Il Case Management nel percorso ERAS, una possibile risposta alle missed nursing care: l’esperienza dell’ A.O. Mauriziano di Torino


Documenti


INTRODUZIONE
Nel tempo i sistemi sanitari, grazie alle innovazioni in campo medico-infermieristico, hanno puntato alla definizione sempre più precisa di percorsi mirati al trattamento di problemi di salute sempre più complessi. È indubbio, tuttavia, che uno dei rischi di tale processo sta nel rischio di perdere di vista l’individuo nella sua visione complessiva.
Nell’area clinico-assistenziale della Chirurgia Maggiore sono numerosi i professionisti socio-sanitari coinvolti nei percorsi centrati sulla singola persona assistita, che viene a trovarsi in un ambiente complesso ed in un momento particolare come quello dell’esperienza di malattia. Diventa così essenziale per l’assistito avere una figura di riferimento costante, che possa consapevolmente guidarla nel percorso di cura ed indirizzarlo, facilitandone l’accesso ai servizi e fornendo una guida ed un supporto competente per tutto il tempo necessario in tutti i setting di cura. Questa figura deve necessariamente mettersi in posizione di advocacy, allo scopo di minimizzare la frammentazione delle singole tappe, ridurre i rischi connessi al passaggio di informazioni tra i professionisti ed alla destrutturazione della situazione complessiva in singoli problemi di salute (Bertin, 2015).
Al fine di garantire ai cittadini cure appropriate, coerenti e tempestive, vi è quindi la necessità di trovare modelli innovativi di incremento della qualità dei servizi sanitari e di contestuale controllo dei costi (De Frances, 2008).
Una delle risposte adottabili è il modello organizzativo assistenziale del Case Management (CM): questo è finalizzato a favorire l’efficacia e il controllo dei costi attraverso la personalizzazione delle cure e delle modalità di risposta ai bisogni sanitari (Vacchi, 2010). La Case Management Society of America (CMSA) lo definisce come uno strumento collaborativo in grado di direzionare processi di valutazione, pianificazione, implementazione, monitoraggio e di valutazione finale che mette i servizi in grado di soddisfare i bisogni di salute delle persone attraverso la comunicazione e la facilitazione all’accesso delle risorse disponibili perseguendo esiti finali di efficacia e qualità (CMSA, 2016).
L’Infermiere Case Manager (ICM) espleta il suo intervento in contesti multidisciplinari, assumendo la supervisione del processo assistenziale e divenendo figura di riferimento per il paziente, i suoi famigliari e/o caregiver e gli altri operatori sanitari e sociali (RNAO, 2010). Tale approccio è considerato da molti come l’evoluzione del Primary Nursing, nell’ottica del Case Management (Lukersmith, 2016).
Questo modello, per poter essere implementato ed utilizzato con successo, necessita senza dubbio di alcune condizioni organizzative dalle quali non può prescindere:
♣ Una cultura organizzativa paziente-centrica, attenta ai bisogni di assistenza del singolo individuo
♣ Una cultura professionale competente e formata sugli aspetti sia clinici che economici dello specifico percorso di cura.
♣ La disponibilità di evidenze scientifiche univoche alle quali ispirare il proprio agire per tutte le fasi del percorso.
♣ Un’organizzazione che consenta e favorisca la continuità assistenziale.
♣ Un’attenzione costante alla valutazione continua degli esiti.
Tale metodo si presta bene a situazioni che presentano specifiche caratteristiche (Payne, 1998; Fazzi,2005):
♣ Necessità dell’intervento di più servizi.
♣ Necessità di supporto ai caregiver informali.
♣ Possibilità di accompagnamento nell’ambiente di vita, al fine di poter intervenire nelle fasi in cui solitamente la disponibilità dei servizi è scarsa o nulla.
L’approccio si struttura secondo un processo metodologico di intervento articolato in cinque fasi, indicate da Payne (1998):
1. Valutazione iniziale o assessment.
2. Care planning (costruzione del piano assistenziale individualizzato).
3. Implementazione del piano assistenziale (o messa in atto del progetto assistenziale).
4. Monitoraggio e revisione del progetto.
5. Verifica finale ed eventuale chiusura del caso.
In tutte le fasi del processo metodologico, il case manager svolge, a seconda della necessità e del setting, tre diversi ruoli:
♣ Consulente esperto dell’assistenza a particolari categorie di pazienti, a supporto degli altri membri dell’equipe di cura (consulente)
♣ Valutatore continuo della qualità dell’assistenza rispetto alle evidenze scientifiche
♣ Egoista e timoniere della pianificazione assistenziale all’interno dello specifico percorso di cura o PDTA, favorendo la massima personalizzazione delle cure sullo specifico caso clinico.
Quest’ultimo punto, in particolare, identifica il campo entro il quale l’ICM progetta, pianifica e coordina, di concerto con gli altri professionisti dell’equipe di cura, il percorso assistenziale della persona assistita.
La letteratura riporta esiti positivi nella riduzione delle riammissioni ospedaliere, nell’ottimizzazione dei risultati di salute e nell’aumento del grado di soddisfazione delle cure ricevute da parte dei pazienti (Prieto, 2021).
Altri autori hanno posto l’attenzione verso la cronicità che rende perentorio un nuovo approccio che favorisca il coordinamento tra i diversi specialisti. Il ruolo dell’ICM nel primary health care diventa principalmente quello di garantire la continuità assistenziale, garantendo efficacia ed efficienza (Doménech-Briz, 2020).
Moura e al. (2019) hanno concentrato l’attenzione sui modelli organizzativi e descrivono come il care management o il primary nursing possano ridurre di oltre il 70% le missed nursing care e ne consigliano l’implementazione.
In questo filone altri ricercatori (Avalin, 2020) giungono, a distanza di un anno, a conclusioni simili, puntando sull’importanza del coinvolgimento e della comunicazione con i pazienti e segnalando esiti positivi in 4 categorie:
♣ Rispetto interpersonale.
♣ Umanizzazione delle cure.
♣ Canali di comunicazione disponibili e accessibili.
♣ Comprensione olistica dei bisogni di cura e del piano di assistenza.
Tali elementi descritti, caratteristici del profilo dell’ICM, fanno intendere come essa possa trovare ampia applicazione nei percorsi chirurgici, anche se rispetto agli ambiti della cronicità le esperienze descritte sono rare.
L’ICM in ambito chirurgico può trovare una sua naturale collocazione nell’Enhanced Recovery After Surgery (ERAS), un programma multimodale e multidisciplinare che mira a limitare lo stress chirurgico durante il periodo peri-operatorio. L’importanza di un facilitatore per migliorare la compliance dei pazienti con il percorso ERAS e garantire la sua corretta implementazione è descritta in letteratura (Balfour, 2019). Questo ruolo è comunemente svolto dagli infermieri e la presenza di una figura specificatamente formata e dedicata in tutto il percorso non può che apportare indubbi vantaggi.
Scopo di questo articolo è descrivere il progetto di implementazione del modello organizzativo del case management e i suoi esiti all’interno dell’A.O. Ordine Mauriziano di Torino, Ospedale hub dell’Area cittadina Torino Ovest.

