Coordinatore infermieristico e burnout: assessment, azioni preventive e correttive


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INTRODUZIONE
La nuova classificazione internazionale delle malattie ICD-11, adottata nell’Assemblea mondiale dell’OMS e in vigore dal 2022, riconosce ufficialmente il burnout come sindrome conseguente allo “stress cronico sul posto di lavoro gestito senza successo”, non applicabile ad altri contesti della vita.
Al capitolo 84 del Manuale – “Problema associato con l’occupazione o la disoccupazione lavorativa”, il burnout è codificato QD85 ed è caratterizzato da tre sintomi: sentimenti di esaurimento mentale o fisico; aumento della distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo relativi al proprio lavoro; ridotta efficacia professionale.
Borgogni e Consiglio (2005) differenziano il burnout dalla sindrome da stress lavoro-correlato, attribuendo al primo alcune note differenziali: importanza degli aspetti emotivi rispetto a quelli fisici, risultato di una situazione che si è cronicizzata nel tempo, logoramento delle relazioni interpersonali come sintomo e non come causa, importanza delle aspettative e delle motivazioni elevate che caratterizzano le prime fasi della carriera lavorativa.
Da quando Freudenberger descrisse il burnout, per la prima volta, nel 1974, vi sono stati dedicati migliaia di articoli, in psicologia clinica e sociale, con trend costante negli anni (Chirico, 2017).
Gli studi si sono polarizzati, da una parte, sui determinanti psicologici, dall’altra, sulle dimensioni organizzative. Significativa è la conversione di Maslach, considerata la massima esperta mondiale di burnout, dalla descrizione dei soggetti predisposti al burnout, vulnerabili, deboli, remissivi, incapaci di mantenere i confini tra sé e gli utenti e di esercitare il controllo sulla situazione (1976), alla individuazione di sei cause oggettive di burnout: carico di lavoro, autonomia decisionale, gratificazioni, senso di appartenenza, equità, valori (Maslach & Leiter, 1997).
Lungo il filone dei determinanti psicologici, gli studi esplorativi si sono focalizzati sull’analisi di costrutti quali emozioni, motivazioni, processi attribuzionali, per giungere alla definizione di depressione professionale (Firth, McKeown, McIntee, & Britton, 1987), espressa da spossatezza, perdita di energia (o depersonalizzazione) e declino nell’efficacia professionale. Più recentemente, tra le caratteristiche di personalità, valutate con i Big Five Factors, il nevroticismo è stato rinvenuto associato con tutte e tre le dimensioni del burnout (Allen & Mellor, 2002; Sahar Jahanbakhsh Ganjeh et al., 2009; Selvagio e Capodilupo, 2011). In tal caso, la ricerca di soluzioni verte sull’aiuto alla persona.
Lungo il filone delle dimensioni organizzative, gli studi hanno identificato, quali “elementi tossici”, il luogo di lavoro, il conflitto irrisolto, la carenza di supporto reciproco, la presenza di relazioni sociali distruttive, il work-life balance, ossia l’equilibrio tra vita privata e lavorativa (Leiter, 2012), la mancanza di equità (Maslach & Leiter, 2008). In tal caso, l’intervento verte sulle variabili organizzative, per contenere lo sviluppo di condizioni di rischio di burnout (Leiter, Day, Oore, & Spence Laschinger, 2012).
