I bisogni socio-sanitari degli immigrati


Il benessere del paziente è il principale scopo dell’assistenza infermieristica, che deve basarsi su un approccio personalizzato e rispettoso della cultura della persona assistita (Leininger, 2002). Tale esigenza è quanto mai attuale in una società che tende, anche in Italia, a divenire rapidamente multietnica e multiculturale e che impone agli operatori sanitari di dotarsi di uno strumentario professionale nuovo, adeguato ai bisogni di salute dei cittadini stranieri. In particolare l’infermiere deve conoscere le credenze e i valori che influenzano la relazione terapeutica per poter assicurare un’assistenza competente (Spito e Lombardi, 2008).
L’Italia continua ad accogliere persone provenienti da ogni parte del mondo e di diverso background sociale. I principali motivi che spingono all’emigrazione sono economici e politici: siamo tutti testimoni di una società globalizzata, in cui poche nazioni ricche guidano i mercati mondiali a spese di Paesi che, sempre di più, sono poveri o si stanno impoverendo. Né si può ignorare la realtà dei regimi totalitari tuttora numerosi, nei quali i diritti umani non sono riconosciuti, costringendo molti a fuggire per salvare la propria vita (XX Rapporto Caritas-Migrantes, 2010). Per contro nuove leggi, come quella che prevede l’obbligo di denuncia, tendono ad escludere l’immigrato rendendo irreversibile la condizione di clandestinità (D’Agostino, 2009).
Nonostante le leggi più restrittive, gli immigrati continuano però ad arrivare in Italia e a modificare il tessuto sociale, nelle variegate dimensioni della multiculturalità, con specifiche ripercussioni sulla salute e sull’assistenza. L’incontro tra operatori sanitari italiani e utenti stranieri induce reciprocamente il cambiamento di comportamenti e atteggiamenti, spesso condizionati dalla diffidenza nei confronti della ‘diversità’, come risultato dell’esperienza transculturale (Ciancio, 2005). Queste turbolenze da una parte determinano nel professionista la paura di perdere le proprie connotazioni culturali, dall’altra l’esigenza di una profonda riflessione sui valori dell’assistenza, per ridisegnarli in relazione ai nuovi bisogni (El-Hamad e Pezzoli, 2005). Si tratta di una sfida positiva e stimolante per l’infermiere, che comporta un arricchimento e un approfondimento delle dimensioni professionali che fanno riferimento alle scienze umane (Mottini, 2007).
In Italia, soprattutto a livello di rete territoriale, da più di dieci anni si è iniziato a costruire un modello di integrazione sociale e culturale.

Quali servizi per gli stranieri? L’esperienza romana
Il servizio per Stranieri Temporaneamente Presenti (STP) è stato specificatamente creato per gestire il difficile approccio al sistema sanitario dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (art. 35 del DLgs. 286/1998). Più recentemente tale diritto è stato esteso ai cittadini Europei Non Iscritti (ENI) al Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Pertanto a tutti i cittadini stranieri privi di risorse economiche sufficienti, dopo l’assegnazione di un codice STP o ENI riconosciuto su tutto il territorio nazionale, è garantito l’accesso gratuito a strutture pubbliche e private accreditate per:

  • cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti (con pericolo di vita, anche per malattia o infortunio) ed essenziali (per malattie e infortuni che non siano pericolosi nell’immediato, ma che potrebbero determinare maggiore danno alla salute o rischio per la vita);
  • interventi di prevenzione e cura relativi a
  1. tutela della gravidanza e della maternità
  2. tutela della salute dei minori
  3. vaccinazioni obbligatorie
  4. profilassi, diagnosi e cura di malattie infettive.

