L’allattamento nella donna di cultura arabo-islamica


L’allattamento materno è raccomandato dall’OMS e dall’UNICEF come forma esclusiva di nutrimento nei primi sei mesi di vita; successivamente può essere iniziata l’alimentazione complementare associando alimenti idonei al latte materno (WHO, 2003; American Academy of Pediatrics, 2005).
Nei Paesi a basso reddito i bambini allattati esclusivamente al seno nei primi sei mesi di vita hanno un rischio di mortalità inferiore del 12%; in termini di morbilità, l’allattamento al seno evita circa la metà degli episodi di diarrea e un terzo delle infezioni respiratorie (Victora et al., 2016; Giusti et al., 2015) A periodi di allattamento al seno più lunghi è associato un rischio inferiore del 26% di obesità o sovrappeso infantile (Victora et al., 2016). Per le madri esistono prove consistenti di un’associazione inversa tra allattamento al seno e incidenza di neoplasia alla mammella (Victora et al., 2016; Mosher et al., 2016).

Fattori individuali, culturali, socioeconomici e storici possono influenzare la promozione, l’avvio e il mantenimento dell’allattamento al seno (es. inefficacia del supporto fornito alle puerpere dagli operatori sanitari, rientro precoce delle madri al lavoro, concezione della dannosità del colostro per alcune culture o società) (Rollins et al., 2016).

In Italia risiedono oltre cinque milioni di cittadini stranieri (ISTAT, 2016) di cui circa il 28% (1,4 milioni) di religione islamica (ISMU, 2016). È necessario differenziare la popolazione arabo-musulmana da quella arabo-cristiana, che può avere diversi valori e comportamenti relativi alla religione, ma ne condivide la cultura di fondo (Bawadi, 2017). Le diversità culturali e religiose potrebbero rappresentare una criticità nell’accesso ai servizi sanitari e questo per le puerpere può diventare un ostacolo per la promozione, l’avvio e il mantenimento dell’allattamento al seno (Balogun, 2015; Rollins et al., 2016; Bawadi, 2017).

Cosa influenza l’allattamento al seno?
Obiettivo della presente revisione della letteratura è individuare e descrivere i fattori culturali che influenzano l’allattamento materno in donne di cultura arabo-islamica.
Il reperimento delle fonti è avvenuto previa consultazione dei siti web della Società Italiana di Pediatria (SIP) e della Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) e interrogazione dei database biomedici The Cochrane Library, PubMed, CINAHL, Embase, PsycINFO eseguita il 16 maggio 2017.

Le parole chiave utilizzate sono state: “Breastfeeding”, “Milk, Human”, “Arab”, “Islam”, “Palestinian”, “Muslim”, “Nurse”, “Nursing”. La ricerca è stata condotta per termini MeSH e a testo libero (Tabella 1). Data la specificità dell’argomento, non sono stati posti limiti di data di pubblicazione; sono stati considerati solo i documenti in lingua inglese ed esclusi gli articoli non reperibili o disponibili esclusivamente a pagamento.

La strategia di ricerca implementata si è focalizzata sul reperimento della sola letteratura pubblicata. Dopo una prima selezione finalizzata alla rimozione di citazioni duplicate o non pertinenti per titolo e/o abstract, è seguito il reperimento e la lettura in full text dei documenti potenzialmente rilevanti per l’argomento in oggetto, scartando quelli di rilevanza marginale. Da ultimo si è proceduto alla loro analisi, organizzazione in macroaree concettuali e sintesi.

Tabella 1 – Selezione dei documenti

 

N

Residui

Record identificati

254

Record rimossi (duplicati)

47

207

Record esclusi dopo lettura di titolo e/o abstract (non pertinenti)

142

65

 

Documenti

esclusi

dopo lettura full text (marginalmente pertinenti)

20

45

disponibili solo a pagamento

10

35

in lingua diversa dall’inglese

1

34

non reperibili

1

33

Documenti inclusi

33

Risultati
Il processo di interrogazione, reperimento e selezione della letteratura ha evidenziato la presenza di 33 documenti rilevanti. I contenuti principali emersi sono stati suddivisi in cinque macroaree: contesto religioso e culturale, fattori favorenti, barriere, ruolo della balia, banche del latte.

