Infermieri: la forza di una nuova cultura per il sistema salute


Relazione introduttiva della Presidente al XVI Congresso Ipasvi, Bologna 22-24 marzo 2012

Annalisa Silvestro

Care Colleghe, Colleghi e Amici
grazie per essere venuti anche quest’anno così numerosi al nostro congresso nazionale.

Un congresso che cade ancora una volta in una situazione molto particolare per la sanità italiana.

ATTORNO A NOI

In copertina c’è senz’altro la crisi.

Una crisi economica internazionale che coinvolge tutti i Paesi europei e tra questi certamente l’Italia. Una crisi alla quale questo Governo, come il precedente, ha risposto con provvedimenti importanti di contenimento della spesa pubblica e in questa è inserita, ovviamente, anche la spesa sanitaria.

L’insieme delle manovre messe a punto dal Governo Berlusconi, e confermate nelle sue disposizioni anche dal Governo Monti, incidono sulla sanità pubblica per circa 8 miliardi di euro da qui al 2014.

Quegli ulteriori otto miliardi vanno ad aggiungersi ai tagli che erano già stati decisi negli anni precedenti e la situazione complessiva che ne deriva ha indotto i Presidenti di tutte le Regioni italiane – da nord a sud, quelle governate dal centro-destra e quelle governate dal centro-sinistra – a dire che la sanità pubblica potrebbe arrivare a un punto di non ritorno.

Ma cosa può significare un “non ritorno” per la nostra sanità pubblica?

Non ci sono molte analisi da fare per capire cosa potrebbe accadere se anche le Regioni fino ad oggi considerate virtuose – cioè con i conti in pareggio, con servizi efficienti e con un accettabile livello di soddisfazione dei cittadini – andassero in crisi come è successo a quelle che vivono la durezza dei piani di rientro.

Se anche le Regioni considerate virtuose come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, e la Toscana – tanto per indicare le più citate – dovessero prendere atto di non essere più in grado – per mancanza di adeguati finanziamenti – di garantire gli attuali livelli di assistenza con carichi di lavoro sostenibili per i propri operatori, non potrebbero che prendere un’unica strada: diminuire l’offerta sanitaria e razionare i servizi.

Il che significa non solo ridimensionamento o riconversione degli ospedali, ma anche diminuzione delle prestazioni e delle attività sanitarie.

Razionamento, infatti, significa dire: meno prestazioni, minore o addirittura nessun ammodernamento strutturale e tecnologico, inasprimento delle situazioni lavorative a causa del blocco del turn over e poche possibilità negoziali nella contrattazione decentrata.

Un “fermo di sostanza” dell’intero sistema in una situazione già pesantemente in affanno e che delinea davvero la possibilità di giungere al già richiamato “punto di non ritorno”.

E’ evidente che, alla luce di questi elementi, la definizione del nuovo Patto per la Salute – che dovrà essere sancito entro il prossimo 30 aprile – sia particolarmente difficile perché non potrà occuparsi solo di razionalizzazione della rete territoriale, di riammodernamento degli ospedali, di sviluppo delle politiche di prevenzione o di altri provvedimenti di carattere generale legati alla programmazione.

Questa volta il Patto per la salute dovrà farsi carico di quegli ulteriori otto miliardi che mancano all’appello.

Ed è possibile, di conseguenza, che per superare quel “gap” vengano introdotti nuovi ticket, definite nuove modalità di erogazione del farmaco e nuove discipline per gli acquisti dei dispositivi medici, dei beni e servizi e anche, forse, ulteriori e nuovi interventi sul personale.

Insomma una partita complessa e difficile che mi porta a chiedere a me stessa e a tutti voi: ma ha senso reale che la sanità venga vista solo come un costo o ci sono elementi oggettivi che possono farla vedere anche come un volano di sviluppo per il Paese?

La nostra sanità garantisce ogni giorno assistenza a tutti gli italiani, offre sostegno a chi ne ha bisogno, contribuisce a mantenere coesione sociale, è un luogo di elaborazione di saperi e di innovazione ed è un comparto produttivo di beni e servizi.

Un dato: se da un lato la spesa sanitaria pubblica incide attorno al 7% del PIL, contemporaneamente la sanità con tutto il suo insieme di variegate attività, fornisce quasi il 13% del prodotto interno lordo.

Mi pare evidente, quindi, che la sanità non è solo un costo, anzi.

