Autonomia e collaborazione, gli ambiti di intervento infermieristico


Autonomia e collaborazione, gli ambiti di intervento infermieristicoL’idea che muove questo nuovo testo della collega Pennini è di voler enfatizzare l’area collaborativa degli interventi infermieristici, accanto all’area più decantata dell’autonomia professionale. In questo saggio si vuole evidenziare come le due modalità d’esercizio professionale abbiano egual valore, dignità e spazio, e che come due personaggi di una vicenda, non possano esistere uno senza l'altro.
Nell’area collaborativa, secondo l’autrice, si evidenzia maggiormente “la capacità di intervento maturo, consapevole e integrato dell’infermiera” (pag. xii) perché mentre nell’autonomia si ritrova l’ambito principale di riconoscimento della professione, nella collaborazione con gli altri professionisti della salute si esprime la maturità professionale dell’infermiere e la sua stessa autonomia acquisisce un valore aggiunto.

Il testo è organizzato in due parti. La prima presenta le definizioni dei termini in questione e i necessari richiami all’orizzonte teorico, normativo e pratico della professione; la seconda contiene gli approcci, i metodi e gli strumenti che sostengono l’infermiere nei suoi interventi autonomi e collaborativi. Una ricca sezione di appendici conclude e concretizza entrambe le parti.
Il punto di partenza fondamentale della riflessione di Pennini è il constatare nella pratica infermieristica l’esistenza di un’area collaborativa importante che si è andata evidenziando tanto nelle riflessioni teoriche quanto nella normativa e nelle esperienze concrete di ogni infermiere. Il modello di partenza è riconosciuto nel testo di Carpenito-Moyet Piani di assistenza infermieristica e documentazione. Diagnosi infermieristiche e problemi collaborativi (CEA, Milano, 2006, prima ed. orig. 1983). In questo testo, come è noto, i problemi fondamentali del paziente sono distinti in due categorie proprio in base all’autonomia decisionale dell’infermiere: l’area autonoma, nella quale l’infermiere esplicita i problemi dell’assistito in termini di “diagnosi infermieristiche” e l’area collaborativa, nella quale l’infermiere possiede le competenze solo per esprimere una parte del processo diagnostico e decisionale necessario a risolvere il problema espresso dal paziente, che appunto per questo viene definito “problema collaborativo”.
Da questo punto di partenza – arricchito dai contributi di autori quali M. Gordon, D.M. Doran e A. Donabedian – l’autrice sviluppa un “Modello di decisione-azione della funzione autonoma e collaborativa” che ha la finalità di orientare l’attività infermieristica italiana nella attuale fase di sviluppo professionale.
In estrema sintesi, il modello si scompone, per ogni area dell’autonomia e della collaborazione, in tre livelli di approfondimento: i) il livello del giudizio e decisione sull’intervento; ii) il livello del giudizio e decisione su chi effettuerà l’intervento e iii) Il livello di azione su chi effettivamente effettuerà l’intervento pianificato.

In quest’ultimo livello, il contributo originale del testo risiede nell’aver individuato e approfondito nell’area collaborativa l’esistenza di un’ulteriore possibilità operativa per l’infermiere accanto alla già nota collaborazione “con prescrizione” (pag. 20), ovvero la collaborazione nel team di cura “senza prescrizione” (pag. 21). Nel primo caso l’infermiere ha, come è noto, la responsabilità unicamente sul “come” eseguire l’intervento, in quanto il “cosa” è competenza di altri professionisti. Nel secondo, invece, il problema del paziente è tale da non poter essere risolto da alcuna singola prescrizione professionale, ma richiede l’intervento di più professionisti della salute che devono decidere, ognuno per il loro proprio o in modo integrato con gli altri colleghi, il piano curativo migliore da attuare per il paziente. In questo team l’infermiere ha, al pari degli altri professionisti, la responsabilità e l’autonomia di portare il proprio contributo decisionale.

Secondo l’autrice nell’area dell’autonomia professionale si concretizza in modo privilegiato la visione del prendersi cura (care) dell’assistenza infermieristica, mentre nell’area collaborativa emerge in modo privilegiato l’area curativa intesa come trattamento di matrice biomedica (cure) dell’assistenza infermieristica.