Contesto religioso e culturale
Le fonti della religione e della legge islamica sono il Corano e gli ḥadÄ«th (Roberts et al., 2002; Zaidi, 2004; Williamson, 2012; Beckerleg et al., 1984). Il Corano costituisce il messaggio di Dio all’umanità rivelato al profeta Maometto e conservato nel suo testo originale in lingua araba (Roberts et al., 2002) Gli ḥadÄ«th sono gli insegnamenti di Maometto, che indicano le linee guida per la morale e l’interazione umana (Roberts et al., 2002). I riferimenti all’allattamento compaiono in diversi passi, a cominciare dal versetto 233 del secondo capitolo del Corano (Beckerleg et al., 1984; SICuPP, 2012; Shaikh, 2006; Yurdakök, 1988), in cui si esorta ad allattare i neonati per due anni al seno della madre biologica o di una balia (Oweis et al., 2009; Khattak et al., 2007; Jessri et al., 2013; Gardner et al., 2015).

Il medico medioevale Ibn Sina di Bukhara, noto in occidente col nome di Avicenna, descrisse il latte materno come “sangue bianco” sostenendo che esso assomiglia al sangue materno che nutre il feto quindi è il cibo più idoneo per lo sviluppo e la crescita del bambino (Yurdakök, 1988; Khalil et al., 2016; Koçtürk et al., 2003; Modanlou, 2003). Questa simbiosi tra madre e figlio è richiamata anche nel Corano (46:15) dove si afferma che gravidanza e svezzamento durano trenta mesi (Moran 2007; Zahid, 2017; Koçtürk, 2003). La diffusione dell’allattamento al seno nelle comunità musulmane è quindi favorita da quanto presente nei testi della tradizione islamica (Koçtürk, 2003; Modanlou, 2008). Il concetto di “bontà del latte materno” si riveste di una connotazione morale, rappresentandola come un mezzo per trasmettere un nutrimento con una sua intrinseca natura spirituale (Zaidi, 2004; Williamson, 2012; Jessri, 2013).

Fattori favorenti
L’Islam considera il ruolo della donna in termini di moglie e madre come quello più sacro ed essenziale. La donna viene sostenuta nell’allattamento al seno per tutto il periodo ritenuto necessario e riceve il sostegno collettivo della famiglia e della comunità (Williamson 2012; Jessri 2013; Azaiza 1997). La madre della donna e le sue esperienze personali sono tra i principali fattori favorenti, soprattutto tra donne pluripare con precedenti esperienze di allattamento (Oweis, 2009).
La lattazione è promossa da madri e/o suocere, vietando alcuni cibi e preparando bevande che si ritiene favoriscano la produzione di latte (Williamson, 2012).
Il padre deve provvedere economicamente alla famiglia, proteggerla e mantenerla unita e deve farsi carico della sussistenza della madre, poiché totalmente dedita ad allattare la prole (Khattak, 2007).

Ai padri è imposto di provvedere finanziariamente all’allattamento anche in caso di divorzio dalla consorte (Shaikh, 2006; Yurdakök, 1988; Khattak, 2007; Jessri, 2013), nonché garantire che il bambino riceva una quota adeguata di latte.
Per la donna l’allattamento al seno è vivamente consigliato sul piano religioso (Williamson, 2012): un celebre ḥadÄ«th recita infatti che “per ogni succhiata di latte che un bambino prende, alla madre viene dato il premio di una buona azione” (Zaidi, 2004; SICuPP, 2012; Shaikh, 2006).

Barriere
La pratica di aggiungere anche liquidi non nutritivi (acqua, acqua e zucchero, camomilla, tisane, succhi non zuccherati) nei primi 6 mesi potrebbe interferire con la capacità di succhiare del bambino e la produzione di latte materno e determinare uno svezzamento precoce (Yurdakök, 1988; Oweis, 2009; Gardner, 2015; Abdulrazzaq, 2016). Alcuni studi hanno descritto l’usanza, poco dopo la nascita e preferibilmente prima della prima poppata, di inserire un piccolo pezzo di dattero, già masticato e ammorbidito dai genitori o da altro familiare, nella bocca del bambino (Roberts, 2002; Zaidi, 2004; Shaikh, 2006); questa pratica, chiamata tahnÄ«k, si fa risalire a Maometto e il suo scopo è di far percepire al neonato il sapore della dolcezza (Roberts, 2002; Zaidi, 2004; Shaikh, 2006).
La dieta materna può influenzare il volume e la composizione del latte (RakicioÄŸlu, 2006); in tal senso assume particolare rilievo il digiuno del Ramadan (RakicioÄŸlu, 2006; Wehbe-Alamah, 2008; Rashid, 2007; Kridli, 2011)., Le donne gravide o che stanno allattando al seno sono dispensate dal digiuno, ma non è loro vietato di praticarlo (Wehbe-Alamah, 2008; Faris, 2014; Jessri, 2013; Rashid, 2007; Kridli, 2011; Faris, 2014). Il digiuno può incidere su alcuni micronutrienti come zinco, magnesio e potassio.

