Benessere professionale dell’infermiere e sicurezza delle cure in epoca pandemica

ISSN: ISSN 2038-0712 – L’Infermiere 2023, 60:4, e164– e177 - DOI: 10.57659/SSI.2023.014

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Riassunto

Introduzione
La crisi finanziaria del 2008 e la pandemia da Covid-19 hanno influenzato negativamente la qualità degli ambienti di cura impattando sul benessere degli infermieri, sui risultati dei pazienti e sulla loro soddisfazione.

Obiettivi
Indagare il benessere professionale degli infermieri, descrivere la prevalenza dei livelli di personale e la qualità degli ambienti di lavoro nelle strutture ospedaliere di ricovero.

Materiali e metodi
Questo studio osservazionale trasversale multicentrico coinvolge 3209 infermieri afferenti ai reparti di degenza di 38 Presidi Ospedalieri. Una survey online appositamente sviluppata indagava le principali variabili che impattano sul benessere degli infermieri e la sicurezza delle cure.

Risultati
Il 47.3% degli infermieri si sentiva stressato dal proprio lavoro e privo di energia. Nel 40.2% degli infermieri si evidenziava un esaurimento emotivo elevato. L’esposizione a pazienti COVID-19 determinava un elevato livello di stress nel 46.4% degli infermieri. Il 38.3% riferiva insoddisfazione lavorativa a causa dello stipendio (77.9%) e della mancanza di opportunità di avanzamento professionale (65.2%). Il 43.4% descriveva il proprio ambiente di lavoro come frenetico e caotico. Solamente il 3.2% percepiva come “eccellente” la sicurezza del paziente nel proprio ospedale e la carenza di personale era il motivo prevalente delle cure mancate (50%). Indipendentemente dal turno di lavoro, ogni infermiere assisteva mediamente 8.1 pazienti.

Discussione e conclusioni
La pandemia ha evidenziato problemi preesistenti nell’assistenza sanitaria che inducono esaurimento emotivo negli infermieri, compromettendo la sicurezza e la qualità dell’assistenza. È necessario un impegno politico e manageriale urgente per migliorare la soddisfazione e garantire un’assistenza sanitaria sicura e di qualità.

Parole chiave: Infermieri ospedalieri, burnout professionale, soddisfazione lavorativa, condizioni di lavoro, valutazione dell’esito del paziente.

Nurses’ professional well-being and safety of care in the pandemic era
ABSTRACT

Introduction
The 2008 financial crisis and the Covid-19 pandemic negatively affected the quality of care environments by impacting on nurses’ well-being, patient outcomes and patient satisfaction.

Objectives
Investigate nurses’ professional wellbeing, describe the prevalence of staffing levels and the quality of working environments in inpatient hospital settings.

Materials and methods
This multicentre cross-sectional observational study involved 3209 nurses attached to the inpatient wards of 38 hospital wards. A specially developed online survey investigated the main variables impacting on nurses’ well-being and safety of care.

Results
47.3% of the nurses felt stressed by their work and lacking energy. High emotional exhaustion was evident in 40.2% of the nurses. Exposure to COVID-19 patients resulted in a high level of stress in 46.4% of the nurses. 38.3% reported job dissatisfaction due to salary (77.9%) and lack of opportunities for professional advancement (65.2%). 43.4% described their working environment as hectic and chaotic. Only 3.2% perceived patient safety in their hospital as ‘excellent’ and staff shortages were the predominant reason for missed care (50%). Regardless of shift, each nurse cared for an average of 8.1 patients.

Discussion and conclusions
The pandemic has highlighted pre-existing problems in healthcare that induce emotional exhaustion in nurses, compromising safety and quality of care. Urgent political and managerial commitment is needed to improve satisfaction and ensure safe and quality healthcare.

Key words: Hospital nurses, professional burnout, job satisfaction, working conditions, patient outcome assessment.