Il saldo tra quanto costa in termini di spesa pubblica e quanto produce in termini di ricchezza per il Paese, è decisamente in attivo.

Visti i dati, mi aspetterei dal Governo e da tutta la Classe politica l’inserimento della sanità nell’agenda delle iniziative di promozione in quanto ritenuta una delle grandi questioni nazionali in cui ci deve essere rilancio delle infrastrutture, degli investimenti e della ricerca per contribuire in tal modo alla promozione della crescita, al sostegno dell’occupazione e della produttività.

La tecnologia italiana nella realizzazione dei grandi ospedali, infatti, resta all’avanguardia a livello internazionale come pure la nostra ricerca in campo clinico e assistenziale che presenta condizioni eccezionali per competenza, know-how, distribuzione sul territorio e capacità di fare équipe.

E non voglio dimenticare la capacità e la forza d’intenti che la sanità ha dimostrato, rispetto ad altri Settori pubblici: ha messo in discussione le proprie scelte, si è rinnovata nella gestione e nell’organizzazione e ha ridefinito spazi e ambiti evolutivi.

Comunque e in ogni caso, dobbiamo chiederci quale scenario si prospetta per il prossimo futuro dei servizi sanitari anche alla luce dell’attuale contesto economico e sociale.

Al di là di qualsiasi ragionamento ed analisi, è indubbio che il tema della sostenibilità – e cioè della capacità di continuare a garantire un servizio sanitario universale, solidale e di qualità in tutto il Paese – si pone oggi con ancora maggiore attualità di quanto non sia avvenuto negli anni passati.

E qui credo sia davvero opportuno fare una profonda e intellettualmente onesta disamina.

In molti dibattiti e in altrettanto tante analisi che tutti ascoltiamo sul “mali”, sui “problemi” e sulle “ricette” risolutive che riguardano la sanità, spesso si sente affermare da esperti di diversa estrazione e formazione culturale e politica, che non sarà più possibile o meglio, che non possiamo più permetterci di dare “tutto a tutti” e che il sistema deve diventare “più leggero”.

Il “tutto a tutti” è un concetto chiaro e suggestivo, ma – voglio permettermi di affermare – molto demagogico.

Credo sia bene capirci: intanto non è vero che si dà “tutto a tutti”.

Riflettiamo su ciò che sta dietro al “tutto”.

In Italia la garanzia costituzionale del diritto alla salute prevede che vi sia una lista di livelli essenziali di assistenza – i famosi LEA – dove non c’è “tutto”.  
Ci sono le prestazioni e i servizi che sono stati ritenuti essenziali per la tutela della salute.
E quei livelli di assistenza possono essere rivisti – e sappiamo che abbastanza presto verranno rivisti – e riadattati ai bisogni emergenti della popolazione.
E’ pertanto possibile che all’interno dei futuri LEA, non ci saranno più alcune prestazioni che ci sono attualmente, perché ritenute non più essenziali.

Si vede bene, quindi che dietro al “tutto” ci stanno cose ben diverse da quelle comunemente sbandierate.

Vediamo ora cosa analizzare rispetto al “a tutti”.

Sì. In Italia il Servizio sanitario nazionale garantisce a tutti i cittadini le prestazioni previste dai LEA. Riflettiamoci però; ciò avviene perché “tutti” i cittadini, secondo le loro possibilità e proporzionalmente ad esse, finanziano il servizio sanitario nazionale.
Il servizio sanitario non è finanziato da un signor “nessuno”; è finanziato dai cittadini italiani che ne sono, in quanto tali, i titolari e i primi proprietari.

Per il Servizio sanitario spendiamo meno di altri Paesi europei e otteniamo migliori risultati.

Il vero dato è che, semmai, il Servizio sanitario è sotto finanziato perché non possiamo metterci altri soldi – anzi.
E non possiamo permetterci di metterci altri soldi perché una parte degli italiani non contribuisce secondo le sue reali possibilità al sostentamento del Servizio sanitario, evadendo le tasse.

Il dato vero non è che spendiamo troppo per il Servizio sanitario; il dato vero è che spendiamo male. C’è tanta cattiva gestione, doppioni, mantenimento di strutture scorrelate ai bisogni veri, inappropriatezza, arroganza organizzativa e quant’altro ben conosciamo.