La presenza della sindrome di burnout richiede la messa in atto di interventi riparativi individuali e, contemporaneamente, esige di portare il focus sulla relazione della persona con l’ambiente lavorativo e sul fit relativo, onde contrastarne gli effetti nocivi (Righi, 2017).
Nel contesto sanitario, Freudenberger (1974) impiegò la sindrome di burnout per indicare una condizione d’esaurimento fisico ed emotivo, determinata dalla tensione emotiva indotta dal contatto prolungato con i problemi e le sofferenze delle persone. Menzies (1970) mise in evidenza l’intreccio tra le angosce primarie derivanti dal lavoro infermieristico e i meccanismi di difesa messi in atto per tutelarsene. Cherniss (1980) definì il burnout nelle helping professions come un’errata modalità di adattamento allo stress lavorativo, attuata da operatori carenti di risorse appropriate a fronteggiarlo: una sorta di “ritirata psicologica” dal lavoro, in risposta allo stress eccessivo esperito e alla convinzione della mancanza di una soluzione attiva dei problemi.
La categoria degli infermieri è maggiormente esposta a sviluppare burnout, accusando un livello medio di rischio intorno al 30%, soprattutto nelle unità operative nelle quali l’assistenza richiede maggiore intensità e presenta maggiore criticità:
– la Chirurgia generale, quando registra un sovraccarico di pazienti, rispetto agli standard (Aiken, Clarke, Sloane, Sochalski & Silber, 2002);
– il servizio Dialisi, dove è praticata la terapia sostitutiva (Giuliano e Rosso, 2006);
– l’Oncologia e il Centro AIDS (Bernardi, Catania e Marceca, 2005);
– il Pronto Soccorso, la Medicina d’urgenza, l’Anestesia e Rianimazione, la Dialisi, l’Oncologia e la Medicina generale, all’aumentare delle ore di lavoro sottratte al tempo delle relazioni con i colleghi e con i pazienti (Santullo e Rebecchi, 2005);
– la Chirurgia, la Terapia intensiva, l’Ortopedia, la Medicina, la Dialisi, con diffusa insoddisfazione per carenza di informazioni (Di Iorio et al, 2009).
Per quanto Pfeffer & Jeffrey (1998) constatino, amaramente, che solo la metà delle aziende esistenti credano che il fattore umano sia davvero importante, le grandi organizzazioni condividono l’idea che l’eccellenza, in termini di produttività, innovazione e qualità, si realizzi grazie al potere trasformativo delle persone (Carly, 2004; 2006).
Il benessere delle organizzazioni e dei dipendenti attiene alla health promotion, intesa, nella Carta di Ottawa dell’OMS (1986), come il processo che consente alle persone di aumentare il controllo e di migliorare la propria salute nei vari workplace setting (Tones & Tilford, 2001). La promozione della salute sul lavoro è perseguita con gli sforzi congiunti di datori di lavoro, dipendenti e società per migliorare la salute e il benessere delle persone sul lavoro (WHO, 2008).
Il legislatore italiano, allineandosi alla evoluzione culturale del concetto di benessere, ha integrato le norme sulla protezione e sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. n. 626/94) con disposizioni relative alla prevenzione, alla tutela e alla promozione della salute in ambito lavorativo (D. Lgs. n. 81/08), rendendo d’obbligo la valutazione dei rischi e del benessere organizzativo, cui sono collegati lo stress lavoro-correlato e il burnout.