INTRODUZIONE
Offrire cure sanitarie sicure, di alta qualità e di valore elevato, incentrate sul paziente, richiede una forza lavoro clinica altamente efficiente.
Tuttavia, i dirigenti del settore sanitario stanno sempre più prendendo consapevolezza del fatto che lo stress lavorativo sta compromettendo il benessere dei clinici, elemento essenziale per stabilire un’alleanza terapeutica efficace con i pazienti e le loro famiglie (National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine; National Academy of Medicine; Committee on Systems Approaches to Improve Patient Care by Supporting Clinician Well-Being, 2019).
Nel 2008, i governi, per affrontare la crisi finanziaria globale, hanno ridotto la spesa sanitaria (Stuckler et al., 2017) e ciò ha determinato un razionamento delle risorse sanitarie con conseguente aumento del workload, lo sviluppo di un ambiente di lavoro non favorevole e, come diretta conseguenza, risultati negativi per i pazienti (quali tassi di mortalità e riammissione più elevati, complicazioni e degenza ospedaliera più lunga) e la loro insoddisfazione riguardo all’assistenza ricevuta (Sasso et al., 2017; Aiken et al., 2014; Lasater et al., 2021).
Il benessere dei professionisti sanitari impatta sulla qualità e sicurezza delle cure che vengono erogate ai pazienti ed è strettamente correlato alla soddisfazione lavorativa degli operatori stessi, all’intenzione di abbandonare il lavoro, al burnout, ai livelli di staffing ed alla qualità dell’ambiente di lavoro. Sono diversi, infatti, gli studi che dimostrano come un alto livello di benessere degli operatori sia associato a una maggiore soddisfazione lavorativa, a un minore rischio di burnout, a una riduzione dell’assenteismo, a una miglior qualità delle cure fornite e, di conseguenza, ad una maggiore sicurezza del paziente (Halter et al., 2017; Havaei, MacPhee & Dahinten, 2019).
Il burnout, l’insoddisfazione lavorativa e l’intenzione di cambiare sede lavorativa, o addirittura lasciare la professione, tra il personale sanitario sono, nel corso del tempo, progressivamente aumentanti andando a intaccare il benessere professionale degli operatori (Sasso et al., 2017; Aiken et al. 2008; Aiken et al., 2017; Lasater et al., 2020) e minacciando la qualità dell’assistenza (Aiken et al., 2008; Aiken et al., 2017; Lasater et al., 2020). La soddisfazione lavorativa del professionista sanitario è cruciale per la qualità delle cure, sicurezza e produttività, la fidelizzazione dei pazienti e la riduzione degli errori medici (Shanafelt et al., 2015; Shanafelt et al., 2016) e correla negativamente con l’assenteismo, il turnover e la sindrome da burnout (Shanafelt et al., 2015).
Già vent’anni fa, l’Institute of Medicine (IOM) sollecitò l’attenzione sul problema della sicurezza del paziente e sulla qualità generale delle cure sanitarie, ma ancora oggi, il National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, indica come il burnout nelle sue tre dimensioni (esaurimento emotivo, depersonalizzazione, perdita di efficacia professionale), rappresenti una minaccia per la qualità dell’assistenza sanitaria (National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine; National Academy of Medicine; Committee on Systems Approaches to Improve Patient Care by Supporting Clinician Well-Being, 2019).
E’ importante sottolineare però che il burnout, l’insoddisfazione lavorativa e il desiderio di cambiare posto di lavoro molto spesso rappresentano le conseguenze di una carenza nei livelli di staffing (cioè il numero di pazienti per infermiere) e di un ambiente di lavorativo negativo (Aiken et al, 2008; Aiken et al., 2017; Lasater et al., 2020).
Il personale infermieristico varia tra gli ospedali di ogni paese (Aiken et al., 2017). Kane et al. (2007) hanno dimostrato che un aumento del personale infermieristico riduce la mortalità nelle unità mediche, chirurgiche e di terapia intensiva. Ulteriori studi confermano che più ore di assistenza infermieristica sono correlate a risultati migliori (Twigg et al., 2019). Tuttavia, un nurse-to-patient ratio più alto è associato a livelli più elevati di burnout e insoddisfazione tra gli infermieri (Shin et al., 2018).
In Europa, il personale infermieristico varia da 3.4 a 17.9 pazienti per infermiere. Aiken et al. indicano che ogni paziente aggiuntivo per infermiere è associato a un aumento del 7% della mortalità a 30 giorni in ospedale (Aiken et al., 2014). Nel 2016, il Queensland ha introdotto rapporti minimi infermiere-paziente con benefici evidenti: riduzioni della mortalità, delle riammissioni e della durata del ricovero. I costi risparmiati superano il doppio del costo aggiuntivo per il personale infermieristico (McHugh et al., 2021). Lo studio italiano RN4CAST@IT del 2015 ha rilevato che negli ospedali italiani l’organico medio era di 9.5 pazienti per infermiere, determinando un rischio maggiore di mortalità del 21% rispetto ai contesti ospedalieri in cui ogni singolo infermiere assiste 6 pazienti. Il 36% degli infermieri desiderava cambiare ospedale a causa dell’insoddisfazione sul lavoro (Sasso et al., 2019).
Negli Stati Uniti, appena prima della pandemia COVID-19, il rapporto paziente-infermiere variava da 3.3 a 9.7 e vi erano alti tassi di insoddisfazione lavorativa, burnout e intenzione di cambiare sede lavorativa tra gli infermieri (Lasater et al., 2020). Questi risultati indicano che i governi poco considerano i risultati degli studi sul personale e sull’ambiente di lavoro, fattori che hanno dimostrato il loro impatto sulla qualità dell’assistenza e sulla sicurezza per i pazienti e gli infermieri.
Il report più recente della National Academy of Medicine, Taking Action Against Clinician Burnout: A Systems Approach to Professional Well-Being (National Academies of Sciences, Engineering, National Academy of Medicine, & Committee on Systems Approaches to Improve Patient Care by Supporting Clinician Well-Being, 2019), ha sottolineato che la chiave per affrontare il burnout clinico è lo sviluppo di un ambiente di lavoro positivo. Il report ha evidenziato che i clinici devono ancora affrontare carichi di lavoro eccessivi, calo dell’autonomia, cattiva gestione, sistemi di documentazione elettronica mal implementati, guasti sistemici che richiedono soluzioni alternative ed eccessiva burocrazia.
Durante la pandemia di SARS-CoV-2, gli operatori sanitari delle unità di primo intervento hanno affrontato un notevole stress. Gli infermieri, in particolare, hanno sperimentato un carico psicologico senza precedenti dovuto all’uso di DPI per l’assistenza diretta ai pazienti COVID-19, alla flessibilità organizzativa richiesta per la riallocazione, all’aumento del carico di lavoro e all’alto tasso di mortalità dei propri assistiti (Jun et al., 2020; Bambi et al., 2020). Analogamente all’epidemia di SARS nel 2003, la pandemia COVID-19 ha minacciato la salute globale, mettendo gli operatori sanitari a rischio di sintomi di salute mentale (Kang & Shin, 2020; Lai et al., 2020; Naser et al., 2020; Rajkumar, 2020; Spoorthy, 2020). Dati trasversali hanno portato alla luce un aumento di ansia tra gli operatori sanitari, potenzialmente legato non solo alle condizioni di lavoro, ma anche all’isolamento familiare (Hu et al., 2020), con il personale infermieristico tra i più colpiti, specialmente nelle unità operative con pazienti COVID-19 (Hu et al., 2020).
Alla luce di ciò, occuparsi del benessere degli operatori sanitari è un impegno politico e organizzativo che non può più essere rimandato e questo studio si propone di fornire una chiara e precisa connotazione e attualizzazione del fenomeno nel contesto ospedaliero italiano perché strategie efficaci possano essere messe in campo. Alle organizzazioni sanitarie, che hanno un ruolo chiave nella promozione di una cultura della salute, della prevenzione e della promozione del benessere degli operatori, è richiesto, quindi, un coinvolgimento attivo finalizzato ad implementare interventi strategici mirati al raggiungimento non solo del benessere degli operatori, ma anche della soddisfazione del paziente (Huang, Lei & Wang, 2019).
Perseguire il benessere professionale è oggi un passaggio obbligato per contrastare l’intention to leave che sta colpendo le professioni sanitarie e favorire recruitment e retention (reclutare e trattenere i professionisti) (Ulupınar & Erden, 2022; Sasso et al., 2019).

