INTRODUZIONE
Negli ultimi anni sempre più studi a livello internazionale (Antinaho et al., 2015; Bekker et al., 2015; Chaboyer et al., 2008; Hendrich et al., 2008; Kudo et al., 2012; Lavander et al., 2016; Lu et al., 2008; Munysia et al., 2011, Roche et al., 2015) hanno analizzato le attività svolte dagli infermieri nella pratica quotidiana mettendo in luce differenze tra i diversi paesi pur nel comune denominatore del concetto di assistenza infermieristica e dei suoi scopi. In questo scenario, crescente attenzione è emersa rispetto alle attività che gli infermieri svolgono ma che non sono comprese nel loro campo professionale. Tali attività, denominate attività ‘non infermieristiche’ (non-nursing tasks) sono state introdotte nel dibattito professionale e scientifico sin dal 1961 (Connor, 1961), sviluppate concettualmente da McKenna nel 1998 e riprese con grande attenzione nell’ultimo quinquennio a causa dell’aumento della loro prevalenza (Bekker et al., 2015; Bruyneel et al., 2013; Kudo et al., 2012; Roche et al., 2015; Velickovic et al., 2014).
Tuttavia, malgrado il dibattito conti ormai più di 50 anni, il concetto di attività ‘non infermieristiche’ non è stato ancora definito compiutamente: le differenze nella pratica infermieristica tra i Paesi, la percezione eterogenea degli stessi infermieri rispetto a che cosa è – e non è – appropriato al loro campo di attività, nonché la continua evoluzione del ruolo (Benton et al., 2017; Mangiacavalli, 2018) hanno impedito una definizione universalmente condivisa delle attività ‘non infermieristiche’.
Pur nell’ambito di un consenso provvisorio, ad oggi sono considerate ‘non infermieristiche’ quelle attività che dovrebbero essere svolte da altri operatori poiché non prevedono l’uso di conoscenze e competenze infermieristiche (Velickovic et al., 2014) come ad esempio il ritiro dei vassoi del pranzo, la pulizia degli ambienti o le attività di segreteria (Bruyneel et al., 2013; Kudo et al., 2012; Cornell et al., 2010; Kearney et al., 2016). Alcuni autori (Desjardins et al., 2008; Hendrich et al., 2008) hanno incluso tra le attività ‘non infermieristiche’ anche rispondere al telefono.
Le attività ‘non infermieristiche’ sono state attribuite a diverse cause quali la riduzione del personale ausiliario e la modificazione nello staff mix (Scott et al., 2013; McGillis Hall, 2003; Buchan e Dal Poz, 2002; Roche et al., 2015; Kearney et al., 2016; Bruyneel et al., 2013).
Dal punto di vista dei pazienti, quando gli infermieri svolgono attività ‘non infermieristiche’ aumentano le missed care (Bassi et al., 2018; Kearney et al., 2016, Scott et al., 2013; Roche et al., 2015) e il tempo dedicato alle cure indirette (Antinaho et al., 2015; Chaboyer et al., 2008).
Dal punto di vista degli infermieri, svolgere attività ‘non infermieristiche’ aumenta la loro insoddisfazione (Bekker et al., 2015; Kudo et al., 2012; Lu et al., 2008; Tarrant e Sabo, 2010; Piko, 2006), la percezione di ‘sprecare il proprio tempo’ (Hendrich et al., 2008), il rischio di burnout e di conflitti all’interno del team (Chang e Hancock, 2003; Lu et al., 2008; Tunc e Ozen Kutanis, 2009).
Malgrado la crescente attenzione sul concetto, sulle sue cause ed effetti nonché sul tempo dedicato alle attività ‘non infermieristiche’ (Bekker et al., 2015) che può variare dal 35% (Fitzgerald et al., 2003) al 62% di un turno di lavoro (Bruyneel et al., 2013), non sono state documentate ad oggi le strategie messe in atto dagli infermieri per evitare e/o contenere il fenomeno.