PROGETTAZIONE E IMPLEMENTAZIONE
Il Dipartimento chirurgico dell’A.O. Ordine Mauriziano di Torino è impegnato sin dal 2012 nell’attività clinica e nella ricerca sugli aspetti che riguardano l’approccio della filosofia ERAS in chirurgia colo-rettale ed epatica, della quale è il centro di riferimento nazionale. È inoltre un centro di riferimento regionale per la chirurgia pancreatica e delle malattie infiammatorie. In media nel centro vengono trattati più di 1300 pazienti all’anno, di cui circa l’80 % per chirurgia maggiore.
Questi alti volumi di attività, correlati ad alta complessità, potrebbero esporre il paziente ad alcuni rischi:
♣ Frammentazione del processo di cura in molteplici micro-processi, legati a logiche prestazionistiche.
♣ Frammentazione delle informazioni, in relazione ai numerosi professionisti che intervengono nel processo di cura. Ciò può esitare in una più’ difficile comprensione del progetto diagnostico-terapeutico-assistenziale, di conseguenza ad una minor compliance allo stesso.
♣ Compromissione di alcuni item del processo assistenziale ERAS come il counseling, la mobilizzazione precoce ed il processo di audit clinico-assistenziale, con ricadute sugli esiti (Hartman, 2020).
L’analisi dei PDTA aziendali dei percorsi di chirurgia maggiore svolta nel 2019 aveva evidenziato e confermato questi rischi, in particolare su quegli item del percorso ERAS di pertinenza assistenziale.
Pertanto la Direzione delle Professioni Sanitarie ha voluto puntare sull’ICM di area chirurgica quale professionista specialista, in quanto attraverso le sue competenze di tipo trasversale e una pluriennale esperienza clinico assistenziale specifica si propone come facilitatore per il miglior esito assistenziale, integrando il doppio ruolo di case manager ed ERAS nurse.
Le caratteristiche del professionista sono state definite, in prima fase, da un infermiere esperto nell’ambito del suo percorso di formazione avanzata con il Direttore delle Professioni Sanitarie, il Responsabile Assistenziale di Dipartimento e i colleghi del servizio QU.RRE (Qualità, Rischio, Ricerca ed Esiti) in base alla:
♣ Tipologia di paziente alla quale tale figura è dedicata (pazienti chirurgici ad alta complessità per la chirurgia addominale e pazienti a basso volume ed alta complessità assistenziale per le patologie ginecologiche ed ortopediche).
♣ Alle condizioni organizzative.
♣ Alle specificità clinico assistenziali e gestionali dei percorsi di cura.
♣ Alle criticità tipiche di tali percorsi e di tale tipologia di pazienti.
Tali caratteristiche sono state utilizzate, successivamente, nella scelta del profilo infermieristico presente in ospedale, più adatto per coprire la posizione di ICM di Area Chirurgica.
L’Infermiere esperto di Area Chirurgica ha presentato un piano di proposta dettagliato per l’attivazione della figura alla Direzione delle Professioni Sanitarie. Nel mese di Dicembre 2019 e la sua pianificazione è rappresentata nel tempogramma di Gantt (Fig. 1).