OBIETTIVI
Descrivere il benessere professionale dell’infermiere e la sicurezza delle cure indagando la prevalenza dei livelli di staffing (rapporto infermiere-pazienti) e la qualità dell’ambiente di lavoro in tutte le strutture semplici/complesse di degenza ospedaliera in cui viene erogata assistenza infermieristica diretta.

MATERIALI E METODI
Disegno di studio
Questo è uno studio osservazionale trasversale multicentrico. I dati presentati in questo articolo si riferiscono alla sola popolazione infermieristica. Lo studio era più ampio e indagava inoltre il benessere dei medici e la soddisfazione dei pazienti per le cure e l’assistenza ricevute i cui dati saranno presentati in successive pubblicazioni.

Partecipanti

La popolazione target per questo studio sono gli infermieri che lavorano in strutture semplici/complesse di degenza incluso il pronto soccorso di ospedali italiani.

Criteri di inclusione
– Infermieri coinvolti nell’assistenza clinica.
– Lavorare in Strutture semplici/complesse di degenza incluso il pronto soccorso di ospedali italiani e assistere i pazienti adulti ricoverati in area medica e chirurgica, incluse aree mediche o chirurgiche specialistiche e di area critica (ad esempio, terapia intensiva e pronto soccorso) presso l’ospedale partecipante.

Criteri di esclusione
– Non sono stati previsti criteri di esclusione relativi all’età, al sesso, all’etnia e alla razza o allo stato socioeconomico. Nessuna restrizione all’arruolamento in base allo stato fertile e alla gravidanza e/o ad altre caratteristiche degli infermieri.
– Infermieri che prestano servizio presso day hospital, day surgery piastre ambulatoriali, hospice e cure palliative, terapia intensiva neonatale, terapia intensiva pediatrica e pediatria, sala operatoria dell’ospedale partecipante.
La partecipazione allo studio della struttura ospedaliera come Centro Partecipante era subordinata all’accettazione della lettera di presentazione dello studio da parte del Direttore Generale dell’ospedale. Trentotto Ospedali italiani sono stati arruolati nello studio. Ciascun Centro Partecipante ha designato un Principal Investigator, nella figura professionale di infermiere, che si è occupato di identificare gli infermieri e i medici che hanno partecipato allo studio, e di fornire loro via e-mail, attraverso il coinvolgimento dei Coordinatori Infermieristici, il collegamento web del questionario elettronico predisposto dal Team di Ricerca dell’Università di Genova.

