L’alimentazione nel fine vita: una web survey tra i professionisti sanitari


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INQUADRAMENTO
Una delle necessità fondamentali e fisiologiche della persona è il bisogno di alimentazione; quindi nutrire l’organismo con un adeguato apporto idro-elettrolitico è essenziale, e forse ancor più in caso di malattia, per affrontarla al meglio e combatterla fino alla guarigione.
Quando però cambia il paradigma, ovvero quando l’obiettivo della cura non è più la guarigione, intesa letteralmente come restitutio ad integrum, ma diventa il miglioramento della qualità di vita residua nella consapevolezza che si è instaurato un processo irreversibile di preparazione alla morte, il bisogno di alimentazione si trasforma, acquisendo significati nuovi e diversi. Nel caso di una persona nella fase terminale della vita, infatti, decidere come comportarsi, ossia se alimentare il paziente in nome del suo diritto a mangiare o bere, oppure interrompere l’apporto alimentare per non prolungare inutilmente il processo di morte, diviene un argomento delicato anche per le incertezze giuridiche ed etiche che gravano su questa scelta.
La Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale (SINPE) sostiene che la Nutrizione Artificiale (NA) è da considerarsi a tutti gli effetti un trattamento medico, proposto a scopo terapeutico o preventivo. Pertanto non è una misura ordinaria di assistenza, come lavare o alimentare un malato non autosufficiente, ma si configura come un trattamento medico sostitutivo, in quanto effettivamente sostituisce le funzioni fisiologiche, come ad esempio avviene per la ventilazione meccanica o per l’emodialisi. Di conseguenza, la somministrazione della miscela farmaceutica deve essere richiesta con una prescrizione medica e predisposta sulla base delle condizioni generali del paziente, del suo stato nutrizionale, della patologia che ha reso necessaria la NA, delle malattie preesistenti che possono alterare il metabolismo (es. diabete; cirrosi epatica; insufficienza renale) e delle possibili complicanze legate ai device di infusione (sindrome pinch-off; pnx; aritmie; trombosi; emorragie; LdP; perforazione dei visceri; flebiti); complicanze gastrointestinali da intolleranza; reefinding syndrome; infiammazione e complicanze infettive quali ab ingestis, peritonite o contaminazione batterica.
Alla luce di ciò è comprensibile la posizione dell’OMS nella sua pubblicazione “Controllo dei sintomi nella malattia terminale” (1998), dove alla voce NA indica che la nutrizione intravenosa è controindicata nei pazienti terminali, in quanto non migliora l’aumento ponderale e non prolunga la vita. La Nutrizione Enterale ha un ruolo molto limitato nella malattia terminale: dovrebbe essere usata solo nei pazienti che ne hanno un chiaro beneficio. La Nutrizione Artificiale non dovrebbe mai essere utilizzata nei pazienti moribondi.
La letteratura nazionale ed internazionale è carente rispetto alla NA nel fine vita. L’infermiere di NA viene però definito come un professionista che ha acquisito una particolare specializzazione nell’area della nutrizione clinica; opera in collaborazione con altre figure, con l’obiettivo di ristabilire o mantenere un ottimale stato nutrizionale nell’individuo con potenziali o accertati deficit nutrizionali. L’infermiere partecipa alla formulazione del programma nutrizionale, nell’indicazione al trattamento, nella scelta dell’accesso, nella pianificazione del programma nutrizionale a medio e lungo termine (AA. VV., 2002).
Dal punto di vista bioetico, non è da sottovalutare, poi, il ruolo dell’alimentazione, in quanto, oltre ad apportare nutrimento al nostro organismo, esprime la cultura di un determinato popolo. Questo significato così esteso del cibo ci fa capire perché, talvolta, è così difficile interrompere l’alimentazione.
La perdita della capacità di alimentarsi ed idratarsi è un fenomeno naturalmente correlato al morire, anche se, solitamente, tale perdita viene interpretata come causa di morte. Molti sono i sintomi che si verificano in tale situazione, in particolare nausea e vomito, difficili da sopportare e controllare per il paziente, i familiari e gli operatori che assistono la persona nella fase finale, poiché spesso sono accompagnati dall’imprevedibilità dell’insorgenza, dall’incapacità ad assumere adeguatamente cibi e liquidi, dalla sensazione di gusto acido e amaro e da alterazioni olfattive.
Parlare di alimentazione e idratazione nel fine vita significa anche accompagnare le famiglie attraverso un percorso di assistenza, talvolta difficile e durante il quale emergono numerosi dubbi, volto alla comprensione della situazione: l’idea che “se non mangia muore” dovrebbe lasciare gradualmente il posto alla consapevolezza che “non mangia più perché sta morendo” (Rizzi, 2015). Questo pregiudizio va affrontato e sfatato, perché, quando si entra nell’ottica che il prolungamento dell’esistenza cessa di essere un obiettivo realistico e raggiungibile, forzare l’apporto di nutrienti e liquidi diventa fonte di sofferenze e complicazioni. Anche se a prima vista il binomio morte-qualità può risultare come una contraddizione di termini, quasi un ossimoro, tutto ciò è auspicabile. Una morte di qualità si realizza quando si comincia a parlare esplicitamente nella comunicazione fra medico, infermiere, paziente e familiari; ovviamente nei modi dovuti alla sensibilità, allo stato di sofferenza e alla cultura del paziente e dei suoi congiunti. A partire da ciò, in maniera concorde, si pensa al percorso di cura che resta, orientandolo primariamente verso il controllo dei sintomi, piuttosto che verso il prolungamento dell’esistenza con sforzi diagnostici e terapeutici futili e sproporzionati. Affinché ciò avvenga, è necessario impostare le cure in prospettiva di accompagnamento del paziente e non nella prospettiva della sopravvivenza ad oltranza (Lusiani, Bullo, 2017).
La presente indagine ha lo scopo di esplorare le conoscenze e il punto di vista dei professionisti sanitari rispetto a vantaggi e svantaggi della NA nel fine vita, in considerazione degli aspetti bioetici, delle indicazioni e dei protocolli esistenti nei servizi). Questo perché assumere delle scelte in ambito sanitario non è mai semplice: trovarsi di fronte ad ipotesi alternative ed essere costretti ad una decisione può mettere in difficoltà i professionisti sanitari coinvolti.