Dopo valutazione preventiva di fattibilità ed opportunità da parte della Direzione delle Professioni Sanitarie e degli atri soggetti portatori di interesse (Ufficio personale, area QU.R.RE., Direttori e Coordinatori infermieristici interessati dal progetto) è stato presentato formalmente nel mese di Maggio 2020 in una riunione strutturale di Dipartimento, alla quale hanno partecipato i Coordinatori Infermieristici di tutte le strutture coinvolte, il Responsabile Assistenziale del Dipartimento chirurgico ed Il Direttore di Dipartimento Chirurgico.
Di seguito vengono descritte le fasi del progetto:
♣ Fase 1 – Predisposizione della documentazione clinica, nonché di tutte le specifiche logistico-organizzative necessarie, con successiva approvazione da parte dei vertici aziendali della documentazione predisposta [Tempo stimato 5-7 gg lavorativi].
♣ Fase 2 – Avvio del progetto in un percorso già avviato, condiviso e protocollato nelle sue fasi (es. percorsi ERAS per la chirurgia colo-rettale ed epato-biliare o altro percorso dipartimentale specifico); [Avvio al termine di Fase 1 e proseguimento nel tempo]
♣ Fase 3 – Per ciascuna specialità chirurgica saranno concordati, con i Coordinatori Infermieristici di UU.OO. e con il Responsabile assistenziale di Dipartimento Chirurgico, le categorie di pazienti giudicate ad alta complessità assistenziale; saranno declinati obiettivi e modalità operative e saranno coinvolti attraverso almeno una riunione di reparto gli infermieri delle varie equipe di cura. [Avvio al termine di Fase 2 e conclusione in circa 4-8 settimane con approntamento alla fase di implementazione completa del progetto su tutto il dipartimento]
♣ Fase 4 – Implementazione del progetto complessivo all’interno di tutto il Dipartimento Chirurgico [Avvio al termine di Fase 3 e proseguimento nel tempo]
♣ Audit – A cadenza almeno annuale con rivalutazione pianificata degli esiti a medio e lungo termine (progetto di ricerca).
Riassumiamo qui di seguito gli obiettivi del progetto:
♣ Progettare, in collaborazione con i colleghi delle UU.OO. del Dipartimento Chirurgico, piani/percorsi standard per tipologia di paziente, specificatamente studiati per la gestione infermieristica dei pazienti ad alta complessità assistenziale.
♣ Fornire supporto infermieristico esperto continuativo ai pazienti trattati in protocollo ERAS dal primo accesso in ospedale al follow up post-operatorio, anche con modalità a distanza.
♣ Ridurre la frammentazione delle informazioni pre-operatorie e fornire al paziente un piano di pre-abilitazione all’intervento integrato e personalizzato.
♣ Fornire consulenza infermieristica sulla pianificazione assistenziale in pazienti chirurgici ad elevata complessità
♣ Migliorare l’aderenza complessiva dei pazienti agli item assistenziali ERAS.
♣ Migliorare le capacità di autocura e la ripresa dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana (di seguito ADL) post-operatoria dopo chirurgia maggiore.
♣ Supervisionare l’attività assistenziale ed evidenziare eventuali difformità rispetto alle evidenze scientifiche.
♣ Ridurre i reingressi non programmati entro trenta giorni per complicanze insorte dopo la chirurgia.
♣ Ridurre la durata della degenza.
♣ Interagire con la componente medica, con quella assistenziale e con i servizi di qualità ed esiti dell’azienda (area Qu.R.R.E.) nell’individuazione di possibili miglioramenti nella pratica clinico assistenziale degli infermieri di area chirurgica.
♣ Contribuire alla formazione sul campo dei colleghi nella pratica clinico assistenziale.
Per raggiungere questi obiettivi sono stati previsti interventi sulla:
♣ Personalizzazione dell’informazione pre-operatoria (tempi, modalità, conduzione), avvalendosi all’occorrenza anche di strumenti audiovisivi VAPI (Video Assisted Patient Information), al fine di rendere più performante l’intervento informativo (Campagna, 2020).
♣ Utilizzo, sin dal momento della valutazione pre-operatoria, di una linea telefonica dedicata (help line) attiva tutti i giorni feriali dalle 08.30 alle 15.30 a disposizione dei pazienti durante tutto il percorso di cura.
♣ Utilizzo di strumenti di screening e valutazione validati e condivisi.
♣ Pianificazione assistenziale con prescrizioni infermieristiche dirette sia ai pazienti che agli altri professionisti attraverso l’area dedicata della cartella clinica informatizzata.
♣ Follow-up telefonico (in aggiunta alla help line) finalizzato all’individuazione precoce e proattiva di eventuali problemi post-dimissione, in un’ottica di assistenza infermieristica di iniziativa.
♣ Conduzione, sostegno e coordinamento di progetti di ricerca su filoni specifici di interesse e audit periodici sugli esiti correlati al modello.

