commentato in quest’articolo le analogie con quel periodo e l’attuale sono molte e tra loro interagenti e si potrebbe augurarsi che si abbia la medesima conclusione positiva.
 

STAMPA L'ARTICOLO