L’immagine sociale dell’infermiere nei servizi territoriali: una revisione della letteratura sulla percezione dei cittadini


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INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni la professione infermieristica ha visto un importante sviluppo in Italia, sia sul piano normativo che formativo, ampliando il raggio di azione e l’operatività anche verso setting strategici per la “salute” delle persone, come quello delle cure territoriali.
Notoriamente, l’Infermiere in Italia è conosciuto come un professionista sanitario che presta la propria attività lavorativa nell’ambiente ospedaliero o residenziale territoriale; in realtà, già dal 1998 si era evidenziato il possibile ruolo e le grandi potenzialità di tale professionista nell’ambito dell’assistenza territoriale. Infatti, nel documento “Health 21: salute per tutti nel 21° secolo”, adottato dall’Assemblea Mondiale della Sanità nel 1998 si descrive l’infermiere di famiglia come colui che: “aiuterà gli individui ad adattarsi alla malattia e alla disabilità cronica o nei momenti di stress, trascorrendo buona parte del suo tempo a lavorare a domicilio dei pazienti e con le loro famiglie. Tali infermieri danno consigli riguardo gli stili di vita ed i fattori comportamentali di rischio ed assistono le famiglie in materia di salute. Attraverso la diagnosi precoce, possono garantire che i problemi sanitari delle famiglie siano curati al loro insorgere. Con la loro conoscenza della salute pubblica, delle tematiche sociali e delle altre agenzie sociali, sono in grado di identificare gli effetti dei fattori socioeconomici sulla salute della famiglia e di indirizzarla alle strutture più adatte. Possono facilitare le dimissioni precoci dagli ospedali fornendo assistenza infermieristica a domicilio ed agire da tramite tra la famiglia ed il medico di base, sostituendosi a quest’ultimo quando i bisogni identificati sono di carattere prevalentemente infermieristico”.
Un notevole contributo allo sviluppo di un nuovo ruolo dell’Infermiere italiano anche in ambito territoriale, arriva negli anni ’90 con il DM 739/1994 (denominato Profilo Professionale), primo riconoscimento di un livello proprio di autonomia professionale e, in seguito, con altre normative che hanno definito chiaramente il campo di azione e le competenze chiave di tale professionista sanitario.
Parallelamente ai cambiamenti “intra-professionali” sopradescritti, si è realizzata una continua riorganizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, se pur con differenze anche significative tra le Regioni, che ha portato a un ridimensionamento dei posti letto ospedalieri e ad un aumento dei servizi territoriali, soprattutto nei setting di cure primarie, con l’obiettivo di migliorare la presa in carico, il follow-up e la continuità assistenziale delle persone, con particolare riferimento a pazienti affetti da malattie cronico-degenerative. Ne rappresenta un esempio la realizzazione delle Case della Salute in Emilia-Romagna, avviato nel 2010 secondo quando indicato nella DGR 291/2010 e successive modifiche.
L’erogazione di nuovi servizi sanitari, più funzionali alle esigenze della popolazione e alla razionalizzazione della spesa sanitaria, sembrerebbe anche suggerire un cambiamento nel lavoro degli infermieri in termini di maggiore autonomia e specializzazione dei ruoli.
L’implementazione di quanto previsto nel DM 77/22, comporta una straordinaria opportunità di ulteriore crescita professionale, dove il ruolo dell’Infermiere assume maggiore rilievo in qualità di referente della risposta ai bisogni assistenziali e di autocura, contemplando tra le sue attività la prevenzione e la promozione della salute.