RISULTATI
Al fine di valutare l’effetto dell’implementazione di tale modello all’interno dello specifico contesto, sono stati osservati 331 pazienti consecutivi: 217 in maniera retrospettiva prima dell’implementazione del processo di case management (pazienti operati tra giugno e ottobre 2019) e 114 in maniera prospettica durante la prima fase di implementazione del nuovo modello (pazienti operati tra giugno e ottobre 2020).
Sono state valutate, in termini comparativi, le caratteristiche generali dei due campioni e non si sono rilevate differenze statisticamente significative nella stratificazione dei pazienti per intervento, né per quanto riguarda la confrontabilità dei due campioni d’indagine in termini di età, sesso, comorbidità e patologia chirurgica.
In ottemperanza al progetto, i pazienti trattati chirurgicamente nel periodo post-implementazione del case management infermieristico sono stati seguiti durante tutto il percorso di cura.
In relazione alla compliance al progetto si è rilevato che il 93.86% del totale dei pazienti sono stati visitati e valutati. Di questi il 62.28% già in fase di pre-ricovero, ossia circa 15-20 giorni prima dell’ammissione in ospedale.
A questi è stato eseguito un counseling mirato allo specifico PDTA, atto a renderli edotti su tutte le fasi del percorso ed a coinvolgerli attivamente in esso, oltre a una valutazione infermieristica pre-operatoria, mirata alla rilevazione precoce dei rischi ad impatto sull’assistenza infermieristica (complessità assistenziale, valutazione precoce del patrimonio venoso periferico degli arti superiori in relazione al rischio di incannulazione venosa periferica difficile, rischio di delirium post-operatorio, rischio di dimissioni difficili, rischio di nausea e vomito post-operatori).
Con tale modalità l’ICM ha agito nell’ottica di migliorare l’informazione pre-operatoria, l’educazione terapeutica e l’abitudine a corretti stili di vita, item riconosciuti come molto utili, all’interno dell’Azienda, al fine di migliorare la performance e la compliance dei pazienti. Capita in effetti che tal volta questi aspetti siano messi in secondo piano, nell’ordinaria attività infermieristica, data la cogenza e priorità ad altre numerose altre attività.
Inoltre, per i pazienti visitati con largo anticipo in fase pre-operatoria, è stata pianificata un’attività di tipo pre-abilitativo, volta al miglioramento delle condizioni psico, fisiche attraverso interventi mirati alla riduzione/sospensione dell’abitudine tabagica, alla riduzione/sospensione dell’abitudine all’assunzione di alcolici ed all’attività fisica.
Gli obiettivi pre-abilitativi sono stati condivisi dal team multidisciplinare. In particolare si è reputato come obiettivo raggiunto una compliance completa all’attività fisica pianificata (100%) ed una riduzione ≥ del 50% dell’abitudine tabagica o dell’assunzione di bevande alcoliche (Tab. 1).