Si abbia il coraggio di tagliare lì, per dare forza e vita vera nella sua interezza ad un sistema che i cittadini italiani vogliono – e lo rileviamo continuamente – pur con una grande libertà nei modi di erogare e nei modi di gestire i servizi offerti.

Quindi parlare di “tutto a tutti” può ingenerare e ha ingenerato, più o meno volutamente, equivoci che è bene sgombrare subito dal campo della riflessione e del dibattito.

Voglio però ritornare al vero punto: ossia la sostenibilità o meno dell’attuale Servizio sanitario nazionale.

Certamente la sanità – anche una sanità ben organizzata e appropriata nelle risposte – è destinata a veder crescere le proprie necessità finanziarie; e questo sembra essere un elemento – non solo nazionale – sul quale tutti concordano.

Crescerà il costo dell’innovazione, che si spera possa portare a farmaci sempre più efficaci e a tecnologie e terapie cliniche ed assistenziali sempre più appropriate e pertinenti.
Cresceranno i bisogni della gente come conseguenza di una straordinaria evoluzione demografica, perché viviamo sempre più a lungo ma anche, inevitabilmente, accompagnati dalla cronicizzazione di molte malattie.
Malattie che non sono più mortali ma certamente invalidanti e che producono il bisogno di un’assistenza estensiva e continuativa.

Se questo è quanto, potremo continuare a far fronte ai costi che ne deriveranno?

E ancora: il finanziamento attualmente erogato grazie alla fiscalità generale, nazionale e locale, potrà essere ancora sufficiente o dovranno essere trovate altre strade, incrementando, ad esempio, forme di copayment, di partecipazione del privato con programmi di project financing oppure sviluppando forme di assistenza integrativa con cui garantire le risposte che il servizio sanitario non riesce a garantire completamente?

In tutte queste fondamentali questioni, sulle quali è necessario aprire una vera, profonda e trasparente discussione, noi dobbiamo farci coinvolgere e sentirci coinvolti sia per il contributo che la nostra esperienza e la nostra cultura possono portare al dibattito e alle relative decisioni, sia per verificare se costituiscono ancora punto di riferimento tre principi per noi fondamentali e che, non a caso, sono inseriti anche nel nostro Codice deontologico.

Mi riferisco ai principi di universalità, equità e qualità.

Il nostro pensiero

Noi continuiamo a ritenere che il Servizio sanitario nazionale debba essere universale; ossia rivolto a tutti i cittadini a cui va mantenuto il diritto di avere un equo accesso a prestazioni e servizi che vorremmo fossero di qualità omogenea in ogni Regione del Paese.

L’avere una sanità pubblica – e ancora di più in un momento, come l’attuale, di forte crisi economica – è una garanzia.

La sanità pubblica è diritto di cittadinanza, è una rete che può fungere – anche se indirettamente – da ammortizzatore sociale ed è una forma rilevante di tutela.

Rimane però sul tavolo una grande questione che si intreccia col tema della sostenibilità e che, a mio avviso, ha una sua valenza, indipendentemente da altre considerazioni.

E’ la grande questione del governo o meglio, come si usa dire oggi, della governance del sistema salute.

È indubbio che in tutti questi anni, dalla nascita del Servizio sanitario nazionale ad oggi, si sono articolate e sviluppate molteplici tipologie di gestione e di organizzazione dei servizi.
E questo non è strano; anzi.

Le diverse modalità di affrontare l’organizzazione dei servizi di assistenza sanitaria – se ben governate – possono diventare ricchezza di conoscenza e scambio virtuoso di esperienze in nome delle buone pratiche.

Però in questo ambito c’è ancora molto da fare.
Soprattutto sul piano dell’efficienza, ossia sul piano del rapporto costi-benefici, che troppo poco viene esaminato nelle sue diverse articolazioni.

L’innovazione sanitaria è una delle caratteristiche del sistema salute e l’innovazione non può essere solo nelle terapie farmacologiche o nelle terapie chirurgiche.

L’innovazione ha un suo forte peso anche nelle modalità dell’assistenza, nelle modalità con cui viene organizzato un reparto o un servizio ospedaliero, nelle modalità con cui viene organizzata la medicina e l’assistenza territoriale, nelle modalità con cui vengono gestite e orientate le diverse professionalità che operano nel Servizio sanitario nazionale.

In questo senso noi infermieri abbiamo molto da dire: ci riteniamo, infatti, portatori di una ricca e peculiare cultura.