Negli ultimi venti anni l’Azienda USL Roma C è capofila per la Regione Lazio di vari progetti rivolti agli stranieri immigrati. L'obiettivo è quello di attivare, nell’ambito di un’efficace politica di integrazione, servizi sanitari nei quali l’utente di ‘cultura altra’ diventi attore dei servizi (Cavicchi, 2007). Il servizio STP del Distretto Sanitario VI Municipio dell’Azienda USL RM/C è all’interno del Presidio territoriale integrato “Santa Caterina della Rosa”.
Per meglio gestire il fenomeno, è stata svolta un’indagine, comprensiva di un’analisi retrospettiva sulle schede cliniche degli utenti che si sono rivolti al servizio STP del Presidio Santa Caterina della Rosa nel 2009. È stata elaborata una quantità considerevole di dati riguardanti sia il numero di accessi degli utenti immigrati, sia i loro problemi di salute, al fine di valutarne le patologie prevalenti in relazione a variabili indipendenti quali il Paese di provenienza, l’età, il genere e la situazione familiare.
Da questa prima analisi è emerso che l’etnia più numerosa nel richiedere le prestazioni ambulatoriali è quella bengalese (720 utenti nel 2009), che di conseguenza è stata scelta come target per la somministrazione di un questionario, rivolto a comprendere le eventuali difficoltà incontrate nell’utilizzo dei servizi: le modalità di accesso, la soddisfazione per l’assistenza ricevuta, i problemi di comunicazione con gli operatori sanitari e i suggerimenti per risolverli, la conoscenza di qualche lingua straniera (oltre alla propria) e l’eventuale esperienza dei servizi di mediazione culturale.
Per le criticità che lo caratterizzano, al servizio STP è assegnata un’infermiera con specifiche competenze professionali e linguistiche; tuttavia anche altri operatori del poliambulatorio, a rotazione, vi effettuano sostituzioni e soprattutto assistono utenti stranieri inviati dal servizio STP alle diverse sale di medicina specialistica. Anche a questi infermieri è stato somministrato un questionario, rivolto a comprendere quanto i professionisti si sentano in grado di gestire efficacemente le problematiche di salute degli immigrati, a cominciare dalla comunicazione e dalla capacità di coinvolgere il paziente in una migliore compliance terapeutica, al fine di valutare il relativo fabbisogno formativo e progettare eventuali interventi.

La salute degli stranieri: alcuni dati
Dall’analisi retrospettiva effettuata sulle schede cliniche degli utenti che si sono rivolti al servizio STP nel 2009, si evince che l’affluenza più elevata è dei cittadini provenienti dall’Asia (Bangladesh), dall’Europa Orientale (Romania: 270; Ucraina: 96; Russia: 70), dal Sudamerica (Perù) e dal Nord Africa (Egitto).
Le principali patologie per cui si rivolgono al servizio ambulatoriale sono il diabete e l’ipercolesterolemia. La compliance a qualsiasi terapia risente fortemente della cultura musulmana, con la tendenza a non rispettare le prescrizioni mediche e gli orari dell’ambulatorio durante determinati periodi, come quello del Ramadan. L’approccio al servizio sanitario è ostacolato anche da problemi di comunicazione, giacché la lingua prevalentemente parlata è il bengalese, per cui sarebbe opportuno l’intervento del mediatore culturale.
Per quanto riguarda gli immigrati dall' Europa dell'Est, le richieste di intervento sanitario più frequenti da parte degli uomini riguardano i traumatismi (25,9%) e le malattie dell'apparato digerente (13,8%), cardiocircolatorio (9,4%) e respiratorio (8,2%). Da parte delle donne la gravidanza, il parto e il puerperio (56,6%), le patologie a carico del sistema osteo-articolare (16,8%) e dell'apparato digerente (14,4%), oltre ai tumori (10,5%).
Come per gli uomini, anche per le donne straniere, i ricoveri sono meno frequenti, ad esclusione delle malattie infettive e parassitarie, che invece colpiscono in misura maggiore le donne immigrate. Le ricerche effettuate in questo campo (Castiglioni, 2004) denotano una diversa modalità di vivere la maternità e il parto da parte delle donne migranti in Italia rispetto a quanto avviene nel paese d'origine. Soprattutto per le donne africane, infatti, a differenza delle coetanee dell’Europa dell’Est, la maternità e il parto coinvolgono la famiglia allargata e tutte le donne della comunità. Nel paese di emigrazione questi eventi, invece, vengono vissuti in solitudine, come una malattia. Il vissuto malato della maternità e del parto ospedalizzato incidono sulla salute della donna e del bambino, ne sono indice le nascite pretermine con neonati di basso peso (i nati prematuri nelle donne immigrate sono il doppio, circa il 10,76% contro il 4,63% delle italiane) e l'alto numero di parti cesarei. Le migranti vivono durante la gestazione ed il parto un profondo senso di inadeguatezza provocato dalla condizione dell'essere straniera, dalla mancanza della famiglia allargata e dalle difficoltà di comprensione linguistica e culturale con gli operatori dei reparti ostetrici. Questi fattori comportano ad esempio l'interruzione precoce o il non stabilirsi dell'allattamento al seno.
Dall’analisi dei dati del servizio STP del Distretto VI si registra un leggero incremento dei tumori, sia per i maschi che per le femmine, e delle malattie del sistema cardio-circolatorio per i maschi, confermando una tendenza, presente già da qualche anno, al viraggio epidemiologico verso malattie più comuni della società occidentale, da imputare sia all'invecchiamento progressivo della popolazione straniera, sia all'acquisizione di stili e abitudini di vita che portano con sé specifici fattori di rischio. L'elevata frequenza dei ricoveri per traumatismi, imputabili all'elevato numero di incidenti lavorativi, in particolare se si tratta di lavoro nero, e quella delle malattie infettive denotano delle aree di criticità sanitaria specifiche dei cittadini stranieri.
Dall’elaborazione dei questionari somministrati agli utenti bengalesi emerge che la maggior parte frequenta da tempo il servizio STP. Oltre ad essere la conseguenza della selezione di quelli che parlano meglio l’italiano, questo significa da una parte che i clandestini tendono a permanere in questa condizione, dall’altra che gli operatori sanitari sono riusciti ad attuare la presa in carico dell’utente di cultura altra e, in qualche modo, a fidelizzarlo, dando una risposta ai suoi problemi di salute e rappresentando quindi un punto di riferimento efficace.
Al primo accesso alla struttura l’utente si fa spesso accompagnare da un proprio familiare o da un connazionale che già conosce il servizio e ha una maggiore padronanza della lingua italiana.
I maggiori ostacoli incontrati nell’utilizzo dei servizi sono: i problemi di comunicazione (49%), la differenza religiosa (26%) e quella culturale (25%). Confrontando tali risposte con quelle degli infermieri, possiamo constatare come il problema di comunicazione sia avvertito dal 50% degli intervistati, quello culturale dal 27% e quello religioso dal 22,5% (Grafico 1).