  N=114 (%) Obiettivo raggiunto nel pre-operatorio N (%)
Pazienti fumatori 60 (56.63) 37 (61,67)
Abitudine all’assunzione di alcolici 9 (7.89) 8 (88,89)
Attività fisica* 106 (92.98) 91 (85,85)
*A tutti i pazienti per i quali tale attività non aveva controindicazioni è stata proposta un’attività fisica blanda (es. camminata a passo sostenuto o ciclette) da eseguite tutti i giorni per 30-40 minuti

Tabella 1. – Raggiungimento degli obiettivi di pre-abilitazione fisica e del miglioramento delle abitudini di vita quotidiana rispetto ad alcol e fumo.
Dopo l’intervento i pazienti sono stati visitati e valutati a intervalli prestabiliti o su richiesta dei colleghi.
A seconda delle necessità specifiche del paziente, l’ICM ha realizzato interventi mirati alla valutazione degli apporti alimentari e della presenza/assenza di rischio di malnutrizione post-operatoria, dello stato di idratazione, del bilancio idrico, all’addestramento e della massimizzazione dell’autonomia dei pazienti e della mobilizzazione secondo le più recenti evidenze scientifiche, utilizzando strumenti di screening e valutazione validati.
In media ogni paziente di quelli seguiti con il modello del case management ha ricevuto 3.56 valutazioni durante la degenza, con una deviazione standard di 3.2 valutazioni.
Nel 75.44% dei pazienti l’ICM ha agito direttamente sulla pianificazione assistenziale, fornendo consulenza esperta ai colleghi con prescrizioni infermieristiche mirate (Tab. 2).

Intervento mirato N=114 (%)
   Prescrizioni infermieristiche sulla pianificazione assistenziale 86 (75,44)
   Addestramento al paziente (massimizzazione dell’autonomia) 79 (69,30)
   Mobilizzazione assistita 79 (69,30)
   Valutazione degli intake alimentari ed idrici (diario alimentare) 75 (65,79)
   Calcolo del bilancio idrico 73 (64.04)

Tabella 2. – Attività ed interventi mirati del Case Manager nel periodo di degenza.

Tale modalità ha consentito, attraverso la continuità assistenziale e la pianificazione personalizzata dell’assistenza, di agire in maniera significativa nella riduzione delle cure mancate, attuando anche interventi di assistenza diretta mirati a sopperire le cure che, seppur correttamente individuate dai colleghi come necessarie, non venivano erogate a causa di attività ritenute più urgenti.
Nella presa in carico dei pazienti seguiti nel peri-operatorio, l’ICM ha attivato e coordinato l’intervento di diversi servizi (infermieristici e non), con i quali ha condiviso gli obiettivi e progettato l’assistenza.
In particolare l’ICM ha collaborato con i servizi a conduzione infermieristica (Centro Stomie, Nucleo Operativo Continuità di Cure, Team Vulnologico) e con servizi gestiti da altri professionisti socio/sanitari (Servizio Sociale, Nutrizione Clinica, Servizio Riabilitativo), supportando il team di cura durante l’assistenza allo specifico caso clinico, con azioni mirate e condivise e attivando, ove necessario, i servizi specialistici come riportato in Tab. 3.

Professioni infermieristiche
Centro Stomie 26 (22,81%)
Nucleo Operativo Continuità di Cure 11 (9,65%)
Team Vulnologico 3 (2,63%)
Servizi gestiti da altri professionisti
Servizio di Nutrizione Clinica 16 (14,04%)
Servizio Riabilitativo 10 (8,77%)
Servizio Sociale 5 (4,39%)

Tabella 3. – Collaborazione nel percorso di cura con altri Servizi.