RISULTATI
Abbiamo realizzato una web survey, mediante un campionamento di convenienza con reclutamento online. L’indagine è stata rivolta a medici, infermieri, operatori sociosanitari e ad altro personale dei servizi di assistenza, escludendo i non sanitari, disoccupati e pensionati. Per questo motivo è stata appositamente inserita una domanda filtro, che ha impedito ai soggetti che non rispettavano questo criterio di inclusione di proseguire nella compilazione; è stato così possibile scartare 73 delle 343 risposte ottenute, in quanto non attinenti ai criteri di ricerca sopra elencati. Il questionario è stato costruito ad hoc, ed era composto da 14 domande a scelta multipla ed una domanda aperta.
Il questionario è stato diffuso online nel periodo compreso ottobre – novembre 2019.
Hanno partecipato all’indagine 270 soggetti. La partecipazione del personale infermieristico è stata nettamente superiore (80%) rispetto agli altri professionisti sanitari (studenti di infermieristica 6,3%; medici 3,70%; ostetriche 3,70%; operatori sociosanitari 2,96%; tecnici di laboratorio e di radiologia 1,48%; assistenti sanitari 0,74%; coordinatori 0,37%; logopedisti 0,37%).
L’età degli intervistati va dai 18 ad oltre 65 anni.
Gli ambiti di lavoro nei quali i partecipanti all’indagine svolgono la propria professione sono: area medica (32,59%), area critica (21,85%), area territoriale (20%), area chirurgica (11,48%), hospice (3,70%), area ostetrica (3,70%), area pediatrica (1,48%), area psichiatrica (1,48%), area oncologica (1,48%), direzione sanitaria (1,48%) e laboratorio analisi (0,74%).
Gli intervistati si sono dimostrati consapevoli di non essere completamente preparati ad affrontare il processo dell’alimentazione nel fine vita: questo può essere dovuto, da un lato, alla carenza di informazioni specifiche fornite nella formazione di accesso alla propria professione, dall’altro alle innumerevoli sfaccettature che il processo del morire può assumere in rapporto alla variabilità individuale.
Non tutti i professionisti sanitari, infatti, sanno riconoscere le competenze mediche e ancor meno quelle infermieristiche in merito all’argomento. Infatti, alla domanda “Quali sono le competenze dell’infermiere nell’ambito della Nutrizione Artificiale nel fine vita?” e nello specifico “L’infermiere partecipa alla formulazione del programma nutrizionale, all’indicazione al trattamento, alla scelta dell’accesso, alla pianificazione del programma nutrizionale”, il 16,30% dei rispondenti ha indicato “no” (Tabella 1). Dei soggetti che hanno risposto “no”, gli infermieri sono il 75% (Figura 1). È opportuno sottolineare questo punto con attenzione, in quanto, il 50% di essi (Figura 2) lavora nell’area medica (27,27%) o territoriale (24,24%), ossia realtà maggiormente a contatto con questo fenomeno rispetto all’area chirurgica o critica.