Raccolta dati
Agli infermieri è stata richiesta la compilazione di un questionario online composta di 59 domande che, dopo una sezione mirata all’acquisizione dei principali dati demografici, proseguiva esplorando alcune variabili correlate al benessere professionale. In particolare, i) Benessere e Burnout; ii) Intention to leave (intenzione a lasciare l’ospedale); iii) Job satisfaction (soddisfazione lavorativa); iv) Qualità del sonno; v) Ansia e Depressione; vi) Equilibrio tra lavoro e vita privata; vii) Caratteristiche dell’ambiente di lavoro; viii) Staffing e Workload (rapporto infermiere-pazienti e carico di lavoro); ix) Qualità e sicurezza delle cure; x) Cure mancate. La survey è stata costruita utilizzando items di strumenti validati per indagare le variabili di nostro interesse. Più specificatamente è stata utilizzata la sottoscala Emotional Exhaustion (esaurimento emotivo) del Maslach Burnout Inventory (9 items) (Maslach, & Jackson, 1986) per investigare il burnout, la Utrecht Work Engagement Scale (3-domande) (Schaufeli et al., 2017) per indagare il coinvolgimento lavorativo, il PHQ-2 (2-domande) (Arroll et al., 2010) per indagare la variabile depressione e la GAD-2 (2-domande) (Kroenke et al., 2007) per la variabile ansia.
Lo strumento PES -NWI, nella sua versione validata in lingua italiana (Zanini et al., 2022) è stato utilizzato, invece, per valutare la qualità degli ambienti di lavoro mentre le cure mancate sono state investigate utilizzando il MISSCARE Survey (13-domande) (Sist et al., 2017; Kalisch & Williams, 2009). Con il Pittsburgh Sleep Quality Index (1 item) si è investigata la qualità del sonno (Buysse et al., 1989), mentre una valutazione complessiva dello stato di salute è stata fornita dallo strumento SF-8 (1-domanda) (Ware et al., 2001).
Altri studi pubblicati in letteratura scientifica, sono stati presi a riferimento per formulare gli items utili ad indagare le altre variabili in studio, quali la sicurezza del paziente e la qualità delle cure erogate (Aiken et al., 2018, Sloane, 2018), i livelli di staffing ed il workload infermieristico (Aiken et al, 2002) e medico (Shanafelt et al., 2012; Shanafelt et al., 2016).
La compilazione richiedeva circa 20 minuti.
La raccolta dati è avvenuta nel periodo compreso tra giugno 2022 e luglio 2023.

Analisi dei dati
L’analisi dei dati è stata condotta utilizzando il software statistico Jamovi (Version 2.3.21) (The jamovi project (2022). jamovi. (Version 2.3) [Computer Software]. Retrieved from https://www.jamovi.org.).
L’analisi dei dati ha previsto l’utilizzo di una statistica descrittiva. Le variabili quantitative sono state sintetizzate con indici di centralità e relativi indici di dispersione, mentre le variabili qualitative sono state sintetizzate con frequenza assoluta e relativa.

RISULTATI
Il campione si componeva di N=3209 infermieri ospedalieri che esercitavano la loro professione in reparti di degenza; il 58.6 % (n=1879) nel nord Italia (Liguria, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna), il 27.1 % (n=871) nel Centro Italia (Lazio, Toscana, Umbria), mentre il 14.4% (n=459) in Sud Italia ed isole (Calabria, Puglia, Sardegna) (Tabella 1).
Nel dettaglio il 48.1% (n=1544) dei rispondenti prestava servizio in area medica, il 27.2% (n=872) in area chirurgica, il 21.8% (n=700) in area critica, l’ 1.9% (n=61) in area materno infantile ed infine, l’1% (n=32) in area mista medico-chirurgica. (Tabella 1).
L’età media degli infermieri era 42.1 anni ±11.3, il campione era in prevalenza costituito da femmine 73% (n=1932) e da professionisti infermieri in possesso della laurea triennale 59.2% (n=1568). L’anzianità media di esperienza lavorativa era pari a 17.2 anni ±11.2 (Tabella 2).

Tabella 1 – Aree di riferimento geografico e clinico.