Il potenziamento dell’assistenza territoriale è un’esigenza avvertita da lungo tempo, ma gli ultimi due anni, caratterizzati dalla emergenza pandemica, hanno generato una notevole pressione su tutti i servizi sanitari regionali affinché si realizzasse un definitivo cambio di paradigma. In quest’ottica una delle principali sfide proposte dal decreto, che potrebbe influire sulla percezione dei cittadini riguardo l’immagine sociale dell’infermiere, è rappresentata dall’introduzione dell’infermiere di famiglia e di comunità.
Nei paesi anglosassoni e americani, la presenza dell’infermiere al fianco dei cittadini e il suo livello di autonomia nell’ambito delle cure primarie, risulta essere molto più estesa rispetto al nostro paese. Secondo Klemenc-Ketis et al., (2013), l’invecchiamento della popolazione e il crescente onere della malattie croniche, favoriscono un approccio multidisciplinare anche all’interno dell’assistenza sanitaria di base. Vi è inoltre, in molti paesi europei, una crescente domanda sanitaria che supera il numero di medici di famiglia disponibili. Per migliorare la qualità delle cure e ridurre i costi sanitari viene rafforzata la necessità di sviluppare percorsi infermieristici nell’ambito delle cure primarie.
Tale posizione è sostenuta anche da Swan et al., (2015), i quali confermano che la carenza di “fornitori di cure primarie” negli Stati Uniti è sempre più acuta. Secondo questi autori, uno degli approcci alternativi per mitigare il problema è quello di massimizzare l’utilizzo di “professionisti non medici”, tra cui la professione infermieristica, ed in particolare gli infermieri con competenze avanzate.
Da ciò si evince la necessità di combinare percorsi di sviluppo professionale con percorsi formativi specifici, capaci di creare quel background di competenze necessarie alla formulazione di una diagnosi infermieristica, alla prescrizione e il trattamento di condizioni cliniche all’interno di specifici protocolli condivisi nell’equipe multiprofessionale, nonché alla promozione della salute e alla funzione di leader nella gestione della routine di follow-up delle persone affette da malattie croniche (Klemenc-Ketis et al.,2013).
Nella revisione della letteratura condotta da Health Quality Ontario nel 2013, emerge che con il termine “pratica infermieristica specializzata” si definiscono gli infermieri con formazione avanzata, aventi quindi competenze cliniche ed esperienza nell’ambito delle cure primarie per la gestione di persone con patologie croniche. Tali professionisti possono affiancare o sostituire i medici in alcune attività e funzioni nell’ambito nell’assistenza sanitaria primaria, nell’intento di ridurre il carico di lavoro e migliorare la qualità del servizio offerto.
La discussione sul “task shifting” medico-infermiere è tutt’ora in corso e su alcune aree cliniche anche molto accesa in molti paesi, con posizioni di consenso sociale più o meno ampie a seconda del contesto.
Tuttavia, l’obiettivo rimane sempre quello di soddisfare le esigenze di una popolazione che invecchia a fronte di una carenza maggiore di risorse (Martínez-González, et al., 2014).
Emerge chiaramente da diversi studi che la presenza dell’Infermiere nell’ambito delle cure primarie è associata ad una maggiore soddisfazione della persona unita ad una migliore percezione della qualità di vita, ad una diminuzione della mortalità e del numero dei ricoveri ospedalieri, nonché ad una riduzione della spesa sanitaria (Martínez-González, et al.,2014). All’interno di questo quadro di grande cambiamento dei sistemi sanitari, determinante sarà il “punto di vista dei cittadini” nei confronti della professione infermieristica e delle opportunità che offre nella costruzione di nuovi percorsi di salute, della loro percezione, che come descritto da Çoşkun et al. (2022), si focalizza sulla relazione di fiducia instauratasi, sulle informazioni ricevute e sull’approccio umano e psicologico dimostrato.
La presente revisione della letteratura vuole approfondire lo stato dell’arte circa l’immagine sociale dell’infermiere nei servizi territoriali, secondo quanto percepito dai cittadini, al fine di poter fornire un contributo allo sviluppo di questa professione.