Rispetto al gruppo di controllo si è osservata una riduzione non statisticamente significativa della durata della degenza, che passa da 10.77 giornate post-operatorie a 9.64 giornate. Il tempo necessario per rendere il paziente ready to discharge, ovvero dimissibile, è passato da 9.68 giornate post-operatorie della fase pre-implementazione a 9.02 giornate nel periodo di attività dell’ICM.
È bene precisare che si intende dimissibile il paziente che: è in grado di alimentarsi in maniera efficace senza supporto farmacologico; è canalizzato ai gas ed alle feci; è in grado di muoversi in maniera sovrapponibile a quella pre-operatoria; ha buon controllo del dolore con antalgici per via orale; è senza drenaggi e cateteri o con device a permanenza; presenta parametri vitali nella norma.
La differenza tra durata della degenza (LOS) e TRD risulta minore nel periodo di implementazione dell’ICM, nel quale si registra una riduzione significativa di 0.49 giorni. Questi elementi rendono ipotizzabile, anche se non quantificata in questo studio, una riduzione generale dei costi.
Durante il periodo di implementazione i pazienti sono risultati autonomi nelle ADL in media dopo 3.23 giorni dall’intervento chirurgico, rispetto ai 4.49 giorni necessari per ottenere la completa autonomia del paziente in fase pre-implementazione. Anche questa differenza risulta statisticamente significativa (Tab. 4).

Media, (Mediana) * Gruppo di controllo Case Management p-value
LOS 10.77, (9) 9.64, (7) 0.164
TRD 9.68, (8) 9.02 (6) 0.038
∆ LOS-TRD 1.09, (1) 0.60, (0) <0.01
Autonomia nelle ADL 4.49, (4) 3.23 (3) <0.01

*giornate dopo l’intervento chirurgico
Tabella 4. – Confronto tra i due bracci di studio rispetto alla durata della degenza, alla dimissibilità, all’incidenza di complicanze e al recupero dell’autonomia del paziente.
Non si sono osservate differenze statisticamente significative per quanto riguarda le complicanze post-operatorie totali, né per quanto riguarda il tasso di incidenza di complicanze severe.
I dati di cui sopra sono riassunti in Tab. 5.

N (%) Gruppo di controllo Case Management p-value
Complicanze totali 61, (28,11) 32 (28,07) 0.996
Complicanze severe * 15 (6,91) 7 (6,14) 1.000

*Dindo Score 2-5
Tabella 5. – Confronto tra i due bracci di studio rispetto all’incidenza di complicanze e al recupero dell’autonomia del paziente.

Nel gruppo post-implementazione dell’ICM, esplorando precocemente gli aspetti relativi alla presenza/assenza di supporto familiare al domicilio, si è osservato che il 17.54% dei soggetti erano privi di caregiver convivente e vivevano da soli. In particolare il 5.26% dei pazienti osservati era privo di qualunque risorsa familiare/amicale che potesse svolgere il ruolo di caregiver nel periodo post-degenza (Tab. 6).

 

Care-giver presente e convivente

n=114 (%)

94 (82,46)

Care-giver presente ma non convivente 14 (12,28)
Nessun supporto al domicilio 6 (5,26)

Tabella 6. – Indagine sulla presenza di care-giver nel post-dimissione.

Dopo la dimissione, nel periodo di implementazione dell’ICM, il 97,37% dei dimessi sono stati contattati telefonicamente entro 48h dalla dimissione e sono stati seguiti a distanza, pianificando di volta in volta nuovi appuntamenti telefonici e fornendo ai pazienti una help-line dedicata, attiva dalle 08.30 alle 15.30 dal lunedì al venerdì. Ogni paziente di quelli seguiti durante il follow-up ha ricevuto in media 3.12 chiamate in un periodo che va dai 10 ai 36 giorni dopo la dimissione.
Per i pazienti stomizzati il follow-up telefonico a distanza è stato coordinato con i colleghi stomaterapisti progettando con loro il piano di follow up a distanza, con una frequenza dipendente da parametri oggettivi (dati antropometrici, output enterico dallo stoma, sintomi) ed integrando i contatti di iniziativa con i recall programmati e concordati con il paziente. Tutte le informazioni venivano condivise giornalmente all’interno del team di cura. Tale screening ha contribuito a far sì che le riammissioni in ospedale per disidratazione siano state pari al 3.5% dei pazienti ileo-stomizzati, in linea con i migliori risultati riportati in letteratura internazionale.
In generale il 76.58% dei pazienti seguiti in follow up telefonico ha avuto necessità di assistenza dopo la dimissione, per il 64,71% è stato sufficiente l’intervento assistenziale a distanza per una completa risoluzione del problema. Quando necessario l’ICM ha richiesto un intervento ad una o più figure professionali diverse per la gestione del problema di salute (chirurgo, stomaterapista, Medico di Medicina Generale, Dietista. Per il 12,15% dei pazienti seguiti in Follow-Up a distanza è stato necessario l’intervento multidisciplinare (due o più figure professionali).
Nell’87.06% dei pazienti con problemi di salute nel post-dimissione la gestione del problema non ha richiesto una nuova degenza e il problema è stato gestito a distanza o con visita ambulatoriale precoce, mentre nel 10.59% dei pazienti con problemi nel post-dimissione è stata necessaria una riammissione in ospedale.
Per l’1,87% dei pazienti seguiti in Follow Up si è resa necessaria una nuova degenza urgente da pronto soccorso nel post-operatorio, per problemi non emersi durante il follow up a distanza.
Non si sono registrate differenze significative in termini di readmission totali nei due periodi di studio. Si osserva, altresì, una significativa riduzione delle riammissioni inattese (Tab. 7).