La migrazione verso altri Paesi, l’urbanizzazione e l’acculturazione possono influenzare le decisioni della donna riguardo all’allattamento al seno (Williamson, 2012; Azaiza, 1997; Azaiza, 1995). Il trasferimento in un’area urbana può comportare la perdita della famiglia allargata e delle relative conoscenze tradizionali riguardo all’allattamento al seno (Zaidi, 2004; Williamson, 2012; Beckerleg, 1984). Chi risiede in città ha facile accesso a ciucci, biberon e sostituti del latte e l’impiego in ruoli lavorativi ad alta professionalità può determinare un arresto precoce dell’allattamento (Jessri, 2013; Azaiza 1997).

Una forte motivazione al proseguimento dell’allattamento è la volontà di ritardare l’ovulazione e controllare la propria fertilità: l’amenorrea da allattamento ha infatti una protezione del 98% da gravidanze indesiderate (Williamson, 2012; Beckerleg, 1984; Azaiza, 1997 e 1995). Il risvolto sfavorevole è che la donna, non appena scopre di essere incinta, smette immediatamente di allattare per soddisfare le richieste fisiche e psicologiche che la nuova gravidanza richiede. Inoltre un marito che desidera ampliare la propria famiglia suggerisce alla moglie di interrompere l’allattamento per restare gravida in più breve tempo.

La privacy durante l’allattamento è un aspetto molto sentito dalle puerpere musulmane, in quanto il Corano (33:59 e 24:30-31) raccomanda modestia e riservatezza nei luoghi pubblici (Zaidi, 2004). Le donne ritengono che sia proibito allattare al seno in pubblico o davanti a qualsiasi uomo diverso dal marito e le opinioni possono essere varie riguardo all’allattamento in presenza di altre donne o al grado di riservatezza durante l’allattamento (Williamson, 2012; SICuPP, 2012). L’allattamento in pubblico genera un dilemma tra il desiderio (e il dovere) di allattare e i sentimenti di privacy della donna (SICuPP, 2012; Jessri, 2013; Roberts, 2003). Nei paesi d’origine il problema non si pone per effetto della presenza di mosalas (luoghi per le sole donne) (Jessri, 2013), ma in occidente le madri non sempre possono disporre di una stanza privata per allattare e potrebbero sentirsi costrette a estrarre il latte materno e a somministrarlo con il biberon (Zaidi, 2004; Shaikh, 2006; Roberts, 2003).

Sebbene l’abbigliamento tradizionale preservi la dignità e la riservatezza delle madri musulmane, la ridotta esposizione al sole può determinare una carenza di vitamina D (SICuPP, 2012; Yurdakök, 1988; Azaiza, 1995 Seeler, 2001) che può ripercuotersi anche sui figli, specie in quelli allattati al seno in modo esclusivo dopo i 6 mesi di vita (SICuPP, 2012; Shaikh, 2006; Moran, 2007). Si ritiene inoltre che fattori come la paura, la rabbia, la malattia siano in grado di influenzare la qualità del latte e incidere nella produzione di latte in uno o entrambi i seni (Beckerleg, 1984).

Alcune madri ritardano l’inizio dell’allattamento in quanto concepiscono il colostro come una sostanza diversa dal vero latte (Zaidi, 2004; Beckerleg, 1984). In alcune comunità si crede che il colostro sia nocivo e stantìo, avendo stazionato nel seno per nove mesi. Si ritiene inoltre che abbia un valore nutritivo inadeguato e che, in attesa della montata lattea, sia sufficiente nutrire il neonato con miele o integrazioni di acqua. Tuttavia questa pratica non trae fondamento né dal Corano né dagli ḥadÄ«th (Zaidi, 2004; Shaikh, 2006; Oweis, 2009). La mancata somministrazione di colostro avviene anche in realtà culturali dove l’Islam non è la religione predominante (Zaidi, 2004).

Il ruolo della balia
In caso di bassa produzione o introduzione di latte materno, il neonato può essere allattato al seno da una balia (Shaikh, 2006; Khattak, 2007; Zahid, 2017; Koçtürk, 2003), figura descritta dal Corano nelle sure 2:33 e 65:6. Rientra tra i doveri del padre quello di corrispondere un adeguato stipendio alla persona che allatterà il suo bambino fino all’età di due anni (Yurdakök, 1988; Khalil, 2016; Moran, 2007; Koçtürk, 2004).