E’ dimostrato, che dove la professione Infermieristica è stata valorizzata appieno, il sistema funziona meglio, ci sono maggiori sinergie tra i diversi professionisti e tra le équipe. E’ più armonico il rapporto tra struttura e cittadino e scorrono meglio le molte dinamiche sottese all’erogazione dei servizi.

Eppure, il riconoscimento dell’infermiere come una delle figure di spicco nel servizio sanitario, arranca, stenta ancora ad affermarsi.
E dove si afferma, sembra quasi che ciò avvenga non tanto come conseguenza di una rilevata e scientemente scelta e utilizzata potenzialità culturale e professionale, ma quasi come conseguenza di qualcosa di inarrestabile, inevitabile e a cui possono anche non seguire riconoscimenti di ruolo, di funzioni e di prerogative professionali.

Ma il dato su cui ancora e di più dobbiamo riflettere è quello delle realtà – e purtroppo non sono poche – dove le potenzialità della nostra professione non vengono né rilevate, né considerate.

Forse perché in quei luoghi – e anche in tanti altri esterni ai luoghi di cura e assistenza – si vuole mantenere antiche e supposte primazie, modelli organizzativi più che datati e si vuole, ostinatamente, continuare a sostenere che l’unica vera professionalità sanitaria è quella espressa dal medico.

  • forse perché non si considera o si vuole misconoscere l’evoluzione formativa e professionale degli infermieri;
  • forse perché si vuole ostinatamente insistere nel dubitare che esistano una Disciplina e una Scienza infermieristica;
  • forse ancora perché si non si vuole dare atto dell’efficacia, pertinenza e appropriatezza dell’azione Infermieristica su specifici e fondamentali aspetti di tipo curativo e assistenziale.

Ma il mondo va avanti.

L’attualità

Stiamo interagendo e lavorando su alcuni tavoli tecnici attivati dal Ministero della Salute in cui è strutturata – ovviamente – anche la presenza delle Regioni.

Pare si voglia davvero definire e condividere una diversa ed evoluta rappresentazione dell’Infermieristica, dei suoi contenuti professionali e delle competenze che potranno agire nei prossimo futuro gli infermieri, anche delineando specifici e ulteriori interventi formativi.

Interventi formativi, però – e noi siamo fermamente schierati su questo – impostati su base disciplinare Infermieristica; correlati a processi e percorsi in aree di bisogno assistenziale in cui la nostra cultura e operatività ha già dimostrato – e potrà ancora di più e strutturalmente dimostrare – efficacia nell’intervento, efficienza nelle modalità di risposta ed eccellenza nei risultati.

Non è facile stare su quei tavoli; bisogna combattere con stereotipi, superare resistenze, minimizzare paure.

Non so se può essere di giovamento per superare quelle resistenze e minimizzare quelle paure, affermare in maniera forte, chiara e pubblica che non rientra nei nostri obiettivi e non è nostra ambizione togliere ruoli e funzioni professionali – realmente specifiche – ad altri.

Noi vogliamo approfondire ed innovare i ruoli e le funzioni che abbiamo, che il nostro percorso formativo e di professionalizzazione ci disegna e che l’evolversi scientifico, epidemiologico, socio economico e fattuale ci richiede.

Nei confronti di resistenze e fantasmagoriche paure, il nostro atteggiamento sarà quello di sempre: pacata fermezza e decisa volontà.

Oltre al mondo, anche noi andiamo avanti.

Saremo conseguenti ad una sana determinatezza: dare risposte assistenziali solide, certe, sicure ed evolute a tutti coloro che ci coinvolgono come liberi professionisti o che utilizzano i servizi sanitari in cui siamo diuturnamente inseriti.

Ma comunque: anche se riuscissimo, e ci fosse una presa d’atto delle innovate competenze infermieristiche e dei risultati ottenuti attraverso la loro proattiva declinazione nei servizi sanitari, dovrà parimenti esserci una nostra – corale e orgogliosa – spinta in avanti.

Una spinta in avanti basata sulla consapevolezza di quello che abbiamo costruito in questi ultimi decenni e che ci ha permesso di conquistare traguardi quasi insperabili in ambito assistenziale, formativo e gestionale.
Una spinta che ci ha permesso di professionalizzare il nostro lavoro, qualificare i percorsi di cura e dare palese e oggettiva dimostrazione del nostro status di professionisti della salute.