N (%) Gruppo di controllo

N=217

Case Management

N= 114

p-value
Readmission totali 16 (7,37) 11 (9.65) 0.843
Readmission derivate da visita chirurgica precoce dopo FU telefonico* 9 (81.82)  
Readmission inattese* 12 (75) 2 (18.18) <0.01

 
*Dato percentuale calcolato sul numero di readmission totali
Tabella 7. – Readmission entro 30 giorni dalla dimissione per problemi correlati all’intervento chirurgico o a condizioni di salute correlate al problema di salute che ha portato all’intervento.

CONCLUSIONI
Una quota rilevante di pazienti è stata seguita sin dal primo accesso (in fase di pre-ricovero) e durante tutta la fase di prehabilitation, contribuendo a ottimizzarne le condizioni pre-operatorie attraverso azioni mirare sugli stili di vita. I risultati rispetto a questo aspetto sono incoraggianti e questo potrebbe contribuire alla riduzione delle complicanze post-operatorie, quindi saranno oggetto di ulteriori indagini.
Si è registrata una differenza, seppur non generalizzabile vista l’entità dello studio, in termini di durata della degenza e di tempo necessario alla dimissibilità dei pazienti trattati durante il periodo con l’implementazione del modello di case management, correlata a una precoce ripresa dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana. Tali dati, pur con i limiti dovuti al disegno di studio, lascia aperta la possibilità che in futuro, con campioni più numerosi, si possa riscontrare un vantaggio significativo rispetto a questi aspetti, adottando tale modello. Questo incoraggia alla prosecuzione di questo filone di ricerca.
A parità di condizioni pre-esistenti in termini clinici e di caratteristiche generali, i pazienti trattati nel braccio di studio con l’implementazione dell’ICM hanno avuto, quando clinicamente dimissibili, meno difficoltà ad essere realmente dimessi. Tale risultato può essere imputato a tre diversi fattori, che hanno agito verosimilmente in maniera sinergica, a seconda delle necessità e con incisività diverse, nel caso specifico:
♣ La precoce autonomia dei pazienti.
♣ Il coinvolgimento precoce delle risorse sanitarie dedicate alla facilitazione dei processi di dimissione difficile.
♣ La continuità assistenziale nell’educazione terapeutica e nell’empowerment del paziente messa in atto dall’ICM.
Infatti il processo di dimissione ha reso negli ultimi anni difficoltoso e spesso tortuoso il percorso post-operatorio dei pazienti fragili, ritardandone il rientro al domicilio e rischiando di far aumentare le già lunghe liste d’attesa per gli interventi chirurgici. Da diversi anni sono attivi, a questo scopo, team dedicati, sotto forma di nuclei operativi per la continuità delle cure. In questi soggetti l’ICM lavora su due fronti: da un lato si focalizza sul massimizzare l’empowerment del paziente, per consentire un rapido rientro al domicilio in autonomia, dall’altro, quando riscontra delle fragilità che rendono difficile tale processo, attiva precocemente e collabora con i servizi dedicati (Nucleo Operativo per la Continuità delle Cure e Servizio Sociale).
Nella fase post dimissione si sono rilevati dei problemi clinico assistenziali, seppur per la maggior parte lievi: l’utilizzo del follow-up infermieristico telefonico e l’istituzione della help-line si sono dimostrati efficaci nel trattare queste condizioni. Inoltre il contatto di iniziativa dell’ICM ha permesso, anche quando il paziente non avvertiva sintomatologie specifiche, di individuare precocemente segnali di allarme e ciò è stato utile ai clinici al fine di individuare e gestire, anche a distanza, i problemi di salute degli assistiti.
È facile pensare che la possibilità di avere una help-line dedicata, con un professionista che conosce il paziente e la sua storia clinica, possa essere un punto di riferimento anche dopo la dimissione, e che questo sia di conforto al paziente, in particolare per coloro che non hanno un caregiver convivente.
Non si è registrata una variazione significativa in termini di tasso di riammissioni ospedaliere a 30 giorni. Tuttavia, analizzando in maniera più puntuale le riammissioni, ci accorgiamo che nel periodo post-implementazione dell’ICM queste avvengono quasi sempre in maniera pilotata, ossia a seguito di valutazioni del team di cura che portano il paziente a visita ambulatoriale o ad una riammissione precoce. Riammissione tuttavia organizzata e verosimilmente in condizioni cliniche migliori rispetto a quanto avveniva nel periodo precedente. Tale affermazione però necessita di ulteriori e più approfondite indagini specifiche.
La figura dell’ICM riteniamo si sia integrata positivamente nel percorso peri-operatorio, migliorando diversi aspetti dell’assistenza dei pazienti seguiti.
La pianificazione del progetto è stata rispettata e la figura è attualmente attiva e operativa all’interno dei vari setting di cura nei quali agisce.
In virtù dei limiti sopra citati, ulteriori studi, differenti per metodo, disegno e numerosità del campione appaiono tuttavia necessari.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