L’infermiere Si No Non so
Partecipa alla formulazione del programma nutrizionale, all’indicazione al trattamento, alla scelta dell’accesso, alla pianificazione del programma nutrizionale  

 

210 (77,78%)

 

 

44 (16,30%)

 

 

16 (5,93%)

Ha il solo compito di somministrare la miscela 31 (11,48%) 236 (87,41%) 3 (1,11%)
Valuta il rapporto rischio/beneficio prima di intraprendere tale terapia  

222 (82,22%)

 

28 (10,37%)

 

20 (7,41%)

Ha il solo compito di somministrare la miscela, valutare i parametri e le complicanze  

56 (20,74%)

 

207 (76,67%)

 

7 (2,59%)

Valuta eventuali cambiamenti avvenuti nella tolleranza nei confronti sia dell’accesso sia della miscela nutrizionale e proporre eventuali interventi correttivi  

 

258 (95,56%)

 

 

6 (2,22%)

 

 

6 (2,22%)

Indaga sulle volontà del paziente, se cosciente e coerente con la situazione, in caso contrario, chiedere ai familiari se è presente un documento di sottoscrizione anticipata delle cure  

 

236 (87,41%)

 

 

24 (8,89%)

 

 

10 (3,70%)

Sospende la nutrizione quando diventa accanimento terapeutico  

176 (65,19%)

 

51 (18,89%)

 

43 (15,93%)

Tabella 1. – “Quali sono le competenze dell’infermiere nell’ambito della Nutrizione Artificiale nel fine vita?”

Figura 1. – Stratificazione per professione.

Figura 2. – Stratificazione per ambiti lavorativi.

L’infermiere Si No Non so
Partecipa alla formulazione del programma nutrizionale, all’indicazione al trattamento, alla scelta dell’accesso, alla pianificazione del programma nutrizionale  

 

7 (77,78%)

 

 

0 (0%)

 

 

2 (22,22%)

Ha il solo compito di somministrare la miscela 0 (0%) 8 (88,89%) 1 (11,11%)
Valuta il rapporto rischio/beneficio prima di intraprendere tale terapia  

8 (88,89%)

 

1 (11,11%)

 

0 (0%)

Ha il solo compito di somministrare la miscela, valutare i parametri e le complicanze  

0 (0%)

 

8 (88,89%)

 

1 (11,11%)

Valuta eventuali cambiamenti avvenuti nella tolleranza nei confronti sia dell’accesso sia della miscela nutrizionale e proporre eventuali interventi correttivi  

 

9 (100%)

 

 

0 (0%)

 

 

0 (0%)

Indaga sulle volontà del paziente, se cosciente e coerente con la situazione, in caso contrario, chiedere ai familiari se è presente un documento di sottoscrizione anticipata delle cure  

 

 

9 (100%)

 

 

 

0 (0%)

 

 

 

0 (0%)

Sospende la nutrizione quando diventa accanimento terapeutico  

8 (88,9%)

 

0 (0%)

 

1 (11,11%)

Tabella 2. – Risposte degli infermieri che lavorano in hospice alla domanda “Quali sono le competenze dell’infermiere nell’ambito della Nutrizione Artificiale nel fine vita?”

Quasi tutti i professionisti sanitari partecipanti all’indagine concordano sul fatto che sia sempre importante mettere il paziente al centro del processo decisionale, come è possibile riscontrare in Figura 3.

Figura 3. – “Nel fine vita è importante, secondo lei, mettere al centro del processo decisionale il paziente?”

È stata però evidenziata un’incoerenza tra “il dire e il fare” (Tabella 3), in quanto degli stessi solo il 65,56% afferma effettivamente di affrontare i problemi di natura etica all’interno del proprio reparto “coinvolgendo il paziente”.

Come vengono affrontati i problemi di natura etica nei reparti?  

Si

 

No

 

Non so

In discussioni di reparto organizzate a seconda delle esigenze dei singoli casi 151 (55,93%) 100 (37,04%) 19 (7,04%)
In discussioni di reparto organizzate con scadenze più o meno regolari  

80 (29,63%)

 

166 (61,41%)

 

24 (8,89%)

Coinvolgendo i familiari del paziente 210 (77,78%) 42 (15,56%) 18 (6,67%)
Coinvolgendo i pazienti 177 (65,56%) 74 (27,41%) 19 (7,04%)
Ricorrendo ad una consulenza specifica 159 (58,89%) 82 (30,37%) 29 (10,74%)
Altro 54 (20%) 120 (44,44%) 96 (35,56%)

Tabella 3. – “Nel contesto in cui opera come sono affrontati i problemi di natura etica?”