E la consapevolezza di quello che siamo stati capaci di fare, deve continuare ad essere coltivata ed irrobustita, deve diventare intimamente nostra e deve connotarsi come un nostro segno distintivo.

E per questo il nostro agire non può che completarsi ed arricchirsi attraverso l’evidenza dei risultati raggiunti, la conquista della fiducia dei nostri assistiti, l’impegno costante affinché i cittadini percepiscano l’infermiere come un professionista a cui rivolgersi perché capace di dare loro risposte peculiari, specifiche, distintive e costantemente rimodulabili.

Per arrivare a tutto questo è fondamentale porre in essere azioni solide, rispettose, eticamente salde e armoniose nella modulazione delle relazioni.

Azioni improntate ad accompagnare le persone a vivere al meglio con le conseguenze di un disequilibro di salute magari cronicizzato, ad aiutarle a raggiungere il massimo di autonomia e di proattività possibile.

Un terreno di vasto impegno in cui la Rappresentanza professionale – ossia tutti i colleghi che hanno scelto di mettersi al servizio della collettività Infermieristica – dovrà agire nella consapevolezza di costituire un punto di aggregazione e di orientamento su diversi piani: quello delle relazioni, quello della comunicazione e quello del lavoro.

E quest’ultimo è un piano particolarmente importante, non tanto e non solo per quanto attiene la componente contrattuale, ma anche e soprattutto perché nel mondo del lavoro può fortemente definirsi ed essere declinato il riconoscimento della nostra specificità professionale ed essere valorizzato il peculiare contributo garantito dagli infermieri, anche rispetto alle altre famiglie professionali sanitarie.

Ed il riconoscimento della specificità e peculiarità del contributo garantito dagli infermieri è di particolare rilevanza perché ne può derivare il coinvolgimento nelle scelte aziendali per l’organizzazione del lavoro e dell’assistenza con definizioni coerenti e organiche alla tipologia dei diversi servizi e ai bisogni delle persone.

Ma oltre alla rappresentanza professionale, anche ognuno di noi dovrà fare la sua parte.  

La cultura che abbiamo elaborato collettivamente e di cui ognuno di noi è portatore, può divenire ed essere considerata un valore aggiunto per il sistema e da cui il sistema può trarre linfa vitale per promuovere e realizzare una modernizzazione “etica” dei processi sanitari.

Il futuro

Nel corso di questo nostro XVI Congresso nazionale vengono presentate le riflessioni, i saperi, i progetti e le sperimentazioni di cui è ricco il nostro gruppo professionale.

L’obiettivo dichiarato è quello di rilevare – insieme a coloro che ci accompagnano con modalità simpatetiche nel nostro viaggio – se il cammino intrapreso è fruttuoso e se su quella strada potremo davvero raggiungere orizzonti di luce.

Nelle relazioni congressuali presentate dai nostri colleghi emergerà quanto i contenuti espressi costituiscono e rafforzano la nostra cultura intesa come “… quanto concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli appartiene come singolo e come appartenente ad una collettività”.

Ed alla nostra cultura vogliamo richiamarci per delineare i campi e i punti di riflessione e dibattito che dovranno accompagnarci da domani e aiutarci a compiere – insieme – le scelte migliori.

Si tratta di scelte che dovranno permettere ai giovani infermieri e agli studenti in Infermieristica di proseguire a testa alta nel viaggio intrapreso dalle nostre generazioni e con l’intima convinzione di far parte di una collettività professionale ricca di idee, valori e capace di effettuare processi di lavoro di qualità e di garantire risultati assistenziali di eccellenza.

Se l’Infermieristica è davvero centrale per il futuro del sistema sanitario – come non solo noi riteniamo – non possiamo sottrarci al confronto con tutti i soggetti che partecipano al sistema salute; ossia i cittadini, gli altri professionisti sanitari, gli stake holder e gli opinion maker.

Recentemente ci sono stati momenti di tensione inter professionale che potevano portarci ad un deleterio scontro inter categoriale. Le tensioni erano conseguenti ad alcune sperimentazioni organizzativo assistenziali innovative basate su una ridefinizione di competenze e responsabilità. Le azioni infermieristiche che ne derivavano sono state ritenute da alcuni medici esclusive e giuridicamente proprie.
In sintesi i colleghi infermieri impegnati in quei percorsi innovativi, abusavano di professione medica.