Finalità di questo studio è quantificare il fenomeno delle attività ‘non infermieristiche’ e descrivere le strategie messe in atto dagli infermieri per evitarle e/o contenerle.
MATERIALI E METODI
Disegno di studio
L’Ordine degli Infermieri di Belluno (OPI) ha disegnato e condotto uno studio descrittivo tra il 2016 e il 2017 quale parte integrante del progetto di ricerca “APRI” (Appropriatezza PRofessionale Infermieristica, Grosso et al., 2018a) con la collaborazione dell’Università degli Studi di Udine e con il supporto economico della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI).
Popolazione
Rispetto alla popolazione infermieristica complessiva (n = 1987) iscritta all’OPI di Belluno erano eleggibili per lo studio coloro (a) lavorativamente attivi al momento dello studio, sia come infermieri dipendenti sia come libero-professionisti; (b) raggiungibili tramite e-mail certificata o tramite i Coordinatori infermieristici delle strutture presso cui lavoravano e (c) disponibili a partecipare allo studio.
In accordo ai criteri di inclusione erano complessivamente eleggibili 1331 infermieri, ovvero il 66.9% della popolazione infermieristica totale iscritta all’OPI nell’anno in cui si è svolto lo studio.
Strumenti di raccolta dati
Attraverso la prima fase qualitativa dello studio APRI (Grosso et al., 2018b) è stato sviluppato un questionario analizzando la letteratura di riferimento, le lettere pervenute all’OPI riguardanti le attività ‘non infermieristiche’ e multipli focus group.
Il questionario sviluppato è stato sottoposto alla validità di contenuto, di facciata (SG, ST, IB, LPDM, AP) e a fase pilota per verificare la comprensibilità e la fattibilità.
Non sono stati suggeriti cambiamenti alla formulazione delle domande e pertanto lo strumento è stato confermato.
Il questionario esplorava oltre alle variabili di interesse (demografiche e professionali), le percezioni degli infermieri rispetto a (a) quali sono le attività ‘non infermieristiche’ svolte dagli stessi nella pratica quotidiana; (b) per quali ragioni tali attività sono svolte; (c) con quali conseguenze sui pazienti, sulle cure erogate, sull’organizzazione e sulla professione infermieristica.
In particolare, per le finalità del presente studio, veniva chiesto il tempo dedicato ad attività ‘non infermieristiche’ in percentuale sulla durata del turno (es. 5%, 40%) e se gli infermieri avevano attivato strategie per evitare e/o contenere tali attività (variabile dicotomica, si/no). Veniva inoltre richiesto di riportare:
- quali strategie avevano attivato nell’ultimo anno rispetto ad una lista predisposta di possibili strategie per le quali dovevano indicare con una scala Likert (da 1 poche volte, a 4 sempre) la frequenza di utilizzo. A tal fine, il questionario prevedeva il set di strategie emerse dalle interviste in profondità realizzate nella prima fase qualitativa dello studio APRI (Grosso et al., 2018b) in cui alla domanda ‘nel tuo quotidiano, quali sono gli interventi che gli infermieri individualmente o in gruppo mettono in atto per prevenire o contenere le ‘attività non infermieristiche’? i partecipanti avevano riportato la loro personale esperienza che, categorizzata, aveva restituito cinque tipologie di strategie:
- la revisione in gruppo dell’organizzazione del lavoro, dei processi assistenziali e dei ruoli;
- la discussione in gruppo (es. riunioni) di specifiche strategie/soluzioni;
- il rifiuto di svolgere attività ‘non infermieristiche’;
- lo svolgimento di ore straordinarie per completare le attività assistenziali a causa del tempo dedicato a quelle ‘non infermieristiche’;
- la documentazione dello svolgimento di attività ‘non infermieristiche’ al fine tracciarne la frequenza verso gli organi direzionali;
- l’efficacia percepita di ciascuna strategia nella riduzione e/o contenimento delle attività ‘non infermieristiche’ con una scala Likert da 1 (per nulla) a 4 (molto).
