Io sono con te. Storia di Brigitte


Io sono con te. Storia di BrigitteIo sono con te. Storia di Brigitte è un libro appassionante, che va letto e fatto leggere.
E’ la storia di un’umanità ferita e di chi cerca di proteggerla. E’ la storia di qualcuno che potresti aver incontrato per strada in qualche buia e fredda serata invernale e osservato, interrogandoti per poi passare oltre, dicendoti “cosa potrei cambiare io?”.
Ma a volte qualcuno si ferma, osserva e tende una mano: in questo caso passa un bigliettino con un’informazione preziosa, un luogo dove trovare aiuto.
E così, nonostante tutta la sua drammaticità, la storia di Brigitte inizia faticosamente a prendere un’altra piega, permettendole di riafferrare i pezzi della sua vita, talmente distrutta da dimenticarla per provare a costruirne una nuova.
Ma è anche la storia di una donna fiera della sua professione di infermiera, che con onore mostra un brandello della tessera della Croce Rossa nazionale di cui faceva parte, con la sua bella divisa marrone, unico documento che fortunosamente era rimasto con lei.
Con delicatezza Melania Mazzucco si avvicina a questa storia, la raccoglie e la trasforma in un paradigma che potrebbe valere per tanti. Potremo dire che ci aiuta a vedere oltre ai numeri del fenomeno dei rifugiati, o meglio a vedervi dentro, per vedervi le persone che ne sono coinvolte.
Le persone coinvolte, come sappiamo, sono tante, a cominciare da quelle del paese da dove viene Brigitte, il Congo, con una storia politica turbolenta come tanti in Africa e non solo, quella dei suoi fratelli, uno a uno distrutti, scomparsi, assassinati da una guerra fratricida, quella dei suoi quattro figli improvvisamente abbandonati.
E’ la storia dei pazienti di Brigitte, che, da brava infermiera manager, gestiva due cliniche e ne aveva accolti tanti. In queste due strutture Brigitte dove poteva aiutava e, l’aver salvato con un parto cesareo urgente un piccolo e la sua mamma senza chiedere indietro nulla, si sarebbe rivelato anni dopo, la sua salvezza da morte sicura.
Brigitte aveva commesso un torto, aveva rispettato il suo codice deontologico e, non solo aveva permesso che venissero ricoverati nella sua clinica dei giovani feriti ad una manifestazione, ma si era anche rifiutata di eliminarli. A chi le chiedeva di sopprimerli con un’iniezione letale, lei rispose: “ho studiato per curare la gente, non per ucciderla” “sette iniezioni” “non le posso fare […] sono infermiera” (pag. 40).  E la non obbedienza al potere, in certi Paesi, si può pagare anche molto duramente.
L’armamentario degli orrori che sono stati raccontati o documentati in passato e recentemente, commessi nei carceri o nelle prigioni più o meno segrete in giro per il mondo, con ciò che è capitato a Brigitte sembrerebbe abbia toccato il fondo.
Dal libro si evince che i carcerieri di Brigitte scaricassero sui prigionieri tutta la rabbia per la miseria e i soprusi a loro volta visti o subiti.  Se poi il prigioniero è femmina, diventa solo “una vagina indifesa” (pag. 59), una facile preda da consumare ogni notte di più. Non tutto il male subito in quella prigione, racconterà Brigitte, “Azioni che non hanno il diritto di essere dette […] tacendole non le nego. Sigillo invece la loro orrenda infamia” (pag. 105).
L’autrice però va oltre a queste infamie e ci offre anche un po’ di luce, in particolare con le storie di coloro che, con competenza, accoglienza e spirito di servizio, accompagnano e difendono persone come Brigitte, così ferite nel corpo e nell’animo, se ne prendono cura, instaurano relazioni significative e costruiscono percorsi per iniziare una nuova vita qui in Italia o a volte altrove.