Questo deve offrire uno spunto di riflessione in quanto la causa sottostante, oltre alla carenza di informazioni specifiche fornite durante il corso di studi, potrebbe essere la mancanza di procedure e protocolli validati a disposizione dei servizi di degenza.
Alla domanda “nel reparto in cui lavora si utilizzano protocolli o procedure codificate per i seguenti ambiti”, risulta l’assenza di protocolli e/o procedure per l’accompagnamento al morente dichiarata dal 47,41% dei soggetti e dal 64,44% dichiarata rispetto all’accompagnamento al morente (Tabella 4).

Esistenza protocolli e/o procedure nei servizi di degenza Si No Non so
Cura della terminalità 96 (35,56%) 154 (57,04%) 20 (7,41%)
Alimentazione nel fine vita 70 (25,93%) 174 (64,44%) 26 (9.63%)
Accompagnamento al morente 120 (44,44%) 128 (47,41%) 22 (8,15%)
Comunicazione del decesso ai parenti 154 (57,04%) 94 (34,81%) 22 (57,04%)
Assistenza alle famiglie 122 (45,19%) 121 (44,81%) 27 (10%)

Tabella 4. – “Nel reparto in cui lavora si utilizzano protocolli o procedure codificate per i seguenti ambiti”.

La maggior parte dei professionisti partecipanti all’indagine sembra non conoscere le controindicazioni e gli obiettivi di tale terapia. Infatti alcuni ritengono che “aumentare l’introito giornaliero del paziente” sia un risultato auspicabile in una condizione di fine vita quando alla base c’è tutt’altro concetto, ovvero “il miglioramento della qualità di vita” (Tabella 5).

Affermazioni inerenti gli obiettivi della NA nel fine vita SI No Non so
Eliminare il rischio di malnutrizione 142 (52,59%) 114 (42,22%) 14 (5,19%)
Miglioramento della qualità di vita 200 (74,07%) 58 (21,48%) 12 (4,44%)
Aumentare l’introito giornaliero del paziente 109 (40,37%) 139 (51,48%) 22 (8,15%)

Tabella 5. – “Secondo lei, nel fine vita, quale è l’obiettivo della Nutrizione Artificiale?”

Come evidenziato nel documento “ESPEN – Guideline on ethical aspects of artificial nutrition and hydratation” (2016), “la qualità̀ della vita deve sempre essere presa in considerazione per qualsiasi tipo di trattamento medico, tra cui la Nutrizione Artificiale” (Druml Ballmer, 2016). Questo miglioramento della qualità̀ della vita è da intendersi in termini di comfort e dignità̀ per il paziente, non solo come aumento in termini di tempo, in quanto è un controsenso il fatto che per “allungare” la vita ad un assistito, magari introducendo un sondino naso-gastrico, sia necessario ricorrere a mezzi di contenzione, pur di far tollerare il presidio.

CONCLUSIONI
Pur considerando i limiti della presente indagine, emerge la necessità di implementare conoscenze specifiche per i professionisti sanitari sulla tematica relativa alla NA nel fine vita. In alcuni casi potrebbe essere necessaria anche una figura professionale specifica, che possa rispondere ai bisogni e alle richieste più delicate dei pazienti alla fine della vita e dei loro familiari.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

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Bibliografia

– AA. VV., (2002), Evidence-Based Nursing in Nutrizione Artificiale. Rivista Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale/Anno 20 S5, pp. S37-S43.
– Druml C., Ballmer P.E., Druml W., Oehmichen F., Shenkin A., Singer P., Soeters P., Weimann A., Bischoff S.C. (2016), ESPEN guidelines on ethical aspects of artificial nutrition and hydration. Clinical nutrition, xxx, 1-12.
– Lusiani L., Bullo C., (2017), Il concetto di terminalità: certezze e incertezze. Quaderni dell’Italian Journal of Medicine, Volume 5, pp. 23-27.
– Rizzi B (2015), L’alimentazione nel fine vita, tra desiderio e possibilità. Noi di Vidas. Disponibile da: https://www.noidividas.it/2015/09/lalimentazione-nel-fine-vita-tra-desiderio-e-possibilita/ (u.c.25.11.2020) WHO, (1998) Symptom relief in terminal illness. – – World Health Organization Geneva, 1998b.