Benessere e burnout
Il 59% (n=1657) dei rispondenti si sentiva molto stressato a causa del proprio lavoro ed il 36% (n=1009) sentiva di non avere il controllo sul proprio carico di lavoro.
Da più di un terzo (40.2%; n=562) dei rispondenti alle domande del Maslach Burnout Inventory emergeva un livello elevato di esaurimento emotivo: principale indicatore di burnout.
Inoltre, dalle domande che indagavano la percezione del proprio benessere professionale emergeva che il 47.3% (n=1328) degli infermieri si sentiva stressato dal proprio lavoro e privo di energia, sebbene riferisse di non sentirsi in burnout.
Il 38.2% (n=533) del campione ha asserito di sentirsi emotivamente sfinito dal proprio lavoro una o più volte a settimana. Il 54.3% (n=378) degli infermieri di area medica ha asserito di sentirsi sfinito alla fine di una giornata lavorativa una volta a settimana o più, così come il 49% (n=192) degli infermieri di area chirurgica, il 42.7% (n=118) degli infermieri di area critica e il 68% (n= 17) degli infermieri di area materno-infantile.
Il 44.8% (n=625) del campione riferiva di provare una volta a settimana o più, stanchezza al risveglio prima di affrontare un’altra giornata di lavoro.
Il 43.6% (n=1397) degli infermieri percepiva la presenza di burnout in alcuni colleghi, il 36.2% (n=1162) in molti.
Tra le possibili azioni importanti da mettere in campo per ridurre il burnout e migliorare il benessere degli operatori sanitari, i rispondenti indicavano l’aumento dei livelli di organico infermieristico (98.8%, n=2663), permettere agli operatori sanitari di lavorare al massimo delle loro competenze professionali (98.9%, n=2612), migliorare la comunicazione del team (98.6%, n=2655).
Rispetto al COVID-19, l’esposizione o la potenziale esposizione a pazienti COVID-19 determinava tra gli infermieri un elevato livello di stress in circa la metà dei rispondenti (46.4%; n=1406). In particolare, poco più di un quinto degli infermieri che aveva assistito nell’ultimo mese pazienti COVID-19 riferiva costante stato di allerta, cautela e/o spavento (21.7%; n=665) (Tabella 2).

Soddisfazione lavorativa e intenzione a lasciare l’ospedale
Poco più di un terzo degli infermieri rispondenti (38.3%; n=1229) riferivano insoddisfazione verso il loro attuale lavoro. I principali motivi di insoddisfazione riferiti dagli infermieri erano: lo stipendio (77.9%; n=2498); la mancanza di opportunità di avanzamento professionale (65.2%; n=2088) e il rimborso spese per la formazione professionale (66.8%; n=2137).
Alla domanda sulla possibilità di lasciare entro il prossimo anno l’impiego nell’ospedale a causa dell’insoddisfazione lavorativa, poco meno della metà degli infermieri rispondeva in modo affermativo (45.2%; n=1449) (Tabella 2).

Qualità del sonno e valutazione complessiva dello stato di salute
Con riferimento alla valutazione della qualità del sonno in generale, poco meno della metà dei rispondenti percepiva come scarsa o molto scarsa la propria qualità del sonno (46.5%; n=1409). Alla richiesta di valutare complessivamente il proprio stato di salute il 39.3% (n=1192) dei rispondenti asseriva di godere di un discreto stato di salute, il 16.4% (n=496) di uno stato di salute scarso/molto scarso (Tabella 2).

Ansia e Depressione
Per quanto riguarda i disturbi d’ansia generalizzata che determina costante allerta con significativa riduzione della qualità di vita, l’indagine rilevava come un quarto degli infermieri rispondenti (26.9%; n=814) fosse a rischio di ansia (GAD-2 score: ≥3) e circa un quinto (23%; n=700) a rischio di depressione (PHQ-2 score: ≥3). Più nello specifico, per quanto concerne il disturbo d’ansia generalizzata, il 52.4% (n=1588) degli infermieri, nel corso delle 2 settimane precedenti alla compilazione della survey, aveva provato sensazioni di nervosismo, e/o ansia, e/o sentirsi al limite delle proprie possibilità per alcuni giorni, e analogamente, il 44.5% (n=1349) riferiva difficoltà a fermare o controllare le proprie preoccupazioni.
Per quanto riguarda, invece il rischio di depressione, il 53.9% (n=1555) degli infermieri, nel corso delle 2 settimane precedenti alla compilazione della survey, aveva provato, alcuni giorni, poco interesse e/o piacere nel fare le cose, così come il 47.8% (n=1449) si sentiva giù di morale, e/o depresso, e/o inutile (Tabella 2).

Equilibrio tra lavoro e vita privata
Il 45.4% (n= 1457) dei rispondenti riteneva il lavoro non lasciasse abbastanza tempo per la propria vita personale e famigliare (Tabella 2).

Caratteristiche dell’ambiente di lavoro
Solo il 4.4% (n=123) valutava come eccellente la qualità complessiva del proprio ambiente di lavoro. Poco più di due quinti dei rispondenti (43.4%; n=1218) descriveva l’ambiente di lavoro della propria unità operativa come frenetico e caotico. Dall’indagine emergevano ulteriori aspetti critici riferiti all’ambiente di lavoro; in particolare, la maggior parte degli infermieri rispondenti indicava di sentirsi escluso dalla governance aziendale (65.6%; n=1842) e il disinteresse della direzione alle proprie preoccupazioni (79.2%; n=2194).
I presupposti per un’assistenza di qualità erano indicati come mancanti da circa la metà degli infermieri. Più in dettaglio, il 45.5% (n=1278) evidenziava la mancata applicazione della filosofia di cura centrata sulla persona, mentre l’assenza di un numero sufficiente di infermieri per offrire assistenza di qualità al paziente era riportato dal 69.4% degli infermieri (n=1948). Il 26.4% (n=741) riconosceva l’assenza di un buon rapporto di lavoro tra medici e infermieri e il 39.1% (n=1098) la mancanza di rispetto dei medici verso la professionalità degli infermieri.
Il 58.4 % (n=1640) degli infermieri rispondenti riteneva che i propri valori professionali non fossero allineati con quelli della direzione e il 25.7% (n=720) che il team clinico di cui era parte non lavorasse in modo efficiente (Tabella 2).
Il 40.8% (n=1307) non raccomanderebbe a colleghi il proprio ospedale come un buon posto dove lavorare.