Metodo di raccolta dati
Sono state utilizzate due strategie di raccolta dati: per gli infermieri che lavoravano come dipendenti di strutture aziendali, i questionari sono stati distribuiti a mano dai Coordinatori infermieristici delle stesse strutture. Per massimizzare la partecipazione degli infermieri, è stato concesso circa un mese di tempo.
Agli infermieri Liberi Professionisti e a coloro che lavoravano in strutture territoriali, comprese cooperative private e residenziali, è stato inviato tramite posta elettronica certificata il link al questionario online.
Per massimizzare la partecipazione, è stato pubblicato sul sito ufficiale dell’OPI di Belluno un invito a rispondere e sono stati inviati tre solleciti via email.
Analisi statistica
I dati sono stati analizzati tramite i metodi e gli strumenti della statistica descrittiva calcolando frequenze, percentuali, medie e Intervalli di Confidenza (IC) al 95%. È stato a tal fine utilizzato il Software SPSS versione 24.00.
Autorizzazioni e considerazioni etiche
Il progetto di ricerca è stato approvato dal Consiglio Direttivo dell’OPI di Belluno con seduta deliberativa n. 30 del 16.07.2015; le fasi progettuali nonché i risultati sono stati presentati all’Assemblea Annuale dell’OPI.
Tutti i partecipanti sono stati informati dello scopo dello studio ed hanno fornito consenso alla partecipazione. I dati sono stati raccolti in maniera anonima, sia quelli compilati on-line che quelli cartacei, utilizzando per quest’ultimi un box di raccolta sigillato all’interno delle Unità Operative.
RISULTATI
Popolazione
Hanno partecipato 743 infermieri sui 1331 coinvolti (55.8%); 10 questionari (0.7%) non erano completi e pertanto non sono stati inclusi nell’analisi. Sono stati dunque analizzati 733 questionari.
La maggioranza dei partecipanti era di genere femminile (606; 82.7%) e l’età media era di 43.6 anni come emerge dalla tabella 1.
La maggior parte aveva una formazione regionale (Scuola Infermieri 476, 64.9%) e il 16.7% (n=123) una formazione avanzata in ambito infermieristico. Larga parte dei partecipanti lavorava in contesto ospedaliero (599; 81.7%).
La quasi totalità degli infermieri ha riferito di svolgere quotidianamente nell’ultimo anno attività ‘non infermieristiche’ (693; 94.5%) mentre solo 40 (5.5%) ha riportato di non svolgerle mai.
Coloro che le svolgevano, hanno riferito di dedicare mediamente un terzo del proprio turno di lavoro ad attività ‘non infermieristiche’ (in media 32.6%, IC 95% 31.4-33.7%).
Le strategie utilizzate nel quotidiano
Solo 297 infermieri (40.5%) hanno riportato di aver attivato nell’ultimo anno strategie per contenere e/o evitare il fenomeno delle attività ‘non infermieristiche’.
Tuttavia, entrando del merito delle possibili strategie, la maggioranza ha riferito di aver rivisto in gruppo l’organizzazione del lavoro, i processi assistenziali e i ruoli (445; 60.7%) e di aver svolto ore straordinarie per erogare l’assistenza infermieristica compensando il tempo speso in attività ‘non infermieristiche’ (438; 59.7%).
Larga parte dei partecipanti ha riferito di aver discusso in gruppo possibili soluzioni (437; 59.6%) e di essersi rifiutata di svolgere le attività ‘non infermieristiche’ (435; 59.3%); in misura minore ha riportato di aver documentato lo svolgimento di tali attività (424; 57.8%) (Tabella 2).