La legge islamica, oltre alla parentela di sangue e di affinità, contempla specificamente una parentela di latte e il ricorso alla balia istituisce un vincolo di parentela tra lei e il bambino, precludendo la possibilità di contrarre matrimoni tra membri delle rispettive famiglie (Khalil, 2016; Ghaly, 2012). Nel caso in cui un neonato sia allattato da più di una balia, si istituisce una parentela con ognuna di esse solo se ciascuna fornisce la stessa quantità di latte; se invece il ruolo assunto da una delle balie è preponderante, la parentela si istituisce solo con questa (Khalil, 2016; Ghaly, 2012).

Le banche del latte
Nei paesi musulmani le banche del latte non sono considerate etiche per via della non conoscenza reciproca tra donatrice e destinatario (e quindi dei vincoli di parentela); ciò ne ostacola lo sviluppo (Ghaly, 2012; Niran, 2000; El-Khuffash, 2012; Thorley, 2014; Alnakshabandi, 2016). Alcuni decreti della giurisprudenza islamica hanno però precisato che è l’allattamento a istituire il legame di parentela nel senso di “maternità”, non il generico consumo del latte di una donna (Ghaly, 2012). Nel 2004 il Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca (ECFR) ha emesso un decreto che permette l’uso di latte donato ai neonati pretermine quando le disposizioni per l’identificazione della madre donatrice non siano disponibili (Zaidi, 2004; Khalil, 2016; Ghaly, 2012; El-Khuffash, 2012). Per motivi religiosi le madri musulmane generalmente non approvano le banche del latte secondo lo stile occidentale, ma si dichiarano aperte all’istituzione di una banca del latte che utilizzi il criterio del donatore unico e che informi donatori e destinatari della loro identità, rendendo così possibile un legame tra le reciproche famiglie (Khalil, 2016; Niran, 2000; Thorley, 2014; Alnakshabandi, 2016; Ozdemir, 2015).

Discussione
Il presente studio si è proposto di identificare i fattori culturali e religiosi che influenzano l’allattamento materno nelle donne di cultura arabo-islamica. Il Corano esorta ad allattare i neonati per due anni al seno della madre (o di una balia) e considera l’allattamento al seno come un atto spirituale, un dovere della madre e un diritto del bambino.
Il latte materno rappresenta il miglior alimento nei primi due anni di vita e il mezzo migliore per garantire la salute e lo sviluppo del piccolo; l’OMS del resto evidenzia come l’allattamento al seno permetta di limitare gli esiti negativi di salute sia nelle popolazioni a basso reddito che tra le categorie di soggetti appartenenti a popolazioni ad alto reddito (WHO, 2012). La famiglia e la comunità rappresentano i fattori ambientali che possono influenzare la promozione, l’avvio e il mantenimento dell’allattamento al seno (Jones, 2015; Bevan, 2014), poiché la responsabilità di questa pratica è affidata a entrambi i genitori, con le figure femminili della famiglia che assolvono ad una funzione di supporto (Azaiza, 1997).

L’emigrazione verso occidente delle donne arabo-islamiche determina la necessità di confrontarsi con importanti cambiamenti ambientali, sociali, culturali. Spesso esse percepiscono l’allattamento al seno come una pratica “al di fuori del comune” e finiscono per considerarlo un compito obsoleto, vincolante, che incide sull’attrattività fisica (Jessri, 2013; Azaiza,1997); il rientro al lavoro è uno dei principali ostacoli al proseguimento dell’allattamento (Balogun, 2015; Hedberg, 2013).

Altri fattori barriera sono:

  1. la mancata somministrazione di colostro, ritenuto impuro;
  2. la precoce introduzione di altri tipi di supplementi (es. rito del tahnīk);
  3. il fatto che le donne gravide o che allattano non sono esplicitamente dispensate dal digiuno di Ramadan;
  4. la preoccupazione in materia di privacy, soprattutto in mancanza di spazi dedicati.

 
Per ovviare a quest’ultimo punto, l’UNICEF, nell’ambito dell’iniziativa Ospedali & Comunità Amici dei Bambini, si è posta come obiettivo l’allestimento di Baby Pit Stop: si tratta di ambienti protetti in cui le mamme si possono sentire a proprio agio durante l’allattamento del bambino (UNICEF).

La promozione dell’allattamento al seno è un ambito complesso a livello etico e ideologico ed è quindi essenziale prestare attenzione a rispettare la volontà delle madri arabo-islamiche di allattare o proseguire l’allattamento (Azaiza, 1995). Occorre inoltre che gli operatori sanitari negozino le cure riguardanti la diade donna-bambino insieme alla figura paterna, che ha una potente e riconosciuta influenza sulla diade (Roberts, 2003; Kridli, 2011).