Grafico 1 – Difficoltà tra operatori e utenti stranieri

Il problema linguistico è molto sentito sia dagli utenti che dagli infermieri. D’altra parte il non condividere non solo il linguaggio verbale, ma anche quello non verbale, è un grave ostacolo alla comunicazione, sia perché un soggetto è prima visto e poi ascoltato, sia perché gesti ben accetti in una cultura possono non esserlo per altre. Segue il problema di religione: essendo per la maggior parte musulmani, durante il periodo del Ramadan, per esempio, spesso non vengono seguite correttamente le terapie farmacologiche e le raccomandazioni dietetiche. Anche il problema culturale è evidenziato da ambedue i gruppi: l’interazione che nasce dall’incontro operatore-utente non può non tener conto del fatto che la percezione della malattia, come questa viene vissuta ed espressa sotto forma di bisogni sanitari, varia a secondo della cultura di appartenenza.
A questo si aggiunga che gli infermieri ammettono una scarsa competenza nel coinvolgere il paziente e i suoi familiari e nel gestire le criticità. Tuttavia la buona disponibilità verso l’utente di cultura altra da un lato e, dall’altro, il bisogno sanitario urgente del paziente, fanno sì che, di fatto, si riesca ad ottenere la fidelizzazione dell’utente nel 52% dei casi.
Il grafico 2 mette a confronto le soluzioni indicate dagli utenti e dagli infermieri: in primo luogo un punto di ascolto, dotato di personale adeguatamente formato, che effettui una prima analisi della domanda dell’utente straniero e orienti all’utilizzo dei servizi. La figura del mediatore culturale assume un ruolo rilevante sia per gli utenti che per gli infermieri (35%). Anche l’introduzione di un opuscolo in lingua, in mancanza delle precedenti alternative, viene apprezzato dal 10% degli utenti e degli infermieri. Si evidenziano invece delle differenze significative circa l’opportunità di stabilire orari di apertura più flessibili (25% degli utenti e 4% degli infermieri).