Efficacia percepita
La strategia mediamente più efficace come riferito dagli infermieri è maturare ore straordinarie per portare a termine le attività infermieristiche tralasciate per svolgere quelle ‘non infermieristiche’: sulla scala Likert da 1 (per niente) a 4 (molto) l’efficacia media emersa è stata, infatti, di 2.21 (IC 95% 2.10-2.31). Discutere in gruppo per trovare soluzioni ha riportato valori medi di efficacia di 2.15 (IC 95% 2.06-2.23) seguita dal rivedere in gruppo l’organizzazione del lavoro (media 2.20, IC 95% 2.10-2.22).
Le strategie percepite come meno efficaci, sono rifiutare di svolgere le attività ‘non infermieristiche’ (media 1.75, IC 95% 1.65-1.84) e documentare tali attività (1.68, IC 95% 1.59-1.76) (Tabella 3).
DISCUSSIONE
Abbiamo quantificato il tempo dedicato ad attività ‘non infermieristiche’ ed esplorato le strategie attivate dagli infermieri per evitarle e/o contenerle: seppur sia importante studiare quali sono le attività improprie, le cause e le conseguenze, è altrettanto importante realizzare studi che riferiscano gli sforzi quotidiani svolti dagli infermieri per evitarle.
I partecipanti infermieri dell’OPI di Belluno avevano caratteristiche demografiche e professionali simili alla popolazione infermieristica italiana (Fortunato, 2013).
La quasi totalità ha dichiarato di svolgere attività ‘non infermieristiche’ durante la pratica quotidiana (693, 94.5%), risultati che concordano con quanto riportato in precedenti studi (Bruyneel et al., 2013; Bekker et al., 2015).
Nello specifico, hanno dichiarato di utilizzare circa 1/3 del loro tempo lavorativo in attività che non sarebbero di loro competenza; si tratta di un dato simile a quello riportato da Hendrich et al. (2009) e di molto superiore a quanto documentato da Desjardins et al. (2008) in cui il tempo impiegato dagli infermieri nello svolgimento di non-nursing tasks era del 9% di ciascun turno lavorativo. Meno della metà degli infermieri (297, 40.5%) ha tuttavia riportato di aver fatto qualcosa per contenere e/o evitare attività non appartenenti al proprio ambito di competenza; questo potrebbe indicare una sorta di rassegnazione e senso di impotenza nel cambiare le prassi operative; ma anche che le soluzioni per contenere il fenomeno siano pertinenza di altri, non del singolo infermiere.
La FNOPI (2018) ha recentemente suggerito che gli infermieri non debbano chiedere alle organizzazioni di evitare gli atti ‘demansionanti’ quanto piuttosto di insistere sulla necessità di poter esprimere la propria professionalità.
Entrando nell’analisi delle singole strategie, più infermieri (da 57.8% a 60.7%), rispetto a quanti avevano riferito di aver fatto qualcosa per contenere e/o evitare questo fenomeno nell’ultimo anno (40.5%), hanno risposto alle diverse opzioni.
Specificamente le strategie proposte dal questionario (Grosso et al., 2018b) consistevano in interventi (a) ‘diretti’ volti a evitare/contenere il fenomeno (attuabili a livello individuale, come documentare le attività ‘non infermieristiche’ svolte o rifiutarsi di svolgerle, e a livello di gruppo, come discutere per trovare soluzioni e rivedere l’organizzazione del lavoro) e (b) ‘indiretti’, volti a contenere gli effetti del tempo dedicato in attività ‘non infermieristiche’ come maturare ore straordinarie per completare le proprie attività.
Le strategie più frequentemente riportate sono state, nell’ordine, la revisione dei processi di lavoro e la discussione in gruppo delle possibili soluzioni: questo suggerisce che gli infermieri stanno affrontando la problematica insieme ad altri. Diversamente, maturare ore straordinarie o documentare le attività ‘non infermieristiche’ sono state attivate in misura meno frequente. Infine, ‘rifiutarsi di svolgere le attività non infermieristiche’ è emersa quale strategia a minor frequenza di utilizzo.