Parlo – e richiamo solo le situazioni più note – dei “fast track” e del “see & treat”, su cui si è appuntata l’attenzione e su cui – parimenti – avrebbe dovuto calare la scure dell’ipotetico abuso di professione medica.

Ma sono sotto lente di ingrandimento anche i team PICC, l’Infermieristica perioperatoria, il case management territoriale, il counseling professionale, i servizi di consulenza Infermieristica, l’assistenza di iniziativa, gli ambulatori infermieristici, l’Infermieristica di famiglia o di comunità, i reparti a gestione Infermieristica, le piattaforme degenziali organizzate e gestite per complessità assistenziale infermieristica … e mi fermo qui.

La Federazione è stata più volte invitata a riflettere su quanto stava e sta accadendo, non tanto per quanto si sta facendo “oltre” nell’ambito delle prestazioni tecniche o per l’utilizzo di tecnologie ad ampio spettro o di devices tendenzialmente utilizzati da altri gruppi professionali , quanto sull’ampliamento di processi e di percorsi assistenziali su cui abbiamo assunto la piena, autonoma e responsabile gestione.
Ma qual è la paura? Forse la paura è che quanto sta avvenendo possa scardinare gli attuali equilibri nelle relazioni professionali e la mai discussa potestà organizzativa e gestionale di alcuni.

La scelta

Ma adesso noi ci troviamo di fronte ad un bivio.

Ciò che già ora facciamo utilizzando le nostre capacità tecnico-scientifico – che si traducono anche, come prima dicevo, nell’effettuazione di prestazioni tecniche avanzate nell’utilizzo di tecnologie ad ampio spettro in ambito diagnostico e terapeutico – può costituire la base dell’attesa evoluzione e dell’ulteriore passo in avanti della nostra professione?

Oppure, dobbiamo considerare quella tipologia di prestazioni tecniche – ancorché necessitanti una importante preparazione – come attività complementari al “core” dell’Infermieristica intesa come la capacità di rispondere ai bisogni che un disequilibrio di salute o una patologia conclamata producono sulla persona?

Nel prossimo decennio l’anomalia della sanità italiana che evidenzia un numero di medici per abitanti superiore alla media europea, verrà superata.
Il cosiddetto shortage dei medici impatterà inevitabilmente sull’andamento dell’intero sistema sanitario.

Qualcuno lancia grida di alta preoccupazione per la salute degli italiani.

Qualcuno pensa che non ci saranno problemi perché si potranno utilizzare le competenze degli infermieri perché, “… in fondo l’offerta sanitaria dovrà spostarsi verso la prevenzione e sul territorio. Questo consentirà di puntare, con effetti sicuramente positivi sia per la qualità dell’offerta che per il grado di copertura della domanda, sull’upgrading della professione infermieristica. Vale a dire sull’attribuire e riconoscere agli infermieri ruoli e funzioni che sicuramente sono in grado di svolgere con efficacia…”.

E a questo secondo pensiero che punta sulla valorizzazione degli infermieri, diversi osservatori dell’andamento del sistema sanitario aggiungono una constatazione: dove gli infermieri hanno assunto ruoli e funzioni ricchi di responsabilità nell’area organizzativo-gestionale e didattico-formativa, sono stati raggiunti concreti risultati di razionalizzazione, pertinenza, innovazione, oltre che di riproducibilità, scientificità, culturalizzazione e ricerca.

Ma ancora.

Numerosi studiosi delle organizzazioni sanitarie discutono su come ammodernare l’organizzazione delle Aziende ospedaliere e su come dare corpo alle Aziende territoriali.
Tali studiosi, tra l’altro, ragionano sull’impatto che assume la dimensione “operativa” rispetto a quella “professionale” nell’efficientamento dell’organizzazione sanitaria in senso lato e dell’organizzazione ospedaliera specificamente.

Pare decisamente più produttivo, ad esempio, organizzare gli ospedali su due dimensioni distinte: da una parte le “piattaforme operative” ordinate per tipologie di processi assistenziali e dall’altra la tradizionali aggregazioni professionali, ossia basate sulle discipline cliniche.

Se passasse l’ipotesi dell’organizzazione per processi produttivi – ossia l’idea delle piattaforme operative – noi infermieri saremmo i candidati naturali ad esserne i protagonisti e i gestori.

