Le emozioni per raccontare i fatti…


Un incontro nato per caso: un collega, Alessio che mi propone la recensione del libro di un altro collega Antonio Romano. Vite di C’Era, l’invisibile nell’impercettibile il titolo che già da solo è fonte di immediata curiosità: Un apostrofo che se c’è esprime un tempo verbale –c’era – e che se viene tolto rivela un sostantivo – cera.
L’autore nell’introduzione lo spiega così il significato di questa parte del titolo: “Il tempo al passato indica la fiamma riflessa da ognuno di noi, ogni istante in continua evoluzione. Essa diviene passato nell’attimo in cui è vissuta. La cera invece è ciò che rimane dopo lo sciogliersi della candela”.
Suggestiva anche la seconda parte del titolo, l’invisibile nell’impercettibile, due fasce evolutive per Antonio: gli invisibili e gli impercettibili.

Quando lo abbiamo incontrato gli abbiamo chiesto chi sono gli uni e chi sono gli altri e perché questa categorizzazione?
Per spiegare la ripartizione societaria tra invisibili ed impercettibili occorre focalizzarsi su uno dei grandi protagonisti del libro: il tempo.
I contenuti, oggetto di riflessione, diventano quindi innumerevoli.
Cosa siamo rispetto al tempo? Come lo valorizziamo? C’è un momento in cui comprendiamo maggiormente la sua importanza?
È proprio questo il punto di partenza. Ognuno di noi crede di avere assoluta padronanza del proprio tempo ma in realtà questa non è che pura illusione.
Ce ne rendiamo conto quando la nostra esistenza subisce un brusco rallentamento costringendoci a riflettere su noi e su ciò che di noi è stato.
Da qui la categorizzazione tra impercettibili (coloro che partecipano attivamente alle dinamiche sociali ed economiche) e gli invisibili (degenti cronici, pazienti psichiatrici, anziani, che vivono, o hanno sempre vissuto, in una dimensione meditativa).
I primi, impegnati a rinforzare le fondamenta del sistema, sembrano essere ignari della labilità degli eventi e si comportano come se avessero un tempo illimitato; gli invisibili, al contrario, consapevoli della loro debolezza resistono con l’obiettivo di impedire alla giostra di fermarsi.

Sei storie che raccontano la malattia cronica, diabete tipo 1, Alzheimer, schizofrenia, malattia tumorale, fibrosi polmonare, cardiomiopatia, depressione. Malattie diverse per manifestazioni ed evoluzione che hanno però in comune la cronicità e i vissuti anche se apparentemente simili sono spesso profondamente differenti. A tenere la regia e la “barra” della narrazione è Antonio che però in questa occasione è Nepente.

Antonio perché e chi è Nepente?
Esprimersi, raccontarsi, sfogare. Questo il filo conduttore tra differenti patologie e vissuti.
Vite di C’era ha origine durante la mia esperienza di tirocinio presso l’Università degli Studi di Siena. Allora, cercavo di mettere in pratica, in modo molto acerbo, un “metodo assistenziale” denominato Nursing Narrativo. Dopo diversi tentativi avevo conosciuto Luigi, degente nel reparto di Fisiopatologia Respiratoria. Un incontro avvenuto casualmente grazie alla richiesta di uno stick glicemico.
Ricordo, dopo averlo ascoltato, che tornato a casa avevo avvertito una strana sensazione. Pensavo continuamente alla nostra conversazione ma soprattutto all’incisività delle sue parole.
Il perfetto sconosciuto, senza alcuna inibizione, aveva riversato una miriade di informazioni che facevo fatica a trascurare. Concetti che appartenevano alla vita di tutti ma su cui, fino ad allora, non mi ero mai soffermato. Macigni tradotti in emozioni, sensazioni, insegnamenti, ricordi, rimpianti, espressi con una violenza tale da lasciare il segno. Luigi, al contrario della sua patologia, sfrecciava veloce come un treno. Mi regalava il suo tempo residuo chiedendo, in cambio, il mio tempo prezioso. Mi ero lasciato coinvolgere più di quanto potessi immaginare. Quelle emozioni le avevo riconosciute in altri pazienti, in contesti diversi e in patologie differenti. Ho, quindi, cominciato a scrivere e ricercare, altre, nuove storie in cui avrei potuto tradurre parole in emozioni.
Da qui, anche, l’idea del nome del protagonista/infermiere Nepente (da ne-penthes, Non Dolore) e il suo Effetto (Effetto Nepente) in grado, tramite l’ascolto, di alleviare e lenire le sofferenze e il dolore.