Valutando l’efficacia, quella percepita come più congrua è stata svolgere le ore straordinarie: gli infermieri dunque scelgono di completare le proprie attività al di fuori del loro orario di lavoro per contenere gli esiti negativi della mancata assistenza sui pazienti, attivando una strategia ‘palliativa’ di fronteggiamento del problema. Diversamente, discutere le soluzioni o rivedere in gruppo i processi di lavoro, sono state percepite come meno efficaci.
Probabilmente gli infermieri ritengono che qualsiasi strategia dovrebbe coinvolgere anche altri professionisti (medici, altri professionisti sanitari) per riorganizzare le modalità operative e i ruoli agiti. Non sempre inoltre, le figure professionali (soprattutto operatori di supporto e amministrativi) che dovrebbero svolgere alcune attività, sono presenti nel contesto lavorativo, rendendo così difficile trovare soluzioni o pensare ad una possibile riorganizzazione.
Anche la strategia “rifiutarsi di svolgere le attività inappropriate” è stata riferita come poco efficace: gli infermieri si percepiscono garanti dei pazienti e sono consapevoli che la mancata erogazione di alcune attività – anche non infermieristiche – potrebbe avere ricadute negative sulla qualità delle cure (Grosso et al., 2018b). Infine, la strategia percepita come meno efficace in assoluto è stata “documentare le attività ‘non infermieristiche’ svolte”, probabilmente a causa della sensazione che ciò rimanga ‘solo sulla carta’.
Limiti
È stata realizzato uno studio descrittivo in un contesto specifico che presenta caratteristiche peculiari, prima fra tutte il fatto di essere un territorio montano.
I risultati di questo studio infatti riflettono la percezione degli infermieri bellunesi; infermieri di altri contesti operativi o con diversa formazione, potrebbero mettere in atto strategie diverse che andrebbero esplorate.
Le strategie incluse nel questionario, limitate qualitativamente e quantitativamente, erano emerse da uno studio preliminare nello specifico contesto: non sono state incluse altre possibili strategie attuabili a diversi livelli (macro, meso e micro) e in diversi setting (ad esempio formativi, nei Corsi di Laurea in Infermieristica oppure organizzativi), suggerendo che ulteriori studi sono necessari in questa direzione.
Inoltre, hanno partecipato prevalentemente infermieri che lavoravano nei presidi ospedalieri della Provincia: potrebbe essere interessante indagare con ulteriori studi se gli infermieri Libero Professionisti e/o che lavorano nelle Strutture Residenziali hanno una diversa percezione del fenomeno e hanno adottato strategie diverse da quelle qui proposte.
CONCLUSIONI
Almeno un terzo del tempo lavorativo degli infermieri è dedicato ad attività ‘non infermieristiche’.
Questo aggrava ulteriormente la carenza di cure infermieristiche di cui i pazienti avrebbero bisogno. Per contenere e/o prevenire questo fenomeno, circa metà degli infermieri attivano strategie dirette ed indirette riferendo tuttavia una percezione di efficacia modesta.
Studiare ulteriormente il fenomeno confrontando la prevalenza del tempo dedicato alle attività ‘non infermieristiche’ in contesti diversi e individuando le strategie attivate in ciascun contesto per contenerlo e/o evitarlo, consente di monitorarlo e identificare buone pratiche da diffondere.
Come suggerisce la FNOPI (2018), le attività ‘non infermieristiche’ sono un fenomeno da analizzare internamente alle singole organizzazioni data l’enorme variabilità di modelli formativi, organizzativi, gestionali e assistenziali su cui si basano.
Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi.
Finanziamenti
Il Progetto di studio APRI dell’OPI di Belluno è stato interamente finanziato dalla Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (Atto Deliberativo del 3/09/2016; comunicato tramite PEC il 30/09/2016, numero protocollo P.6178/I.14).