Siamo, infatti, considerati forza competente, esperta oltre che prevalente dei processi produttivi ed in grado di realizzare nuove modalità organizzative legate finalmente non più alle discipline cliniche ma ai processi assistenziali.
Mi riferisco, ad esempio, all’organizzazione per livelli di complessità assistenziale o alla gestione di piattaforme tecnologiche per linee produttive prestazionali come, ad esempio, le piattaforme costituite dalle sale operatorie o le piastre ambulatoriali.

Ma allora, se questi sono alcuni dei principali elementi del dibattito in corso per quanto attiene il sistema salute del Paese e il nostro ruolo all’interno di tale sistema, qual è l’orientamento che pensiamo di voler assumere?

A quale componente connessa attualmente (Dm 739/94) alla nostra struttura professionale vogliamo dare prevalenza?

  • A quella che ci instrada verso l’effettuazione di prestazioni tecniche o vero l’utilizzo di tecnologie ad ampio spettro, di devices, di emogasanalizzatori avanzati, di tecnologia miniaturizzata da adoperarsi al letto del paziente o a domicilio e di quant’altro rilevante per il buon andamento del processo diagnostico e terapeutico?
  • A quella orientata al “core” dell’Infermieristica ovvero alla capacità di rispondere ai bisogni che un disequilibrio di salute o una patologia conclamata producono sull’assistito sviluppando e approfondendo altresì e contemporaneamente competenze e capacità nella pianificazione, supervisione e verifica delle attività demandate agli operatori che supportano i processi di assistenza?

Le nostre scelte sono di primaria importanza perché ne conseguiranno decisioni che impatteranno fortemente sulle attività professionali, sulle azioni della Rappresentanza professionale in relazione alle richieste nei confronti dei gestori organizzativi e formativi e – cosa di indubbia rilevanza – sul ri-orientamento dell’intero sistema sanitario.

Quale organizzazione del lavoro ne deriverà?
Quali percorsi formativi saranno necessari e con quali obiettivi e contenuti?

LE DECISIONI PROGETTUALI

L’orientamento e le scelte – quali che siano – non potranno che scaturire da un dibattito forte, serrato e che tenga conto del fatto che intorno a noi tutto si muove rapidamente e che ci saranno spinte e pressioni opportunistiche.

Il nostro profilo professionale ci offre ancora un forte sostegno per ogni tipologia di scelta e di orientamento che vorremo intraprendere.

Possiamo dare prevalenza all’ambito, che voglio definire semplicisticamente “tecnico”, così come già indicato dal comma d) dell’art. 2 del Dm 739/94 “l’infermiere garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche”.

Oppure dare prevalenza all’ambito assistenziale, che voglio definire “classico”, così come indicato dal comma b) e c) dell’art. 2 del Dm 739/94 “l’infermiere identifica i bisogni di assistenza Infermieristica e della collettività e formula i relativi obiettivi” … e … “pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico”… Ed in quest’ultimo ambito privilegiare la parte educativo-relazionale, demandando l’effettuazione dell’assistenza di medio bassa complessità agli Operatori socio sanitari e mantenendo la supervisione e la responsabilità del processo, così come già reso possibile dal comma e) ed f) dell’art. 2 del Dm 739/94 “l’infermiere agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali” … e … “per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto”.

E’ evidente che all’orientamento che sceglieremo dovranno correlarsi azioni e un forte impegno perché vi sia un costante riposizionamento in ambito formativo, organizzativo e assistenziale sia in ambito ospedaliero, sia in ambito territoriale.

Ma è anche evidente:

  • che le scelte dovranno derivare da un subitaneo e serrato dibattito che dovrà svilupparsi dentro e fuori la professione;
  • che quelle scelte dovranno essere accompagnate e sostenute da uno strutturato progetto professionale;
  • che il progetto professionale dovrà essere collettivo;
  • che il progetto professionale dovrà essere attuato con l’impegno degli infermieri tutti indipendentemente dalla funzione svolta e dallo specifico campo di operatività da ognuno.

E allora, in tutto questo, mi pare ineludibile la necessità di sostenere la nostra Rappresentanza professionale e la trasformazione dei Collegi in Ordini che siano modernamente strutturati attraverso una ridefinizione dell’ordinamento giuridico in modo che possano avere sistematiche e istituzionali interlocuzioni in ogni luogo di decisione politica, organizzativa e formativa.