REVISIONE DELLA LETTERATURA
L’analisi della letteratura reperita evidenzia come il ruolo della professione infermieristica nei servizi sanitari non sia ancora del tutto compresa dalla collettività. Infatti, ciò che si evince dalle indagini condotte dall’Osservatorio Civico FNOPI-Cittadinanzattiva è che tutti i cittadini coinvolti considerino gli infermieri come professionisti “gentili e cortesi, disponibili all’ascolto, empatici nei confronti delle emozioni dei pazienti”. Gli intervistati hanno dichiarato di essersi sentiti rassicurati durante l’assistenza ricevuta e di essere stati informati con chiarezza rispetto al processo di cura. Tuttavia, si evidenziano lamentele sulla percezione di una scarsità del numero degli infermieri e del poco tempo a loro disposizione per la cura individuale, spesso impiegato in altre attività lontane dal processo assistenziale vero e proprio. Analizzando l’attuale contesto sociosanitario è possibile sottolineare come stia emergendo sempre di più nei pazienti il desiderio di poter scegliere il proprio infermiere di famiglia o di comunità, analogamente al medico di medicina generale, oppure di avere un supporto infermieristico nella farmacia dei servizi o nelle scuole dei propri figli (Mangiacavalli, 2018).
Da un’analisi più ampia emerge come l’opinione pubblica nei confronti degli infermieri sia ancora varia e incoerente. La società, infatti, non attribuisce il giusto valore all’evoluzione della professione infermieristica sulla base dell’innovazione e della formazione e non sempre è a conoscenza del fatto che l’Infermieristica moderna si basa su solide teorie. Come già enunciato in precedenza, gran parte della collettività pensa siano sufficienti agli Infermieri capacità empatiche, ignari delle competenze specifiche e della formazione necessarie per svolgere tutte le attività quotidiane.
Raramente le persone consigliano ad altri di intraprendere la professione infermieristica a causa del basso salario, degli elevati carichi di lavoro, della difficoltà nell’avanzamento di carriera e di un inadeguato riconoscimento sociale.
Vi sono diverse variabili che influiscono sulla definizione dell’immagine dell’Infermiere, tra cui le informazioni fornite dai mass-media, la percezione individuale e collettiva nella medesima categoria professionale.
L’opinione pubblica risulta ancora disinformata e confusa rispetto alla reale identità dell’infermiere e non ha ancora ben chiaro il passaggio dallo stato di subordinazione nei confronti della professione medica a quello di completa autonomia per il proprio specifico professionale, così come sancito dalla normativa vigente.
Tutto ciò confluisce nella creazione di un’immagine limitata dell’infermiere, influenzando non solo le performance e la soddisfazione dei professionisti, ma anche l’immagine che i pazienti hanno dei professionisti che li circondano (Rubbi et al, 2017).
Oltre al miglioramento dell’immagine offerta dai media, gli infermieri in primis, dovrebbero contribuire quotidianamente a migliorare la propria visibilità rendendo maggiormente evidente il loro prezioso contributo al sistema sanitario (Dignani et al, 2014).
La Content Analysis condotta su quotidiani italiani ha mostrato come, durante la recente pandemia di Covid19, la percezione della collettività sull’Infermiere sia nettamente migliorata. Lo spirito di sacrificio mostrato ha contribuito al riconoscimento di un ruolo fondamentale e ne è conseguito un mutamento nella percezione sociale dell’infermiere, precedentemente ritenuto un professionista di secondo ordine e sottopagato. Lo stesso infermiere è riuscito a dimostrare il proprio valore senza “arrancare per dimostrare le proprie capacità come professionista” (Giorgetta, Pasquot, 2021).
L’emergenza ha definito un’immagine positiva dell’infermiere (Giorgetta, Pasquot, 2021), radicalmente diversa da quella dello studio di Gradellini in cui la metà degli articoli emersi dai quotidiani evidenza aspetti negativi della professione (truffe, malasanità/errori); nel suo contributo, solo una media dell’11.5% testimonia aspetti positivi, di riconoscimento ed elogio, spesso condivisi con l’intera equipe (Gradellini et al, 2013).
Alcuni importanti studi mirano a dimostrare l’ammirazione diffusa e l’attribuzione di valore sociale nei confronti degli Infermieri, in quanto professionisti inclini a “fare del bene” e a sacrificarsi per gli altri nonostante le enormi difficoltà. Gli stessi si fanno carico di attività e responsabilità che pochi sarebbero disposti a prendersi e risulta interessante in tal senso il primo studio italiano che ha indagato le opinioni della popolazione. Tale studio ha suddiviso la popolazione in sottogruppi di differente posizione sociale e lavorativa (personaggi noti, studenti ecc.). In generale, l’Infermiere viene riconosciuto da tutti come risorsa per persone con problemi di salute, le cui attività sono importanti quanto quelle del medico e risulta essere ancor più apprezzato in caso di precedente contatto con questo professionista, non mancano però alcune differenze rilevanti tra i gruppi, influenzati dal proprio bagaglio socioculturale personale (Rubbi et al, 2017).