Un approccio empatico, l’impegno al dialogo e una buona conoscenza delle pratiche culturali e religiose – oltre a un uso consapevole della comunicazione verbale, non verbale e paraverbale – consentono di essere più sensibili ai bisogni inespressi di queste donne, evitando incomprensioni e creando un rapporto di fiducia per il bene di mamma e bambino (Shaikh, 2006; Roberts, 2003).
In linea con i dieci passi per il successo dell’allattamento al seno, le madri devono essere aiutate perché comincino ad allattare entro mezz’ora dal parto ed evitino l’uso di tettarelle artificiali o succhiotti; occorre inoltre informarle sui rischi connessi all’introduzione di alimenti diversi dal latte materno (almeno prima dei 4-6 mesi salvo indicazioni mediche) (Yurdakök, 1988) e sull’astenersi dall’allattamento con latte di formula in mancanza di una reale necessità.

La donna di cultura arabo-islamica deve essere informata dei benefici del colostro, del fatto che la sua somministrazione non vìola alcuna raccomandazione religiosa e dei rischi nel sostituirlo con altri alimenti, mettendola così in condizione di compiere una scelta pienamente consapevole. Allo stesso modo, gli operatori sono invitati a fornire alle madri informazioni guidate dalla ricerca scientifica sulla non appropriatezza di seguire il digiuno di Ramadan; prima, tuttavia, occorre comprendere le credenze della donna, conoscere la sua storia medica e le eventuali condizioni ostative al digiuno, sapere se è nata in occidente o immigrata (nel secondo caso ha una maggiore propensione al digiuno) e se sia primipara o pluripara (la seconda è più propensa al digiuno poiché tende a essere meno preoccupata) (Kridli, 2011).

Nel sostenere l’allattamento al seno, gli operatori sanitari devono inoltre garantire le esigenze di riservatezza e privacy. Le neomamme arabo-islamiche potrebbero non sentirsi a proprio agio nel ricevere cure da parte di professionisti di sesso maschile, poiché le interpreterebbero come un atto di violazione delle regole alla base del loro credo (Roberts, 2002; Williamson, 2012). La possibilità di utilizzare paraventi e/o teli coprenti può aiutare nell’avvio e proseguimento dell’allattamento al seno (Zaidi, 2004; SICuPP, 2012; Shaikh, 2006).

A livello clinico occorre considerare l’eventualità di un’integrazione di vitamina D per i bambini le cui madri osservano la tradizionale vestizione islamica, usanza sempre più frequente anche in Italia (SICuPP, 2012).

L’implementazione di banche del latte rispettose della legge islamica è possibile solo osservando condizioni specifiche inerenti la tracciabilità di donatori e destinatari e la quantità di latte. Si potrebbe spiegare alla famiglia come una politica basata su donatori multipli, insieme alla pastorizzazione e fortificazione del latte umano donato, ne modifichi in modo significativo le caratteristiche, così che alimentando il bambino con questa tipologia di latte non si crea alcun legame di parentela (Zaidi, 2004; Khalil, 2016; Ghaly, 2012; El-Khuffash, 2012).

Limiti
I limiti di questo studio sono rappresentati dall’impossibilità di reperire le versioni full-text di alcune pubblicazioni e l’esigua presenza di studi qualitativi (2), che potrebbero approfondire in maniera sensibile altri importanti aspetti di tipo culturale. Questo limite potrebbe non aver fatto emergere altri studi degni di attenzione. Nonostante ciò, la revisione offre informazioni sulle possibili strategie che possono essere utilizzate per promuovere l’allattamento materno. Si avverte la necessità di ulteriori studi per esplorare le esperienze di allattamento nelle donne di cultura araba islamica residenti sul territorio italiano.

Conclusioni
L’allattamento al seno è una pratica culturale che necessita di un approccio olistico da parte degli operatori sanitari, i quali devono porsi in un atteggiamento non giudicante, comprensivo ed empatico.
È imprescindibile, di fronte all’alterità culturale, conoscere gli aspetti su cui il professionista può far leva per promuovere e sostenere questa pratica. L’infermiere ha il dovere di concorrere a promuovere l’inizio dell’allattamento al seno e garantirne la continuazione, riconoscendo quegli aspetti della cultura arabo-islamica che sostengono l’allattamento al seno e che, oltre a essere in linea con l’OMS, potrebbero addirittura influenzare positivamente la cultura occidentale.

Sarebbe auspicabile che tale ricerca fosse integrata con una specifica analisi del contesto italiano, tesa ad esplorare l’associazione fra propensione all’allattamento al seno e grado di religiosità, livello di istruzione, condizione di parità di genere e dati migratori (es. paese di provenienza, tempo di residenza, appartenenza alla prima o seconda generazione).
 

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