Qualche riflessione…


Le ultime notizie che riempiono i giornali e che sono alla base di numerosi dibattiti televisivi, evidenziano che siamo entrati in una fase nuova della storia sanitaria del nostro Paese. I fatti e le notizie sono preoccupanti, sia perché potrebbero impattare sul mantenimento della qualità dei servizi sanitari, sia – e soprattutto – perché fanno dubitare sulla capacità del Servizio Sanitario Nazionale di sopravvivere. La rivisitazione della spesa pubblica e quindi della spesa sanitaria ha suscitato una levata di scudi che proviene da diverse Categorie professionali, dalle Rappresentanze sindacali del Comparto e dalle Rappresentanze sindacali della dirigenza sanitaria in generale e medica in particolare.
Le “grida” più alte si sono levate dalle Rappresentanze sindacali della dirigenza medica sulla chiusura (poi rientrata in quanto di spettanza delle Regioni) dei piccoli ospedali, sulla diminuzione dei posti letto ospedalieri e sulla soppressione di qualche centinaio di unità operative complesse sia ospedaliere sia territoriali.
Anche se vado controcorrente, ritengo di dover dire che la riflessione deve essere un po’ meno di pancia e molto più di raziocinio; magari anche richiamando le numerose considerazioni che sono state fatte negli ultimi anni sull’andamento dell’intero sistema salute e del Servizio Sanitario Nazionale.
Credo si debba avere l’onestà intellettuale di dire alla cittadinanza che alcuni di quei piccoli ospedali è bene che vengano chiusi, perché è molto arduo definirli ospedali secondo i canoni della moderna, scientifica e sicura medicina e assistenza.
Non si può mantenere la dizione di “ospedale” a delle aggregazioni organizzative, che fanno certamente attività importanti, assolutamente positive, di buon riscontro sui bisogni della popolazione, ma che non possono essere annoverati a ciò che deve essere garantito ad un cittadino che ricorre ad un ospedale per una situazione patologica e assistenziale di medio/alta complessità o per una subentrata acuzie clinico assistenziale.
E’ corretto e responsabile dire alla popolazione che quei piccoli ospedali debbono essere riconvertiti, trasformati in residenze sanitarie assistite, in case della salute, in poliambulatori, comunque in luoghi dove le persone anziane, fragili, con patologie cronico degenerative possono trovare quello che effettivamente loro serve: supporto, presa in carico, continuità, accompagnamento ed una assistenza puntuale, corretta, di qualità.
Luoghi in cui sia massiccia la presenza di infermieri.
E’ questo il punto del problema; forse si fanno grida manzoniane per la soppressione di unità operative complesse e per la conseguente riallocazione o messa in mobilità di professionisti che non hanno mai lontanamente pensato che si sarebbero trovati in tali situazioni.
Ma se il sistema deve smagrire e ridefinirsi per potersi rilanciare e sviluppare sui reali bisogni della collettività nazionale, allora noi dovremmo capire e discutere sui contenuti veri della diminuzione della spesa pubblica e anche dire che noi ci stiamo a questa discussione, che siamo pronti ad un vero cambiamento di paradigma organizzativo e che chiediamo con forza che ai proclami seguano i fatti.
Ci venga data la possibilità di fare buona assistenza, di rispondere ai reali bisogni della gente.
Aumentino i livelli di assistenza e smettano di fare quadrare i conti tagliando sugli infermieri, che sono professionisti fondamentali per poter rispondere ai pazienti anziani, cronici, fragili e con problemi che richiedono un accompagnamento professionale a prolungato nel tempo e disseminato nel territorio.
E da queste considerazioni ne nascono alcune altre; la prima delle quali è quella delle competenze.
E’ attivo un tavolo tecnico – che è al termine i suoi lavori – costituito da rappresentanti del Ministero della salute e delle Regioni. Il Tavolo ha il mandato di definire le competenze cliniche “evolute” del nostro gruppo professionale.
Quanto prodotto ad oggi da quel Tavolo non trova l’assenso del Consiglio Nazionale della Federazione.
Noi – a differenza di quanto ipotizzato dal Tavolo tecnico – chiediamo:

  • che tali competenze siano specialistiche e non genericamente “evolute”;
  • che tali competenze specialistiche siano acquisite attraverso l’effettuazione di moduli formativi attivati sinergicamente in parte nel Servizio Sanitario Regionale ed in parte nell’Università;
  • che i moduli formativi effettuati nel Servizio Sanitario Regionale vengano agganciati a quelli effettuati in Università attraverso il sistema dei crediti universitari e concorrano al raggiungimento del titolo di specializzazione così come definito dalla legge n. 43 del 2006;
  • che la formazione “specialistica” sia strutturata, riconoscibile ed omogenea su tutto il territorio nazionale;

La partita è ardua e noi, come Federazione, ci troviamo in una situazione complessa e difficile; ma non intendiamo demordere perché è in ballo non solo il futuro immediato dei nostri professionisti, ma anche l’evoluzione formativa, giuridica e sociale dei nostri giovani colleghi e di coloro che iniziano il percorso formativo in Università.
Collegata a questa problematica molto importante, c’è anche quella del reclutamento dei professori nelle scienze infermieristiche; un recente decreto del MIUR prevede norme di reclutamento concorsuale che penalizzano molto la categoria.
La nostra è una professione “giovane” in ambito universitario; non è ancora riuscita a costruirsi tutte le caratteristiche necessarie per avere pari opportunità di incardinamento nella docenza universitaria strutturata.
Credo sia facile comprendere che anche questa partita va giocata con molto impegno, perché è fondamentale che gli infermieri vengano formati da infermieri e che questi ultimi non siano solo docenti e professori a contratto, ma anche professori associati ed ordinari nelle Scienze infermieristiche.
Impegno e forza e molta attenzione agli eventi agostani; dobbiamo farcela.

Intanto, con un occhio al sito Ipasvi… buone vacanze a tutti !

Sintesi tratta dalla videochat del 10 luglio 2012, trasmessa su www.ipasvi.it

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