Relazioni tra i generi e violenza


La violenza contro le donne è il tema a cui è dedicato il secondo numero di quest’anno della rivista Pedagogika.it, trimestrale di educazione, formazione e cultura rivolto ad insegnanti, genitori, educatori e professionisti della cura. Pedagogika.it è composto da un dossier di carattere monografico, che si avvale della collaborazione di docenti universitari ed esperti del settore, e da uno spazio che ospita esperienze sul campo e rubriche di interesse culturale.
Mettere al centro dell’attenzione le relazioni di genere e la violenza che ne può scaturire significa indagare i modelli di uomo e di donna che ci si porta dentro, mutuati dalla storia personale, dai rapporti e dalla cultura in cui si vive. Nell’era in cui i rapporti sociali, il lavoro, le istituzioni divengono sempre più “fluidi”, anche i rapporti tra maschile e femminile si stanno trasformando ed emergono spesso categorie quali potere/perdita, appartenenza/distacco, vulnerabilità/fragilità che ci mostrano come vengono “costruiti” e individuati i soggetti deboli implicati nella violenza di prossimità.
La vulnerabilità appare un carattere legato soprattutto alle donne, la fragilità emerge invece come un vissuto del maschile causato probabilmente dalla rottura dei modelli tradizionali di relazioni tra generi – nei quali la violenza si risolveva soprattutto all’interno di un sistema codificato di ruoli e di potere – e ad un maggiore protagonismo femminile nella società e nel lavoro.
Come sottolinea Tamar Pitch nel suo contributo, sono proprio la paura della libertà delle donne e la crisi del patriarcato che portano gli uomini a compiere atti violenti contro le donne con cui hanno relazioni strette. Le ricerche degli ultimi anni hanno evidenziato come la violenza ed il femminicidio siano messi in atto soprattutto da partner, padri o altri parenti. Il Fondo delle Nazioni unite per la donna sostiene che il 33% della popolazione femminile mondiale subisce maltrattamenti all’interno delle mura domestiche e, secondo la Commissione europea del 2010, in tutto il mondo la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’aggressione da parte del padre, del marito o del fidanzato.
È nell’ambito delle relazioni di prossimità che si creano le condizioni per lo scatenarsi di episodi di violenza fisica, psicologica, verbale, economica. Le relazioni affettive e la famiglia diventano a volte una sorta di zona franca dove anche uomini insospettabili si sentono in diritto di scaricare su partner, figlie, sorelle le proprie frustrazioni, la propria volontà di controllo e la propria mancanza o eccesso di potere.
Un altro dato che emerge dal dossier di Pedagogika è il fatto che la maggior parte delle donne che subiscono violenza non denunciano alle autorità competenti e ciò accade perché si riscontrano delle mancanze nelle istituzioni sia a livello legislativo, sia a livello relazionale quando, come scrive la sociologa Daniela Danna, una donna maltrattata non trova nei medici, negli infermieri, nei poliziotti, nei giudici e negli assistenti sociali persone pronte ad ascoltare e comprendere.
Gli esseri umani concreti che stanno dietro le istituzioni possono “essere convinti dell’ingiustizia della violenza oppure non accettare quello che la legge prescrive, possono identificarsi con la vittima oppure con il carnefice o magari omettere qualsiasi azione per amore del quieto vivere, per non interferire con il dominio del più forte”. Fondamentali risultano quindi la professionalità e la sensibilità degli operatori sociali e sanitari che si trovano di fronte a donne maltrattate che necessitano di accoglienza e ascolto senza pregiudizi.
Ciò che colpisce spesso, quando si parla di femminicidio o di violenza sulle donne, sono la crudeltà e la ferocia che gli uomini imprimono ai loro atti: donne strangolate, picchiate, accoltellate, bruciate, uccise con veleno o con armi da fuoco. Immagini forti che ci vengono proposte e riproposte dai media che, come sottolinea lo scrittore Giacomo Brunoro, non solo giovano dell’aumento di audience che queste notizie portano, ma che si pongono anche in una posizione “violenta e maschilista” suscitando dubbi sull’“integrità morale” delle vittime, diffondendo particolari intimi e loro atteggiamenti considerati troppo disinibiti. Perché qualcosa cambi è necessario quindi che non solo le donne si impegnino per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma che anche gli uomini si interroghino criticamente sui modelli maschili dominanti. Questo avviene da qualche anno in Italia grazie, ad esempio, al gruppo MaschilePlurale, di cui fanno parte anche Alberto Leiss, autore dell’articolo “Un morto non ancora sepolto. Resistenza del virilismo” e Massimo Michele Greco. Quest’ultimo, in particolare, autore dell’articolo “Aver cura delle storie tese. Ipotesi per una narrative stewardship delle storie di chi ha subito violenza”, porta all’interno del dossier il suo sguardo di infermiere e formatore: “la prospettiva infermieristica”, scrive Greco, “mi aiuta a considerare il testo autobiografico come un corpo, che mi viene affidato e la cui intimità io debbo preservare considerando la misura del riserbo qualcosa che non riguarda solo la persona svelata, ma anche il pudore, la sensibilità o la malizia di chi capiti a tiro di sguardo alla messa a nudo”. Bisogna quindi imparare ad accogliere queste storie di violenza con una particolare attenzione, soprattutto in contesti formativi e di cura, in modo che venga assicurato a ciascuno/a il riconoscimento della propria specifica narrazione e soggettività.
Nella costruzione della identità personale il conflitto è indispensabile: non solo è parte integrante di qualsiasi relazione, ma ne è anche un fondamento evolutivo. In quest’ottica perfino la violenza può essere vista come una “forza necessaria” che bisogna imparare a dosare e ad accettare come parte dell’agire.
Una forza necessaria di cui parla Anna Maria Piussi nel suo articolo “Come fili d’erba”, cioè una forza pro-attiva, combattiva, coraggiosa, creativa, come base per un senso libero dell’essere uomini e donne: “la qualità dei rapporti tra uomini e donne, dai rapporti intimi a quelli pubblici, è elemento costitutivo della qualità di una società, dato che la relazione tra i sessi è fondamento della vita comune, della percezione di se stesse/i, degli altri, del mondo”.
Come genitori, partner, educatori e professionisti della cura la questione della violenza di genere, dunque, ci stimola ad indagare i processi di costruzione delle identità di genere e delle relazioni affettive e a cercare una ridefinizione degli equilibri relazionali e di potere tra i sessi. Più in generale ci interroga sulla possibilità di disegnare nuovi spazi di libertà e di cittadinanza per uomini e donne.


A cura della Redazione di Pedagogika.it

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