Rapporto infermiere-pazienti e carico di lavoro
Il dato complessivo sullo staffing per l’area medica e chirurgica era complessivamente pari a 8.1 [3.50-15.56] pazienti per singolo infermiere. Il range interquartile è ricompreso tra 6.8 e 8.7 (Tabella 2 e Grafico 1). Gli infermieri lavoravamo mediamente 36.9±4.33 ore in una settimana.


Grafico 1 – Livelli di Staffing per Presidio Ospedaliero.

Qualità e sicurezza delle cure
Complessivamente la sicurezza del paziente in ospedale era percepita come “eccellente” solo dal 3.2% (n=91) degli infermieri rispondenti.
Il 59% (n=1655) dei rispondenti riferiva di discutere, con il team, strategie per evitare che gli errori si ripetessero, ma il 45.1% (n=1267) riteneva che i propri errori fossero usati contro di loro. Solamente il 27.7% (n=777) dei rispondenti asseriva che le azioni della direzione dimostrassero che la sicurezza del paziente fosse la massima priorità. Dal 36.2% (n=1014) delle risposte emergeva che le informazioni importanti sulla cura del paziente erano spesso perse durante i cambi di turno (Tabella 2). Il 33.7% (n=944) degli infermieri rispondenti non consiglierebbe il proprio ospedale a parenti e/o amici se avessero bisogno di cure ospedaliere.

Cure mancate
Il motivo prevalente che determinava cure mancate o ritardate era il personale insufficiente (50%; n=1404). Le principali 5 cure mancate erano la mobilizzazione del paziente (51.6%; 645); lo sviluppo/aggiornamento dei piani assistenziali (51.4%; n=643); educazione al paziente/famiglia (50.6%; n=634); igiene orale (50.2%; n=629); confort per il paziente (49%; n=614)(Grafico 2). Le missed care si verificano prevalentemente al mattino (Grafico 3). In base al turno è stato possibile individuare quali erano le cure mancate più frequenti: al mattino lo sviluppo o aggiornamento dei piani di cura infermieristici/percorsi di cura è stato mediamente disatteso nel 20.3% delle volte (n=251), la frequente mobilizzazione del paziente allettato è mancata nel 19.7% dei casi (n=243), così come l’informazione ed educazione sanitaria a pazienti e famigliari nel 19.7% delle volte (n=240) è venuta meno. Durante il turno pomeridiano si tende invece a tralasciare l’igiene orale (14.1%, n=174), la frequente mobilizzazione del paziente allettato (13.4%, n=165) e lo sviluppo o aggiornamento dei piani di cura infermieristici/percorsi di cura (13.2%, n=163). La frequente mobilizzazione del paziente allettato (17%, n=210) e l’igiene orale (16.2%, n=200) sono le attività che durante la notte vengono prevalentemente tralasciate. Come si evince dal Grafico 3, il turno di giornata di 12 ore evidenziava una minore frequenza nel verificarsi di missed care.

Tabella 2 – Variabili considerate nello studio.


Grafico 2 – Missed Care.


Grafico 3 – Missed Care e turni di lavoro.