A un certo punto, a metà libro circa, cambia un poco il tuo ruolo, continui a essere narratore ma di una storia che è la tua. Siamo a marzo 2019: dopo aver “giustificato” con ragioni molto lontane dal reale i sintomi e i segni che sicuramente sapevi collocare nella direzione giusta, hai realizzato, di essere affetto da diabete di tipo 1. Questa la diagnosi che ti ha proiettato in una dimensione in cui eri improvvisamente curante e curato.

Che cosa ha significato, come hai coniugato i due “ruoli”?
Da ascoltatore a narratore della propria vicenda, della propria patologia. Quella che, al lettore, può sembrare un’autentica genialata diventa, malauguratamente, cruda e dura realtà. D’incanto, difatti, mi ero ritrovato a fare i conti con qualcosa di inaspettato. Quel tempo che credevo lontano da me risultava essere concreto e tangibile. Non avrei mai immaginato di essere tra i protagonisti delle mie storie. Un personaggio tra i personaggi. Da curante a curato. Infermiere e degente. Scrivere contenuti da una prospettiva completamente inedita: la mia. Un incubo.
Anch’io ero stato investito dall’imprevedibilità del tempo, risucchiato dal vortice delle emozioni. Non è stato facile calarmi nel ruolo di scrittore della mia storia. Mettere a nudo le mie sensazioni, i miei sfoghi, le mie emozioni, la mia rabbia, le mie paure. Il lettore, ora, riceve il testimone. A lui spetta l’arduo compito di imparare, tradurre, ascoltare e, soprattutto, divenire portavoce di due messaggi universali: fare tesoro del tempo e diffondere l’Effetto Nepente.

Le pagine di questa seconda parte scorrono generando un “movimento” che ricorda l’acqua di un fiume nel suo letto, dove la corrente non è impetuosa però evidenzia lo stravolgimento che ha significato questo cambiamento nella quotidianità.

Cosa è successo Antonio, cosa e come è cambiato per Nepente?
Questa bellissima metafora rende perfettamente l’idea su quanto gli eventi possano influenzare la nostra vita. Vivere la cronicità di una patologia porta, inevitabilmente, a osservare e a riformulare tutto partendo da un punto di vista completamente inedito. Nepente, adesso, è più consapevole. Ha provato sulla sua pelle alcune emozioni espresse dai pazienti. La sua scrittura diviene ancora più forte, più intensa. È attento ai dettagli di un fondale che credeva di conoscere ma che, in realtà, è carente di luminosità. Riflette su particolari che pensava fossero impenetrabili, intangibili. Elogia la vita vissuta, medita sull’imprevedibilità di ciò che sarà.
Comprende, risolve, impara. Racconta il valore del tempo prima che l’acqua sfoci nel mare. Nepente diverso, ma inspiegabilmente uguale a tutti gli altri. In bilico tra invisibilità e impercettibilità, beneficia del rallentamento del corso del fiume. La riva e gli argini, ora, ricevono un’osservazione dinamica e accurata. Insegna che, ognuno di noi, anche se in differenti contesti (tra le mura domestiche, all’interno di una scuola, nel contesto lavorativo, in mezzo ad una strada, in una stanza di degenza, nel pieno della nostra impercettibilità o alla fine della nostra invisibilità) ha l’obbligo di essere e il diritto di ricevere Nepente.

Oltre al modo di narrare che fa emergere le emozioni e i vissuti dei protagonisti dei racconti, accompagni le pagine con il suggerimento all’ascolto di una serie di brani da te selezionati e a una serie di immagini.

Che significato hanno musica e immagini nella narrazione?
Per immergere interamente il lettore in questa esperienza emozionale mi sono avvalso dell’ausilio di musiche (la playlist di Vite di C’era è disponibile su Spotify) e di illustrazioni (a cura dell’artista Olimpio Maria Concetta). Grazie alla polisensorialità indotta da questi elementi scandisco un ritmo e fornisco una profondità ai vissuti dei personaggi contestualizzando, nello stesso tempo, lo stato d’animo che mi ha accompagnato durante la scrittura e l’ascolto.

Un libro da leggere che fa rivisitare concetti, atteggiamenti e comportamenti che già ci appartengono ma che condivisi aggiungono valore alla presa in carico e al prendersi cura dell’altro non dimenticando mai che la relazione è tempo di cura.
Chiudiamo questa chiacchierata con una frase tutt’altro che nuova ma quanto mai attuale di Patch Adams che Antonio ha messo a chiosa del suo libro
: ”Se si cura una malattia si vince o si perde, ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia”.

Marina Vanzetta
2 aprile 2021

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