CONCLUSIONI
La revisione della letteratura conferma la scarsa conoscenza della popolazione sull’attuale situazione professionale infermieristica e di un’immagine sociale correlata a una figura assistenziale secondaria, passiva e limitata (Rodríguez et al, 2022), nonostante quanto realizzato durante la recente l’emergenza pandemica abbia contribuito a migliorare la percezione dei cittadini circa il vero valore degli infermieri nel sistema sanitario.
Per accrescere lo sviluppo di una appropriata identità professionale di riferimento in ambito sociosanitario, è essenziale rafforzare la diffusione del ruolo e delle competenze infermieristiche soprattutto in ambito territoriale, sensibilizzando e rendendo più consapevoli ed informati i cittadini.
La carenza di lavoratori che si evidenzia in molte aree professionali, richiede una risposta urgente e appropriata da parte di tutte le istituzioni, nonché una tempestiva applicazione di quanto previsto nei decreti che permettono un vero ridisegno del sistema sanitario, in primis territoriale.
L’adeguamento di alcune condizioni di lavoro degli Infermieri, che comportino un miglioramento del benessere lavorativo e delle condizioni economiche per l’attività svolta, potranno essere determinanti nel rivedere l’immagine sociale interna ed esterna alla professione.
“Ce lo scegliamo. Ma dobbiamo riconoscerci il nostro valore. Ogni infermiere, in corsia, sulle ambulanze e nelle case, deve sentirsi orgoglioso senza che sia qualcuno a rammentarci che dobbiamo esserlo. La fierezza nasce dalla consapevolezza del nostro valore e ci rende migliori come persone. Se abbiamo coscienza che valiamo, ci sentiamo più sicuri. Il sapere professionale ci rende forti nel fare, il sentirci fieri ci fa esprimere meglio. Nella relazione diamo di noi l’immagine che ci sentiamo dentro. Trovo che gli infermieri tendano ad essere sempre troppo umili, a sminuirsi verso la gente che assistono e verso i medici con i quali collaborano. Riconoscere il proprio valore non è superbia o arroganza. È essere il proprio valore. Il grazie non ci importa. Non ci importa nemmeno sentirci dire eroi. Ma quel riconoscimento sociale ed economico che sentiamo tuttavia doveroso che la società ci dia e che aspettiamo da ben prima della pandemia non arriverà mai se non tiriamo fuori l’orgoglio. Bisogna alzare la testa, ma per noi stessi non per essere qualcuno per il mondo. Soltanto così quell’orgoglio, dapprima personale e poi di categoria, può essere visto anche dalla società.” (Vaccaretti, 2022).
Queste sono le parole di un’infermiera, Monica Vaccaretti, che rispecchiano la realtà e un pensiero comune all’intera categoria professionale, il quale dovrebbe diventare motivo per contribuire al rilancio e allo sviluppo, da parte di ognuno di noi, della professione infermieristica.
La Presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli, richiama la necessità di investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’Infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione, ma non solo.
“Non eroi, ma professionisti scientificamente, responsabilmente e deontologicamente preparati. E i cittadini devono saperlo: quella dell’infermiere è una visione del bene collettivo che prevale su quella dell’interesse individuale”. (FNOPI, 2020).
Nel contesto territoriale, grazie alla riforma introdotta dal DM 77/2022, sono stati definiti nuovi modelli organizzativi riguardanti lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale ed in particolare della figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità. Questo nuovo ruolo professionale, affiancato dal contributo delle Cure Domiciliari, Primarie e di Medicina Generale, contribuisce a rendere la comunità attiva nella propria autocura e a sviluppare capacità utili a soddisfare i propri bisogni di salute e ad adattarsi all’ambiente circostante. L’infermieristica di famiglia e di comunità rappresenta la massima realizzazione della categoria professionale a livello territoriale, ma non solo, in quanto sostiene il passaggio dal paradigma della medicina d’attesa a quello della medicina d’iniziativa, l’orientamento alla persona e alla situazione anziché alla malattia, la piena partecipazione degli individui, delle famiglie e della comunità al processo di tutela della salute. Inoltre, partecipa al lavoro di rete con le altre professioni sociosanitarie e propone interventi per l’empowerment e lo sviluppo del capitale sociale della comunità.
Tuttavia, si ribadisce nuovamente che, il processo per il riconoscimento di questa nuova figura è ancora in corso e attorno al ruolo vi sono idee confuse, per cui diventa sempre più pressante la necessità di definirne le competenze, le responsabilità e le potenzialità attivabile per il benessere dei cittadini e per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale a fronte dei cambiamenti epidemiologici, sociali e demografici.

Conflitto di interessi
Si dichiara l’assenza di conflitto di interessi. Gli autori hanno condiviso i contenuti dello studio, la stesura dell’articolo e approvano la versione finale dello stesso.

Finanziamenti
Gli autori dichiarano di non aver ottenuto alcun finanziamento e che lo studio non ha alcuno sponsor economico.

Ringraziamenti
Gli autori ringraziano l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Forlì-Cesena per il prezioso supporto fornito.

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