Nel frattempo i nostri attuali Collegi Ipasvi devono essere sostenuti e stimolati con una costante partecipazione alla vita professionale affinché:

  • rafforzino le loro azioni;
  • sostengano i professionisti iscritti ai loro albi;
  • si rendano realmente garanti di fronte ai cittadini ed allo Stato della qualità, serietà, onestà e professionalità dei loro iscritti.

Insieme potremo far sentire la voce del nostro mondo ovunque:
in Parlamento, nei Ministeri, nelle Regioni, nelle Aziende, nelle Università.

Perché siamo consapevoli che le nostre non sono iniziative di rivendicazione corporativa, ma battaglie di civiltà e di progresso per fare grande la Sanità italiana e perseguire il bene dei cittadini.

Tutti insieme ce la possiamo davvero fare!  

Grazie dell’attenzione, un buon congresso e un augurio di buon futuro a tutti!

XVI Congresso Federazione Nazionale Collegi Ipasvi

Mozione conclusiva

Bologna, 24 marzo 2012

Gli infermieri italiani, riuniti a Bologna dal 22 al 24 marzo 2012 per il XVI Congresso Nazionale della Federazione dei Collegi Ipasvi, consapevoli del loro essere professionisti della salute e dell’assistenza, a cui ogni cittadino e ogni assistito può rivolgersi in un rapporto diretto e deontologicamente strutturato:

si impegnano: al rafforzamento del rapporto di fiducia con l’assistito per dare risposte peculiari, appropriate e pertinenti alle esigenze di cura e ai bisogni di assistenza, attraverso la “presa in carico” e la garanzia di una continuità assistenziale che si estenda e valorizzi anche la dimensione territoriale;

sollecitano: una profonda revisione dell’assetto del sistema sanitario, che faccia perno sulla centralità del cittadino-paziente;

rivendicano: il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo degli infermieri a fronte delle competenze e delle responsabilità già acquisite, a partire da una nuova definizione di “governo clinico e assistenziale” quale strumento di orientamento e governo della sanità;

sottolineano: la necessità di incidere sulla programmazione universitaria e di riconoscere la funzione peculiare della docenza infermieristica al fine di assicurare la reale e competente trasmissione del sapere disciplinare proprio della professione;

ribadiscono: che l’infermiere deve vedere finalmente definiti e riconosciuti diversi e progressivi sviluppi di carriera e diversi e progressivi profili retributivi, corrispondenti alla articolazione del suo lavoro e alle specifiche attribuzioni di responsabilità;

offrono al Sistema sanitario e al Paese: il proprio contributo di cultura e progettualità documentato dalla molteplicità di idee ed esperienze presentate nell’ambito del XVI Congresso Nazionale.

Tenuto conto:

  • dell’evoluzione del Sistema sanitario e del mercato del lavoro;
  • delle nuove normative in materia pensionistica;
  • della diminuzione del numero dei medici;
  • dell’upgrading delle competenze infermieristiche;


chiedono:

  • la valorizzazione del paradigma assistenziale infermieristico strutturato sulla centralità della persona e dei suoi bisogni espressi e inespressi nei processi di cura e di assistenza;
  • la ridefinizione e il riconoscimento del ruolo degli infermieri per la presa in carico e la continuità assistenziale in ospedale, sul territorio e fra ospedale e territorio;
  • l’orientamento all’assistenza infermieristica nel territorio secondo le logiche dell’infermieristica di famiglia, dell’integrazione socio-sanitaria e della complementarietà dell’esercizio libero professionale infermieristico;
  • il superamento dell’attuale settorializzazione – su base esclusivamente medica – delle degenze ospedaliere a favore dell’aggregazione per complessità assistenziale infermieristica;
  • il riconoscimento e la valorizzazione della direzione e del management infermieristico in tutte le organizzazioni sanitarie pubbliche e private;
  • il riconoscimento della rilevanza della direzione, della docenza e del tutoraggio infermieristico per la preparazione dei futuri professionisti infermieri;
  • la rimodulazione dei processi formativi orientati alla valorizzazione delle competenze;
  • il riconoscimento della rilevanza della ricerca e della sperimentazione nell’ambito dell’assistenza infermieristica;
  • il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze infermieristiche esperte, specialistiche e della consulenza infermieristica;
  • una peculiare, strutturata e specifica progressione di carriera collegata alla ridefinizione globale dei processi di cura ed assistenza ed alla correlata specificità assistenziale infermieristica in ambito ospedaliero e territoriale.

 

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