INTENTO E STRUMENTI DI INDAGINE
Questo studio ha inteso aggregare quattro indagini, condotte su gruppi di infermieri di diverse realtà italiane e di varie unità operative ospedaliere, al fine di rilevare in essi, con variegati strumenti, la presenza e il livello della sindrome di burnout, i fattori di rischio organizzativi e i fattori di protezione evidenziabili.
L’intento è di spronare il Coordinatore ad attenzionare lo stato di salute psicofisica dei collaboratori, qui con specifico riferimento alla sindrome di burnout, valutandone le condizioni con strumenti di assessment validati e proponendo correzioni organizzative consone alle specifiche condizioni di rischio rinvenute. La funzione di management nelle professioni sanitarie si esplica nella organizzazione delle attività e nella gestione delle risorse umane, ed annovera, tra le responsabilità del Coordinatore, il monitoraggio e il perseguimento del benessere organizzativo (Marra, 2006).
Le quattro indagini, di natura osservazionale, hanno arruolato gruppi di infermieri di convenienza, operanti in sedi e discipline diverse: nel Soccorso 118 e in Divisioni di area critica, medica e chirurgica.
La prima indagine ha arruolato 80 operatori in un DEU – Dipartimento Emergenza Urgenza Soccorso 118 dell’Italia meridionale, di cui 34 infermieri, 23 medici e 23 autisti soccorritori; 50 sono maschi e 30 femmine, l’età media è di 43 anni; lo stato civile è coniugato per il 42,5%, single per il 32,5% e separato/divorziato per il 25,0%. In prevalenza, i partecipanti sono titolari di contratto a tempo indeterminato (77,5%).
È stato somministrato il ProQOL – questionario sulla Qualità della Vita Professionale (Stamm, 2005), composto da 22 item, che rilevano tre domini:
– la Compassion Satisfaction (8 item), ovvero le sensazioni positive che si ricavano aiutando gli altri, come ad es. “Mi è piaciuto il mio lavoro come soccorritore”;
– il Burnout (7 item), in risposta a una condizione di stress lavorativo, come ad es. “Mi sono sentito nervoso per motivi legati al mio lavoro di soccorritore”;
– la Compassion Fatigue (7 item), intesa come uno stato di profondo esaurimento fisico, spirituale ed emotivo, come ad es.: “Ho sentito di provare gli stessi traumi di qualcuno che ho soccorso”.
Ogni item è misurato su una scala di Likert a 5 livelli: da 1 = mai a 5 = molto spesso.
Per il calcolo del ProQOL totale, i domini del Burnout e della Compassion Fatigue, formati da item in negativo, sono rimasti tali (Palestini et al., 2009).
I risultati sono comparati a quelli di uno studio analogo, che focalizzava l’attenzione su tre centrali operative del Nord Italia (Cavallini et al., 2016).
La seconda indagine ha arruolato 74 infermieri operanti in Area Critica del Veneto, di cui 9 maschi, 47 femmine e 18 non precisano; l’età spazia dai 22 ai 62 anni, con media pari a 34,70. I dati sono stati raccolti, nel periodo novembre 2020 – gennaio 2021, in forma individuale anonima, mediante compilazione di un modulo online su Google Drive, appositamente predisposto.
Sono stati somministrati:
– il MBI – Maslach Burnout Inventory (Maslach & Jackson, 1981; Maslach, Jackson, 1986), nell’adattamento italiano curato da Sirigatti e Stefanile (1993). Si compone di 22 item, con risposta su scala a 6 punti (da 0 = mai a 6 = ogni giorno) e restituisce tre dimensioni indipendenti: esaurimento emotivo (9 item), che riporta la sensazione di essere inaridito emotivamente ed esaurito dal proprio lavoro; depersonalizzazione (5 item), che misura una risposta fredda ed impersonale nei confronti degli utenti del proprio servizio; realizzazione personale (8 item), che valuta la sensazione relativa alla propria competenza e al proprio desiderio di successo nel lavorare con gli altri. Le prime due dimensioni sono formulate in negativo, per cui a punteggio più elevato corrisponde disagio maggiore; la terza è espressa in positivo, per cui a punteggio minore corrisponde il disagio maggiore;
– il MSQ – Minnesota Satsfaction Questionnaire (Weiss et al., 1967), progettato per misurare la soddisfazione del dipendente rispetto al proprio lavoro, è composto – nella forma breve – di 20 item, con risposta scalare da 1 = molto insoddisfatto a 5 = molto soddisfatto.
La terza indagine ha arruolato infermieri di strutture pubbliche di due province laziali, operanti presso divisioni di Area critica, medica e chirurgica, per un totale di 56, parimenti divisi in maschi e femmine, con media per età di 40 anni e 16 di servizio.
Sono stati somministrati:
– il test SMBM – Shirom-Melamed-Burnout-Measurament (Shirom & Melamed, 2006), costituito da 14 item, con scala Likert a 7 punti, da 1 “mai o quasi mai” a 7 “sempre o quasi sempre”, che restituisce misure di fatica fisica (FF) con 6 item, stanchezza cognitiva (SC) con 5 item ed esaurimento emozionale (EE) con 3 item;
– il QPL – Questionario sulla Percezione del Lavoro (Manning & Curtis, 1988), composto di 22 item formulati con registro negativo, su scala Likert a 5 punti, da 1 “mai” a 5 “sempre”. Le risposte restituiscono 4 classi di valutazione: da 22 a 39 indica “nessun burnout”; da 40 a 57 indica “stress modesto” nel lavoro; da 58 a 75 indica “stress medio”; 76 a 93 indica “stress elevato”; da 94 a 110 indica “franco burnout”.
La quarta indagine ha arruolato, in una clinica privata laziale, 40 infermieri di genere prevalentemente femminile (85%), con media per età di 37 anni e per servizio di 11,4 anni.
È stato somministrato il CBI – Copenhagen Burnout Inventory (Kristensen, 2005), composto da 19 item, su scala Likert a 5 passi, da 1 “mai” a 5 “sempre”. Le risposte restituiscono la valutazione su tre aree di burnout, come stato di esaurimento fisico psicologico prolungato: personale, cioè indipendente dallo status lavorativo (6 item); lavorativo, collegato al proprio lavoro (7 item); utente-correlato, cioè connesso al lavoro con una particolare utenza (6 item).
I dati ottenuti sono stati analizzati mediante l’elaborazione di statistiche di posizione e di prevalenza per il livello di burnout, di tavole di correlazione tra il burnout e la percezione e la soddisfazione nel lavoro e di analisi fattoriali descrittive per evidenziare i profili delle variabili esaminate nel campione e dedurne specifiche suggestioni correttive del rischio.