Grafico 2 – Possibili soluzioni ai problemi relazionali tra  operatore e immigrato

Discussione
Le differenze culturali si ripercuotono inevitabilmente anche sull’approccio ai problemi di salute: le abitudini sociali, morali e culturali, lo stress relativo alla situazione di immigrato, la povertà, i problemi di adattamento, comportano una serie di malattie che possono essere prevenute e contenute solo con un’efficace integrazione nella realtà sociale che accoglie (Scaroni, 2007). L’obiettivo di una politica di integrazione è quello di dare agli stranieri le informazioni necessarie sul funzionamento e sulle prestazioni del SSN e sulle modalità di accesso. Ci sono però due aspetti molto importanti da considerare nella progettazione di un’assistenza sanitaria efficace: da una parte, la forte connotazione culturale della malattia, della cura, del rapporto con il proprio corpo e della manifestazione agli altri della propria malattia, dall’altra la condizione di illegalità di alcuni stranieri presenti sul nostro territorio ai quali occorre assicurare il diritto fondamentale alla salute (Bachelet, 2009).
Fra gli interventi prioritari per migliorare il servizio offerto all’utente straniero e affrontare più efficacemente le criticità, gli operatori auspicano una maggiore presenza del mediatore culturale per le diverse etnie, fin dal momento dell’accoglienza e in tutte le fasi della prestazione. Non è facile definire la funzione del mediatore culturale: si inserisce come interfaccia fra operatore e utente e proprio dalla triangolarità della comunicazione scaturisce la complessità di questa figura. Obiettivo del mediatore è quello di mettere in relazione due gruppi: la comunità di appartenenza del paziente e la società di accoglienza. Il mediatore deve rispondere contemporaneamente alle aspettative e alle esigenze di comunicazione dell’operatore italiano, incorporando e trasmettendo prescrizioni e indicazioni, e dell’utente, accogliendo e reinterpretando la diversità.
Un'altra azione di miglioramento che viene proposta è la predisposizione di materiale informativo sui percorsi sanitari e sociali nelle diverse lingue, che orientino in particolare le donne all’accesso ai servizi per la maternità e la pianificazione familiare.
Ma il principale aspetto su cui investire per migliorare la qualità del servizio riguarda la formazione degli operatori, sia sulla conoscenza delle diverse culture con cui vengono a contatto, sia sugli aspetti relazionali e comunicativi. Di Girolamo (2008) ipotizza il ruolo di counselor transculturale nella presa in carico di persone di altra etnia, che risente della conoscenza delle norme, dei valori, dei significati della cultura del cliente, per cui è necessario che il professionista d’aiuto abbia una formazione antropologica. La difficoltà a relazionarsi con culture diverse mette spesso a rischio l’efficienza e l’efficacia della prestazione, o perlomeno la percezione che ne ha il cittadino straniero. Conoscere il contesto sociale e culturale dell’immigrato è un impegno deontologico per l’infermiere al fine di una gestione ottimale degli stili di vita dell’assistito. Vi è la necessità di servizi che orientino e aprano un dialogo continuativo con questo tipo di utenza, con l’obiettivo di facilitare l’utilizzo delle strutture pubbliche e fare educazione sanitaria. Per fare questo occorre conoscere la specificità dei bisogni di salute degli immigrati e individuare nuove modalità operative per soddisfare la loro domanda emergente e sommersa (Adani, 2005).
Un’indagine longitudinale piuttosto ampia effettuata dal 1996 al 2002 (Tartaglini et al, 2005) ha mostrato come tra gli operatori sanitari esistano difficoltà e pregiudizi nell’approccio al paziente immigrato, pertanto appare utile una riflessione sul significato di “competenza culturale” in ambito clinico-assistenziale, definita come un insieme di attitudini individuali e abilità comunicative e pratiche che rendono gli operatori capaci di realizzare efficacemente il lavoro di cura incorporando i contenuti culturali degli individui assistiti. Ciò implica la necessità di perseguire nuove strategie educative, incentrate sui valori della pace e della solidarietà, orientate ad abbattere visioni ristrette, pregiudizi e stereotipi. L’esigenza di adattamento della competenza professionale al bisogno relazionale dell’utente straniero, attraverso l’acquisizione di conoscenze mutuate dall’antropologia culturale, dal nursing transculturale e interculturale e dalla psicologia relazionale, associate alla conoscenza di specifici aspetti etico-deontologici e della normativa vigente in materia di immigrazione, è ribadita da Gambera, Marucci e Pezzino (2008), che propongono l’adozione di uno strumento per la rilevazione di tali bisogni formativi del personale infermieristico e la progettazione di un appropriato intervento di educazione continua.

 

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Bibliografia

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