STAMPA L'ARTICOLO

Bibliografia

– Avallin T, Muntlin Athlin A, Björck M, Jangland E (2020). Using communication to manage missed care: A case study applying the Fundamentals of Care framework. J Nurs Manag . Nov;28(8):2091-2102.
– Balfour A et al (2019). Exploring the fundamental aspects of the Enhanced Recovery After Surgery nurse’s role. Nurs Stand. Nov 11.
– Bertin G. (2015). Social innovation e politiche di welfare. Salute e società; (1), 37-50.
Case Management Society of America. (2016). Standards of practice for case management, (11). – Catarci M et al (2021). [Structured implementation and high adherence to the ERAS program in colorectal surgery in two operating units of the ASUR Marche.]. Recenti Prog Med. Jan;112(1):30-44.
– Campagna S. et al (2020). Impact of a Preoperative Video-Based Educational Intervention on Postoperative Outcomes in Elective Major Abdominal Surgery: a Randomized Controlled Trial. J Gastrointest Surg. Oct ;24(10) :2295-2297.
– DeFrances C., Lucas C., Buie V. et al. (2008). 2006 National hospital discharge survey. National Health Statistics Report; (5):2-9.
– Doménech-Briz V. et al (2020). Results of Nurse Case Management in Primary Heath Care: Bibliographic Review. Int J Environ Res Public Health. Dec 20;17(24):9541.
– Fazzi L. (2005). Costruire l’integrazione sociosanitaria. Roma, Faber-Professioni Sanitarie (2):12.
– Hartman A. (2020). Good compliance to enhanced recovery program improves outcome after colorectal surgery. Surg Endosc. Sep 1.
– Lukersmith S., Millington M., Carulla L.S. (2016). What is Case Management? A Scoping and Mapping Review. International Journal of Integrated Care;16(4):2.
– Moura E.C.C, et al. (2019). Relationship between the implementation of primary nursing model and the reduction of missed nursing care. J Nurs Manag Nov;28(8):2103-2112.
– Payne M. (1998). Case management e servizio sociale. La costruzione dei piani assistenziali individualizzati nelle cure di comunità. Trento: Centro Studi Erickson.
– Prieto Trefethen E. (2021). A Literature Review on the Benefits for an Interprofessional Educational Program to Increase Novice Nurse Awareness of Case Management in Heart Failure. Prof Case Manag. Mar-Apr 01;26(2):70-81.
– Registred Nurses’ Association of Ontario (RNAO). (2010). Strategies to support selg-management in chronic conditions: collaboration with clients. RNAO Clinical Best Practice Guidelines. International affairs & practice guidelines; (3).
– Vacchi R. (2010). Ruolo dell’infermiere Case Manager in un progetto sperimentale di Educazione Terapeutica rivolto al paziente politraumatizzato all’interno di un ICU. Corso di Alta Formazione “Case Management in Infermieristica ed Ostetricia” Edizione 2010 – 2011. Alma Mater Studiorum Università di Bologna.