RISULTATI E CONCLUSIONI
I limiti dello studio, che risiedono nel campionamento di convenienza e nella eterogeneità dei quattro gruppi indagati in modo indipendente, possono essere giustificati dall’intento preminente di sollecitare il Coordinatore a monitorare periodicamente lo stato di salute dei collaboratori, rispetto al burnout e allo stress, come anche contemplato dalle disposizioni del D. Lgs. 81/2008.
Il burnout è un fenomeno multidimensionale.
Le tre dimensioni misurate dal MBI sono indipendenti ed evolvono dinamicamente: il burnout inizia con l’esaurimento emotivo e procede con la depersonalizzazione e la derealizzazione (Maslach, 1982; Gaines & Jermier, 1983). Nel gruppo veneto, l’assessment restituisce un livello medio del burnout di pochissimo superiore a quello espresso dal campione di validazione italiano, esaminato da Sirigatti e Stefanile (1993). Merita l’attenzione del Coordinatore, tuttavia, una percentuale quasi del 50% dei soggetti che si colloca nelle fasce alte per esaurimento e depersonalizzazione, poiché in questi la sindrome pare prossima a strutturarsi (Tab. 1).

N = 74 Basso Medio Alto
Esaurimento 0 – 14 15 – 23 > 23
v.a. 23 16 35
% 31,1 21,6 47,3
Depersonalizzazione 0 – 3 4 – 8 > 8
v.a. 19 19 36
% 25,7 25,7 48,6
Realizzazione > 37 30 – 36 0 – 29
v.a. 23 22 24
% 31,1 29,7 32,4

Tabella 1. – Frequenze per livello di burnout.

Il contingente della clinica privata laziale, esaminato con il CBI, presenta una cifra di burnout di 43,15 sul massimo di 95. Per gli infermieri indagati rimane vuota la cella con la misura alta di burnout (Tab. 2); tuttavia, merita di nuovo l’attenzione del Coordinatore il 20% di essi, che accusa un livello medio-alto, collocandosi al di sopra del 75° percentile

N = 40 Basso Medio-basso Medio-alto Alto
fasce <=40 41-50 51-60 >60
v.a. 18 14 8 0
% 45,0 35,0 20,0 0

Tabella 2. – Distribuzione per livelli di burnout.

Il gruppo del Soccorso 118, indagato con il ProQOL, manifesta livelli di Compassion Fatigue e di burnout lievemente superiori a quelli rinvenuti da Cavallini et al. (2016) in tre Centrali operative 118 del Nord. Al suo interno, il Coordinatore dovrà attenzionare il 12-15% di operatori, che presenta il livello di Compassion Fatigue e di burnout >75° percentile e il livello di Compassion Satisfaction <25°. Infine, il gruppo composito di infermieri delle due province laziali, valutato con il QPL, si distribuisce nelle due fasce di stress, lieve e discreto, con media di 38,1 (d.s. = 13,5) sul totale di 98. Meritano attenzione taluni item, nei quali è manifesto un gradiente di disagio più marcato, che possono creare éscalation verso il burnout, tanto più che sono tutte significative le correlazioni tra le condizioni di lavoro percepite negative e i domini del burnout misurati con SMBM:
item 6 – Guardate l’ora?
item 13 – Il lavoro vi fa rinunciare ai normali momenti di riposo: pause, assenze per malattia, vacanze?
item 14 – Esso vi fa guadagnare troppo poco?
item 15 – Esso vi offre scarse opportunità di carriera?
item 16 – Vi offre mezzi inadeguati ai compiti da svolgere: risorse finanziarie, macchinari, attrezzature, risorse umane?
item 18 – Comporta una tale varietà di compiti da farvi sentire sommersi?
item 19 – Vi richiede di affrontare cambiamenti rilevanti, o improvvisi?
Per contro, dalla correlazione tra le dimensioni del ProQOL, emerge che la partecipazione emotiva con i pazienti (Compassion satisfaction) costituisce un fattore protettivo dal rischio del burnout.
Anche la soddisfazione, misurata con il MSQ, si dimostra protettiva, in quanto inversamente correlata con le dimensioni di esaurimento e depersonalizzazione del MBI.

