Cure primarie e ospedali per intensità di cura


La clinica solo ai medici, i percorsi assistenziali agli infermieri. In questo modo non c’è più alcuna sovrapposizione, ma vera integrazione tra professionisti. Ed è questa la vera novità – positiva – su cui le Regioni stanno lavorando nella bozza di Patto per la salute che, apocrifa o meno che sia, ha messo nero su bianco le ipotesi allo studio dei tecnici dei governatori.

Un percorso che secondo gli infermieri è l’unico possibile per poter coniugare efficienza ed economicità del sistema. E che va comunque a favore dei cittadini.

L’unica cosa di cui aver paura a questo punto è che, poste le migliori premesse per una reale reingegnerizzazione del sistema fermo di fatto a 30 anni fa, il coraggio di portarle avanti e di trasformarle in atti concreti non ci sia.

E’ ben impostato il ragionamento sul riordino delle cure primarie in cui finalmente si comincia a parlare non solo del medico di medicina generale che sembrava l’unica figura su cui dovessero ruotare le cure primarie, ma si comincia a parlare di team, di équipe, di ambulatori infermieristici e di medicina di iniziativa, di riconversione dei piccoli ospedali per dare risposte ai bisogni di salute primari alla popolazione.

Va benissimo anche – e spero si vada in quella direzione – quando si parla del rapporto Ssn-Università dire che l’Università deve smetterla di fare autoreferenzialità e collegarsi con i bisogni della popolazione nel definire i percorsi formativi dei professionisti sanitari.

Per gli infermieri è un messaggio forte, anche quando si dice che c’è bisogno di una formazione specialistica e che sia correlata alla necessità delle strutture di orientarsi ai bisogni del paziente: formare e dare competenze diverse non ha neppure sblocchi lavorativi.

Anche l’idea di promuovere la valorizzazione di alcune professioni sanitarie è un punto a favore. Si dice che questa deve avvenire per campi di attività o per percorsi diagnostico-terapeutici: è una novità positiva, significa che la smetteremo di fare formazione alle professioni sanitarie su base clinica, una formazione che non serve.

Su questa linea si ha finalmente il coraggio di dire che la riorganizzazione della rete ospedaliera dovrà essere fatta in base alla complessità assistenziale dei pazienti e non più per reparti, che comunque resterebbero sempre del tutto scollegati tra di loro.

In questa ottica è giusto anche riorganizzare i piccoli ospedali che così come sono non solo non garantiscono qualità, ma disperdono professionalità costrette a operare in situazioni che non portano vantaggio a nessuno: si devono trasformare in ospedali di comunità, nursing home, residenze sanitarie.

Il paziente è ricoverato e assistito secondo il livello della sua patologia o pluripatologia e alla continuità ci pensa l’infermiere e i medici vanno al suo letto in base alla specialità per assisterlo nei singoli bisogni e dettare tutto ciò che riguarda diagnosi, clinica e terapia.

Intervista rilasciata a Il Sole 24 ore sanità (n. 6, 14-20 febbraio 2012)

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