DISCUSSIONE
Prima della pandemia di COVID-19, le condizioni di lavoro degli infermieri negli ospedali erano estremamente difficili. Secondo uno studio condotto da French et al. (2022), un’alta percentuale di infermieri ospedalieri si sentiva esausta, insoddisfatta del proprio lavoro e aveva intenzione di abbandonare la professione entro un anno. Inoltre, gli stessi infermieri valutavano negativamente la sicurezza dei pazienti e la qualità dell’assistenza all’interno di tali contesti.
In Italia, lo studio RN4CAST, condotto nel 2015 da Sasso et al. (2016), analizzava l’assistenza infermieristica, la qualità e la sicurezza delle cure negli ospedali italiani prima della pandemia da Covid-19. Questo studio evidenziava diverse criticità, tra cui la carenza di personale, l’omissione di cure necessarie e problemi legati alla qualità e alla sicurezza delle cure, oltre a elevati livelli di burnout e di intenzione a lasciare l’ospedale presso il quale lavoravano gli infermieri rispondenti.
Successivamente all’indagine RN4CAST, altri studi internazionali si sono concentrati sull’impatto fisico ed emotivo della pandemia sugli operatori sanitari (Al Maqbali et al., 2021; Ruiz-Fernandez et al., 2020; Lake et al., 2021) e hanno descritto dettagliatamente le sfide affrontate dalla professione durante la pandemia (Denny-Brown et al., 2020; Behrens & Naylor, 2020).
Già prima della pandemia, era evidente un aumento dell’intenzione di abbandonare la professione tra un’importante percentuale di infermieri. Uno studio condotto da Sasso et al. (2019) ha rivelato che il 35.5% degli infermieri desiderava lasciare il proprio lavoro, e di questi, il 33.1% intendeva abbandonare la professione infermieristica. I fattori favorenti erano stati identificati nella carenza di personale, l’esaurimento emotivo, la scarsa sicurezza dei pazienti, la fornitura di cure non infermieristiche e il fatto di essere di sesso maschile.
L’evento pandemico ha reso ancora più significativo e preoccupante questo fenomeno: attualmente, quasi la metà degli infermieri (42.4%) lascerebbe entro un anno il lavoro nell’ospedale in cui lavora a causa dell’insoddisfazione lavorativa. Le principali cause di insoddisfazione sono l’inadeguatezza dello stipendio e la mancanza di opportunità di avanzamento professionale. L’insoddisfazione lavorativa è un problema che colpisce oltre un terzo degli infermieri (35.9%).
L’adeguatezza dei livelli di personale infermieristico, che influisce sul carico di lavoro e sulla possibilità di fornire cure sicure e di qualità, è un fattore determinante per la soddisfazione professionale degli infermieri. Rappresenta, inoltre, una condizione essenziale per contrastare il fenomeno delle cure non prestate che minacciano la sicurezza dei pazienti. Un rapporto elevato tra pazienti e infermieri è associato a un maggior numero di cure non prestate negli ospedali (Ball et al., 2018) e a risultati peggiori sia per i pazienti che per gli infermieri stessi (Aiken et al., 2002; Aiken et al., 2011; Aiken et al., 2018; Carthon et al., 2021; Lasater et al., 2020).
Come facilmente intuibile, le cure mancate, intese come qualsiasi aspetto dell’assistenza richiesta al paziente che viene omesso o ritardato, sono strettamente correlate alla sicurezza dei pazienti e alla qualità dell’assistenza. Questo problema è stato identificato, inoltre come un fattore che impatta sulla relazione tra il personale infermieristico e gli esiti per i pazienti. Le probabilità che l’assistenza non venga prestata sono dimezzate quando gli infermieri assistono sei pazienti anziché dieci (Ball et al., 2016).
Nello studio RN4CAST italiano, le attività di assistenza al paziente maggiormente non prestate (con una media del 41%) includevano l’igiene orale, il cambio frequente della posizione del paziente, il comfort e la comunicazione con il paziente, l’educazione del paziente e della famiglia, lo sviluppo o l’aggiornamento del piano di assistenza, la sorveglianza adeguata del paziente e la pianificazione dell’assistenza.
In epoca pandemica, il fenomeno delle cure non prestate persiste ed è attribuito principalmente alla carenza di personale infermieristico (49.2% dei casi). Questo si riflette nella mancata pianificazione o aggiornamento dei piani assistenziali (52.2%), nella mancata mobilizzazione del paziente (52.1%), nella mancata educazione al paziente e alla famiglia (51.9%), nell’igiene orale non effettuata (51.6%) e nella mancanza di azioni mirate per garantire il comfort del paziente (49%).
Gli infermieri italiani tendono, quindi, a trascurare principalmente le attività relazionali, comunicative, educative e di pianificazione, che invece sono elementi distintivi della professione infermieristica.
Tutti questi aspetti, principalmente derivati dalla carenza di personale infermieristico, creano un terreno fertile per lo sviluppo della sindrome del burnout. Questo si manifesta attraverso sentimenti di grande stress legati al lavoro e al senso di mancanza di controllo sul carico di lavoro. Più di un terzo degli infermieri italiani presenta un elevato esaurimento emotivo, che è un indicatore principale del burnout (Naldi et al., 2021; Sasso et al., 2017).
L’ultimo rapporto della National Academy of Medicine intitolato “Taking Action Against Clinician Burnout: A Systems Approach to Professional Well-Being” (National Academies of Sciences, Engineering, National Academy of Medicine, & Committee on Systems Approaches to Improve Patient Care by Supporting Clinician Well-Being, 2019) ha concluso che la chiave per affrontare il burnout clinico è lo sviluppo di un buon ambiente di lavoro. Il rapporto evidenzia che i clinici continuano ad affrontare carichi di lavoro eccessivi, calo dell’autonomia, cattiva gestione, sistemi di documentazione elettronica mal implementati, guasti sistemici che richiedono soluzioni alternative ed eccessiva burocrazia.
Negli ospedali italiani, gli ambienti di lavoro infermieristico sono frequentemente caratterizzati da frenesia e caos; gli infermieri sono spesso esclusi dalla governance aziendale, e gli organi direzionali sembrano disinteressarsi alle loro preoccupazioni. Questi ambienti mancano spesso dei requisiti necessari per offrire un’assistenza di qualità, come l’applicazione della filosofia di cura centrata sulla persona, la presenza di un numero sufficiente di infermieri per garantire un’assistenza di qualità, un buon rapporto di lavoro tra medici e infermieri e il rispetto della professionalità degli infermieri.