CONCLUSIONI
Non escludendo gli interventi sul singolo, al bisogno, la medicina e la psicologia del lavoro propongono interventi protettivi e correttivi nella specifica organizzazione.
Per i gruppi esaminati, dunque, si prospettano alcune suggestioni topiche.
Per il gruppo di emergenza, esposto a situazioni di Compassion Fatigue, oltre alle tecniche di decondizionamento emotivo, quali defusing e debriefing, proposte dalla Psicologia dell’Emergenza, e oltre ad azioni sperimentate per ridurre la gestione dello stress, quali la partecipazione alle decisioni organizzative, la distribuzione del carico di lavoro, può essere opportuno indagare gli stili di coping, tipicamente attivati dagli operatori. Sica et al. (2008) espongono cinque stili di coping: il sostegno sociale, come ricerca di comprensione, di informazioni e sfogo emotivo; l’attitudine positiva, come atteggiamento di accettazione, di contenimento e di reinterpretazione positiva degli eventi; l’orientamento al problema, come utilizzo di strategie attive e di pianificazione; l’evitamento, come negazione o distacco comportamentale e mentale dal problema, anche con l’uso di sostanze; l’orientamento trascendente, come l’affidarsi al soprannaturale ovvero ricorrere all’umorismo “ridendoci sopra”. Gli ultimi due stili possono avere un’utilità temporanea, per alleggerire il peso o per cercare risorse fuori di sé; i primi tre stili dimostrano provata efficacia. Il Coordinatore può organizzare incontri periodici di sensibilizzazione.
Per il contingente veneto, sono state estratte le componenti dall’analisi fattoriale descrittiva del MSQ, che il Coordinatore può potenziare, perché la soddisfazione nel lavoro produca un effetto protettivo contro lo scivolamento nel burnout:
fattore 1 – la realizzazione nel lavoro: autonomia e varietà nel lavoro (item 2 e 3);
fattore 2 – le capacità umane (item 5) e tecniche (item 6) del Coordinatore;
fattore 3 – la coerenza con i valori personali e il loro rispetto (item 7);
fattore 4 – le politiche di promozione, con regole esplicite di avanzamento di carriera (item 14);
fattore 5 – i riconoscimenti per il lavoro svolto (item 19).
Per il gruppo laziale, le proposte di miglioramento della percezione del lavoro comprendono:
– le strategie di équipe: empowered work, sostegno e fiducia reciproci;
– il feedback positivo derivante dal riconosciuto miglioramento delle persone assistite (Cotugno, 2017).
Anche per il gruppo della clinica privata, l’analisi delle componenti del CBI fornisce interventi lenitivi, consoni alla situazione rilevata:
fattore 1 – stanchezza fisica vs gestione di ferie e turni di servizio;
fattore 2 – esaurimento psicofisico vs attivazione di turnover tra servizi in mobilità orizzontale;
fattore 3 – demotivazione vs pazienti vs supervisione del Coordinatore e gruppi di auto-aiuto;
fattore 4 – esaurimento esistenziale vs ridefinizione professionale o lavorativa;
fattore 5 – esaurimento emotivo vs gestione intervalli di riposo;
fattore 6 – mancanza di ritorno dai pz vs ricerca di cause dipendenti da operatore e/o da paziente;
fattore 7 – gravame lavorativo costante vs counselling e/o turnover.
In conclusione, il capitale umano potrà essere valorizzato appieno, avendo cura di promuovere il benessere nell’organizzazione e di prevenire e correggere i disagi psico-emotivi emergenti.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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