Infermieri: assistenza d’eccellenza, ma con meno organici e meno risorse rischiano anche i pazienti


Denunciamo ormai da tempo che la carenza di personale, i blocchi del turn over e il mancato rinnovo dei contratti sono elementi che contribuiscono a degradare il livello dell’assistenza garantita dal Servizio sanitario nazionale. E a supportare queste posizioni sono arrivati in questo ultimo periodo i risultati di studi ufficiali.

Il primo è il Programma nazionale esiti 2014, presentato dall’Agenas, che conferma  indirettamente, ma inequivocabilmente i timori e gli allarmi che il mondo delle professioni sta ormai lanciando da mesi: migliorano molti indici di mortalità e di efficienza nel 2013 rispetto al 2012 grazie a un’assistenza ancora una volta riconosciuta tra le prime al mondo. Questo però non si riscontra per una serie di interventi che rendono evidente il ricercare cure migliori da parte di nostri concittadini che emigrano in altre Regioni (quasi sempre al Nord), per la carenza di continuità assistenziale ospedale – territorio, per l’effetto “svuotamento” di professionalità dagli ospedali dove gli infermieri sono sempre più in affanno.

Accade così che confrontando ad esempio i dati – mediamente peggiorati a livello nazionale – dei ricoveri per tumore alla mammella, alla prostata, o i dati di mortalità per neoplasie del retto, con i dati della mobilità sanitaria, si rileva che da tutte le Regioni in piano di rientro i pazienti emigrano soprattutto al Nord dove Lombardia ed Emilia Romagna sono le mete più gettonate. Cosa che, fra l'altro, peggiora i dati complessivi di quelle Regioni di eccellenza – comunque ancora molto buoni nonostante tutto – stante che si fanno carico delle forme più gravi e invasive di tali patologie.

Recenti studi in Italia e all’estero, pubblicati proprio dalla nostra rivista, hanno dimostrato che la carenza di personale infermieristico o il sovraccarico di lavoro produce come prima conseguenza un aumento del rischio di mortalità di almeno il 7%. Ossia meno personale più risparmio forse, ma anche meno qualità del servizio e sicurezza dei pazienti e il dato lo dimostra.

Dal Programma nazionale esiti arriva anche un’altra conferma: il territorio che non c’è. E a tal proposito non si può non rilevare che, in una fase di tensione al risparmio, si alza paradossalmente l’asticella dei costi: vengono infatti nuovamente effettuati ricoveri per interventi di tonsillectomia e di stripping di vene che già prima del vecchio Patto per la salute erano considerati "inappropriati".

Accanto ai risultati – allarmanti per l’assistenza – del programma nazionale esiti c’è l’ennesimo rapporto del Crea (Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità dell’Università Tor Vergata di Roma) che indica in dieci anni una riduzione del 10% del numero di infermieri del Ssn (e del 3% di medici) con un abbattimento nel 2012 del costo medio della categoria di -0,16.
Si assiste con meno personale che guadagna sempre meno. 
Il rapporto tuttavia differenzia questi risultati in base alle Regioni ed ecco ancora una volta che la situazione è più grave in quelle con piano di rientro, a conferma che è proprio il personale il vero “bancomat” della spesa sanitaria.

Ed è per questo che occorre ribadire e sostenere la nostra proposta: si aggrediscano le duplicazioni esistenti di centri decisionali, di funzioni e strutture che non danno risposte ai veri bisogni dei cittadini e che assorbono risorse impropriamente e penalizzano l’equità di accesso alle cure. Queste, oltre agli altri sprechi, sono le cose su cui le Regioni devono coraggiosamente intervenire per ottenere veri e duraturi risparmi, non riducendo il numero dei professionisti dedicati alla cura e all'assistenza, mettendo così a rischio (i dati parlano chiaro) oltre alla tenuta del sistema anche la salute dei pazienti.

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