Questo è l’unico punto del testo della collega sul quale mi permetto di dissentire. Per come è spiegato, potrebbe sembrare che il caring sia appannaggio esclusivo della pratica infermieristica, e quasi negato alle altre professioni, mentre invece noi sappiamo che il caring è un paradigma che riguarda ogni curante, professionista o laico, e che coinvolge addirittura il clima organizzativo di una realtà lavorativa.
Inoltre, e più sottilmente, questa distinzione suggerisce che un ampio margine dell’attività infermieristica – quello collaborativo – sia escluso dal caring. E viceversa, che quando ho un atteggiamento di caring nei confronti del paziente io non usi in modo privilegiato il mio bagaglio di tecniche e di procedure. Tale posizione contraddice sia l’esperienza di ogni bravo infermiere sia la letteratura, che invita a considerare ogni gesto clinico, anche quello tecnico, come occasione di caring (vedasi ad esempio: P. Benner, P. Hooper-Kyriakidis, D. Stannard, Clinical wisdom and interventions in Critical Care: a thinking-in-action approach, W.B. Saunders Company, Philadelphia, PA, 1999; L. Mortari, L. Saiani, Gesti e pensieri di cura, McGraw-Hill, Milano, 2013): la differenza tra caring e curing, in altre parole, non è il contenuto del gesto, ma il suo significato per la persona assistita.

Ampi capitoli del libro sono dedicati alla professione vista in termini normativi, storici, deontologici e sociali, oltre che sotto il profilo più propriamente disciplinare. I quadri teorici di riferimento sono essenzialmente legati alla saggistica di lingua italiana, e questo se da un lato è un limite (ad esempio impedisce l’approfondimento di ogni tema, dagli agganci alle teorie del nursing, alle riflessioni sul metodo clinico, al processo di decisione clinica o allo sviluppo delle competenze professionali), dall’altro potrebbe consentire a un ampio pubblico di colleghi italiani di avvicinarsi a queste tematiche che, come si è capito, non riguardano esclusivamente l’ambito manageriale o pratico della nostra professione.

L’utilità del testo è certamente quella di presentare un quadro di insieme che fotografa la realtà professionale italiana offrendo spunti di riflessione sul piano normativo, disciplinare e manageriale, in un momento nel quale molti colleghi faticano a trovare punti di repere nel vorticoso sviluppo della nostra giovane professione. Personalmente penso che proprio per tali ragioni l’utilità della tesi sostenuta da Pennini potrebbe essere nel prossimo futuro direttamente proporzionale alla capacità che avremo di rafforzare proprio l’area di autonomia professionale. E’ bene ricordare infatti il monito di Agazzi (Evandro Agazzi, Cultura scientifica e interdisciplinarità, Ed. La Scuola, Brescia, 1994, pag. 107-108), per il quale la vera interdisciplinarietà (e il suo riflesso interprofessionale) si realizza a partire dal rispetto delle singole discipline. Viceversa, senza la piena padronanza del singolo professionista di un preciso e solido apparato disciplinare (teorie, metodi, strumenti e modelli organizzativi efficaci nella risoluzione dei problemi assistenziali del paziente), si rischia di chiamare collaborazione ciò che in realtà è subordinazione culturale o, peggio, deresponsabilizzazione professionale. Ma questo rischio è ben chiaro all’autrice che, nel paragrafo dedicato al “Governo del processo assistenziale”, richiamando Renzo Zanotti (Filosofia e teoria del nursing nella moderna concettualità del nursing professionale, Piccin, Padova, 2010), spiega che “si governa davvero il processo assistenziale quando si è consapevoli del risultato che questo può apportare agli assistiti, quando la questione centrale diviene il ‘beneficio determinabile’ dal nursing” (pag. 241), perché è questo che rende possibile l’indipendenza culturale e pratica dell’infermiere.

Duilio F. Manara
Direttore della didattica professionale, Corso di Laurea in Infermieristica
Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

 

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