Così, cominciando dalla descrizione del mondo che si nasconde dopo le ripide scalette bianche del Centro Astalli di Roma, gestito dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, che accoglie i profughi dal lontano 1981, appaiono nel libro gli operatori del centro. Lo sguardo attento, sensibile e pieno di stima dell’autrice, li descrive con i loro percorsi di professionisti o di sacerdoti, spesso internazionali, sia istituzionali che di esperienza sul campo anche in situazioni molto difficili, per giungere infine là, nella cantina sotto il pavimento marmoreo della grande Chiesa del Gesù, al centro di Roma. Ci sono poi i volontari, motore indispensabile di tanti servizi, come la mensa, per offrire un pasto caldo ai rifugiati ogni giorno. Tutti loro cercano, a volte anche faticosamente, di trovare la soluzione giusta per ognuno dei rifugiati che a quelle scalette si affaccia: da un alloggio urgente per chi vive da settimane per strada, a sistemazioni più stabili che offrano un po’ di sicurezza e opportunità di autonomia a rifugiati che hanno dovuto lasciare tutto, compreso il loro orgoglio e la loro possibilità di essere qualcuno in questo mondo.
La storia di Brigitte diventa anche la loro, quando si preoccupano perché indossa pantaloni bagnati in pieno inverno, quando non la vedono arrivare ai controlli previsti al centro di salute per i rifugiati, quando con emozione intessono i contatti per ritrovare i suoi figli, quando sentono quanto, con il proprio “esserci”, possano essere importanti per Lei.
Ma non finisce qui: con altrettanta delicatezza l’autrice ci descrive questa Italia così aperta verso i rifugiati, specie al confronto con tanti altri Paesi, ma dall’altra parte anche sospettosa, che fatica a dare fiducia e forse anche stanca non solo di storie difficili da “toccare”, ma anche  di storie raccontate non sempre così vere: “nelle ultime tre settimane, tutti i nigeriani hanno dichiarato di venire dalla stessa regione del Nord, di essere scampati allo stesso massacro e di avere assistito all’incendio della stessa chiesa cattolica.” (pag. 131).
E’ anche l’Italia di cui andare fieri che viene fuori in queste pagine: quella dei servizi pensati per curare il corpo sofferente di tanti, come il centro di salute in collaborazione con la ASL, il SaMIfo, che fornisce a Brigitte la tanto attesa risposta del test dell’HIV e poi l’accompagna nel percorso di recupero della sua salute mentale. La salute mentale, in molti la perdono, siano essi vittime o torturatori, lì tutti vengono ascoltati, sono “perseguitati dagli stessi incubi, dalle stesse atrocità” (pag. 108), anche se poi non sempre è possibile guarirli.  
Un accento è posto anche sulle relazioni con le altre donne con cui Brigitte spartisce corsi di italiano o alloggi: in fin dei conti le storie reciproche sono così simili che sarebbe troppo doloroso condividerle, è meglio non ascoltarle, “Juliette le ricorda ciò che si sforza di dimenticare” (pag. 82) e poi spesso, non servirebbe neanche: “gli eventi hanno lasciato sui loro corpi segni che sono parole” (pag. 82). Forse c’è anche la consapevolezza reciproca che ognuna prenderà la propria strada. Solo su un argomento, sembrerebbero solidali, quello dei bambini che davvero le unisce, “nella stanza numero quattro, tutte li hanno perduti” (pag. 83).
Infine ci sono i “curanti” e le loro storie: storie che hanno la potenza di deviare per sempre le vite di ciascuno, siano essi infermieri, medici, preti o operatori, nessuno indenne e la Mazzucchio con questo libro ce ne offre tanti belli esempi.

Io sono con te
 è un libro che pone di fronte all’interrogativo personale e collettivo, “da che parte stiamo?” e fin qua già la risposta oggi come oggi, tra un quadro internazionale convulso e una politica nazionale dell’accoglienza non sempre così coerente e diffusa, potrebbe non essere così scontata.
E poi c’è l’altro che segue sempre: “cosa possiamo fare?” e qui facilmente si potrebbe cadere nell’alibi dell’aiuto istituzionale. Certo quello è un motore indispensabile e le attività del Centro Astalli, come di altre organizzazioni ce lo confermano, ma la storia di Brigitte ci ricorda come tanti piccoli gesti o iniziative, sia come persone che come professionisti, a volte anche semplici, immediati, possano fare la differenza.
E chi sa se a qualcuno, leggendo la storia di Brigitte, non possa venire in mente un’idea, per dare a lei o ad altri, ancora… un’altra possibilità.

Immacolata Dall’Oglio
Infermiere coordinatore
Struttura per lo Sviluppo professionale, la Formazione continua e la Ricerca infermieristica
IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

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