Cosa abbiamo imparato dalla pandemia per il futuro dell’assistenza


Non è certo ancora tempo di bilanci perché nulla si è concluso davvero, ma è necessario comunque uno sguardo indietro sulla situazione creata dalla pandemia COVID-19 negli ultimi tre mesi, per fare il punto su come questo periodo è stato vissuto – e si sta vivendo – dagli infermieri e su quelli che possono essere gli insegnamenti per tutti per un futuro migliore.
Lasciando per il momento da parte i problemi ormai noti della retribuzione, tra le più basse d’Europa e della carenza che ci pone agli ultimi posti sempre in Europa, che sicuramente andranno trattati e risolti definitivamente, come la stessa Federazione ha già messo nero su bianco al Governo e alle Regioni, la pandemia ha dimostrato anzitutto gli errori di programmazione pregressi, quando cioè si è puntato di più sull’organizzazione della rete ospedaliera, lascando da parte gli aspetti della prevenzione e la rete territoriale di assistenza.
I professionisti hanno dovuto affrontare l’eccezionalità dell’evento con gli schemi organizzativi esistenti – spesso rivoluzionati dall’evolversi dell’emergenza – e con gli strumenti a loro disposizione.
Non molti strumenti a dire la verità, perché dopo anni di tagli alla spesa sanitaria, si è rivelata dannosa la diminuzione costante di personale e il nostro sistema sanitario che poggia sui tre pilastri di ospedale, territorio e prevenzione, ha visto assistenza territoriale e prevenzione doversi scontrare con quella ospedaliera per riuscire a recuperare risorse, anche a livello regionale non per evolversi, ma almeno ‘per farcela’.
Ci siamo trovati con un sistema della prevenzione molto impoverito, anche se è quello che dovrebbe far fronte per primo a ondate epidemiche perché lavora sui giovani, ‘insegna’ loro e li deve mettere nelle condizioni di invecchiare in salute, cosa che proprio nella pandemia si è invece dimostrato determinante ai fini anche della stessa sopravvivenza delle persone, spesso colpite da numerose comorbidità per errori di salute pregressi.Così come tutta l’assistenza territoriale che assieme alla prevenzione è quella che meno ha retto l’urto della pandemia.
Ormai si è riaperto quasi tutto e si sta gradatamente, con le dovute cautele, tornando alla normalità, ma sono molto preoccupata ad esempio dall’impatto che tutto questo ha avuto e avrà sui bambini e sugli anziani, due fasce di popolazione che meritano una riflessione particolare perché sono quelle dotate di meno strumenti concettuali e che di più hanno subito il distanziamento sociale e si trovano più fragili difronte a questo tema. Quindi anche quelle che di più hanno bisogno di non restare sole.
Cosa ci hanno insegnato questi mesi? Se di errori si deve parlare, si deve guardare al passato e tornare ancora una volta sul definanziamento del sistema che non ha consentito di investire sui professionisti, patrimonio del SSN, sull’innovazione dei modelli organizzativi, tecnologici, sull’innovazione farmacologica.
Contestualmente però si profilano anche vie di lavoro nuove per il futuro, se è vero, come è vero, che in poche ore siamo stati in grado di trasformare ospedali e professionisti, tutti, con il massimo affiatamento tra professioni. Altrimenti non avremmo retto l’urto.
Questa è la prima caratteristica: siamo stati capaci di trasformare un sistema lento, in un sistema rapido e questo deve insegnare a incardinare tutto in un nuovo modello di lavoro continuativo, non legato all’emergenza.
Siamo stati in grado di far partire telemedicina, tele monitoraggio, telenursing, dopo anni e anni di dibattito che non hanno consentito di far decollare questi importanti strumenti che ora vanno sviluppati e non lasciati ancora una volta da parte .
Dobbiamo necessariamente imparare, quindi, da questa esperienza. Lo dobbiamo prima di tutto ai cittadini e ai pazienti, ma anche ai nostri colleghi che non ci sono più, a quelli ammalati, a chi ha dato sé stesso per assistere gli altri.
Non dobbiamo ripetere gli errori del passato, il che significa strutturare in maniera organica riflessioni su scelte allocative riferite al nostro patrimonio di professionisti. Negli ultimi dieci anni la nostra professione si è trovata a fare i conti con fenomeni nuovi come ad esempio quello del precariato, che per gli infermieri dieci anni fa era una novità assoluta. Con la caratteristica e la conseguenza che tutto questo non ha fatto altro se non depauperare il patrimonio professionale del SSN.
Quando esce un professionista dal sistema si porta dietro la sua competenza e se nessuno la raccoglie questa va persa: noi dobbiamo fare in modo che le competenze restino nel servizio, perché su queste possiamo costruire il futuro.
Sono competenze anche di relazione, di multi-professionalità, di costruzione delle reti: dobbiamo imparare a consolidarle proprio partendo da ciò che è avvenuto in questi tre mesi. Fa parte delle scelte allocative e organizzative ed è arrivato il momento di superare la frammentazione di percorsi e servizi che c’è tra sociale e sanitario: abbiamo visto, mai come in questa pandemia, cosa vuol dire il contesto sociale di riferimento e non si può di nuovo abbandonarlo.
Abbiamo bisogno di ricomporre tutte le frammentazioni a cui ci siamo trovati difronte. Spero che il paese sia uscito da questo tunnel, anche se probabilmente avremo davanti un autunno e un inverno difficili. Ma proprio per questo dobbiamo essere pronti a introdurre un vero e proprio welfare di comunità, a spostare il focus più vicino possibile al cittadino per poter presidiare il territorio e lasciare all’ospedale, alle terapie intensive e sub intensive la possibilità di manifestare la loro potenzialità.
Va fatta un’analisi dei punti di forza e debolezza e se ne deve prendere atto nel servizio sanitario nazionale per non lasciare da parte nulla di ciò che ci ha aiutato ad aiutare, a curare, ad assistere le persone.
Siamo professionisti, non eroi come spesso in questi momenti ci hanno definiti. E sappiamo che alcuni di quelli che finora nella pandemia ci hanno applaudito dai balconi, tra qualche mese torneranno a essere negativi verso gli operatori sanitari nelle sale d’attesa degli ospedali, sul territorio. Per questo, da subito, va rinnovato il patto di fiducia con i cittadini e dobbiamo e possiamo farlo anche in funzione di ciò che abbiamo imparato e compreso e che gli altri hanno imparato e compreso con noi, da noi e di noi, nel bene e nel male, nei momenti peggiori della pandemia.

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