Limiti dello studio
Il nostro studio presenta alcune limitazioni da considerare. Innanzitutto, gli ospedali partecipanti non sono stati scelti in modo casuale, e la partecipazione volontaria degli infermieri introduce il rischio che il campione potrebbe non rappresentare accuratamente l’intera popolazione. Inoltre, il campione era in maggioranza costituito da rispondenti del nord Italia limitando la possibilità di generalizzare i risultati. Il numero elevato di domande del questionario potrebbe aver influito negativamente sulla partecipazione dei soggetti allo studio.
Inoltre, va notato che il sistema elettronico utilizzato per raccogliere i dati non ci ha permesso di identificare singoli rispondenti, il che significa che potrebbe esserci stata la possibilità che la stessa persona abbia compilato il sondaggio più volte.
Nella valutazione della qualità delle cure e della sicurezza dei pazienti, c’è da considerare che essi sono dipesi dai resoconti degli infermieri e dei pazienti anziché valutati utilizzando misure oggettive da fonti indipendenti.
Sebbene la variabile intention to leave sia stata valutata con una singola domanda, secondo Aiken et al. (2012), questa variabile può essere considerata un indicatore affidabile del turnover effettivo.
Per quanto riguarda le cure mancate, dato che si basava su un’autovalutazione degli infermieri, potrebbe avere determinato il rischio di sovra o sottovalutazione delle cure mancate. Tuttavia, è importante notare che questo strumento di valutazione delle cure mancate è validato e ampiamente utilizzato a livello internazionale, permettendo una comprensione strutturata del fenomeno cure mancate.

CONCLUSIONI
Grazie a questo studio e al confronto con studi condotti in epoca pre-pandemica, è possibile valutare l’impatto che la pandemia di COVID-19 ha avuto sulle condizioni di lavoro degli infermieri, sugli esiti professionali, sulla sicurezza dei pazienti e sulla qualità dell’assistenza. Questa valutazione evidenzia l’ampia portata delle azioni politiche necessarie per affrontare questi problemi di lunga data nel settore sanitario. La pandemia di COVID-19 ha evidenziato problematiche di lunga data che minacciano la qualità e la sicurezza dell’assistenza sanitaria a livello globale. I risultati di vari studi hanno dimostrato che gli infermieri negli ospedali italiani hanno riportato condizioni di lavoro precarie, un alto tasso di esaurimento emotivo e una scarsa sicurezza dei pazienti e qualità dell’assistenza già presenti nel periodo pre-pandemico, ma ulteriormente aggravate dalla pandemia di COVID-19. Questi risultati evidenziano criticità presenti nel nostro sistema sanitario che richiedono azioni mirate. Affrontare i problemi nell’ambito dell’assistenza sanitaria richiede un impegno sia politico che manageriale. È necessario adottare interventi urgenti negli ambienti di cura al fine di trattenere il personale e migliorare la soddisfazione professionale. Questa è una condizione fondamentale per garantire un’assistenza sicura, efficace e di alta qualità, contribuendo così al successo complessivo del sistema sanitario.

Conflitto di interessi
Tutti gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi. Tutti gli autori dichiarano di aver contribuito alla realizzazione del manoscritto e ne approvano la pubblicazione.

Finanziamenti
Lo studio è stato co-finanziato dalla Federazione Nazionale degli Ordini degli Infermieri (FNOPI).

Gruppo collaborativo Studio Bene
Cesar Ivan Aviles Gonzalez – A.O.U. Cagliari
Bruno Cavaliere – Ospedale Policlinico San Martino Genova
Isabella Cevasco – Ente Ospedali Galliera,Genova
Monica Cirone – ASL2 Savonese
Graziella Costamagna – A.O. Ordine Mauriziano Torino
Antonella Croso – ASL Biella
Antonello Cuccuru – Azienda Tutela Salute Sardegna Zona Centro Nuoro
Maria Elisena Focati – ASL Alessandria
Carmelo Gagliano – ASL3 Genovese
Silvana Giroldi – ASL4 Chiavarese
Francesca Ibba – Azienda Tutela Salute Sardegna Zona Nord Sassari Olbia e ASL Medio Campidano
Mauro Carmine Martucci – ASL Bari
Paolo Carlo Motta – Università Brescia
Franco Piu – ASL5 La Spezia
Nicola Ramacciati – A.O. Perugia
Monica Scateni – A.O.U. Pisana
Gennaro Scialò – ASL Frosinone
Silvio Simeone – A.O.U. Mater Domini Catanzaro
Alfonso Sollami – A.O.U. Parma

STAMPA L'ARTICOLO

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