L'infermiere è un professionista con competenze elevate ed elevabili che potrebbe dare, con il giusto supporto politico, risposte immediate, appropriate e di qualità.
L’offerta condiziona la domanda, ma soprattutto la formazione dei professionisti è lunga e costosa e per questo in quasi tutti i Paesi esistono forme più o meno stringenti di programmazione del personale sanitario che tengono conto sia della evoluzione nei bisogni che di quella prevedibile nei sistemi di offerta. Investire quindi sull'autonomia infermieristica che possa agire su competenze oggi contendibili, può da subito dare risposte concrete, di qualità e di sicurezza alla popolazione.
Ed è importante distinguere gli orizzonti temporali rilevanti per le decisioni, in particolare è pericoloso, oltreché inutile, immaginare risposte ai problemi di oggi con azioni che producono i loro effetti solo sul medio-lungo periodo.
L'infermiere è la risposta a questo pericolo secondo logiche di appropriatezza clinica organizzativa: ovvero individuare il giusto bisogno, il giusto contesto, il giusto rapporto costo/beneficio, il giusto intervento ma soprattutto il giusto professionista. A oggi quest'ultima variabile continua ad essere una variabile inascoltata nonostante le evidenze scientifiche disponibili.
Il sistema sanitario non riesce a modificare i propri assetti di fondo e a ripensare se stesso.
Lo scenario da ricercare è quello di una “trasformazione strutturale” nella organizzazione del lavoro che deve riuscire a produrre un sistema, come indicano anche i parametri e le organizzazioni internazionali, a minore densità medica (maggiore focalizzazione e specializzazione) per lasciare spazio ad altre figure.
Dobbiamo riuscire ad aumentare rapidamente il rapporto infermieri medici per accompagnare l’evoluzione dei bisogni e migliorare appropriatezza e sostenibilità del sistema, soprattutto nelle regioni in cui demografia ed epidemiologia rendono il gap bisogni offerta più ampio.
Per realizzare l’obiettivo è necessario:
- definire target espliciti di rapporto infermieri medici da raggiungere entro periodi determinati;
- accompagnare i cambiamenti con azioni (sperimentazioni, formazione, trasferimento di esperienze…) che aiutino l’evoluzione del sistema verso una minore densità medica (vedi distribuzione delle responsabilità tra medici e infermieri in UK).
Questo perché nel 2016 si sono persi altri 1723 infermieri rispetto al 2015, quando già se ne erano persi rispetto all’anno prima 2.788: oltre 4.500 professionisti in meno in soli due anni quindi. Dal 2009 a oggi se ne sono persi oltre 12mila. Un’emorragia di personale di cui gran parte di colpa è delle misure di contenimento della spesa soprattutto dove ci sono i piani rientro, ma in base alla quale tutte le professioni lanciano allarmi di taglio “settoriale”: mancano medici negli ospedali, mancano infermieri, mancano medici di famiglia.
L’assenza di ogni riferimento a orizzonti complessivi, come, ad esempio, i vincoli finanziari e reali che i diversi Ssr sperimentano e la necessità di operare delle scelte sul mix delle assunzioni (ogni assunzione ne preclude un’altra), comporta il prevalere di logiche incrementali basate sugli equilibri consolidati e sui rapporti di forza (capacità di interlocuzione e di interdizione) tra le diverse professioni e discipline.
Per quanto riguarda la nostra professione inoltre aumentano i precari (lavoro flessibile): ce ne sono +1951 a tempo determinato, +513 con lavoro interinale e per la prima volta 1 in formazione lavoro. E l’età media, che in anno “guadagna” oltre sei mesi passando dai 47,47 anni medi del 2015 ai 48,02 del 2016.
Un’emorragia di personale che oltre a mettere a rischio chi deve lavorare con turni e ritmi insostenibili, mette in pericolo la sicurezza dei pazienti che sicuramente hanno un danno rilevante dovuto a professionisti stanchi e che non possono ascoltarli, ascoltare i loro bisogni, come si dovrebbe.
I servizi fanno fatica a essere erogati con la massima appropriatezza dovuta ai cittadini e sul territorio c’è il vuoto, come già sottolineato più volte dalla nostra Federazione. E se questi sono i numeri su cui si deve lavorare per il prossimo contratto, davvero non è il piede giusto per partire: un numero sempre più basso di professionisti e retribuzioni ancora più asciutte rispetto agli anni precedenti non sono una buona base su cui cercare un recupero di risorse, sia umane che economiche.
Ora la situazione si aggrava. E’ ora dei nuovi contratti, è vero, ma anche di disegnare un nuovo modello e una diversa organizzazione assistenziale e dei servizi ascoltando e premiando quella che universalmente è riconosciuta come prima risorsa per il successo delle politiche sanitarie: il personale.
Basta con i tagli, sia al personale che alle retribuzioni. E’ necessario tutelare la sicurezza di professionisti e pazienti e la dignità economica di chi lavora, prevedendo risorse degne di professionisti che hanno la responsabilità dell’organizzazione dell’assistenza. In questo modo, e i numeri parlano chiaro, a rimetterci è non solo la qualità del servizio, ma anche quella della nostra professionalità e la sicurezza dei pazienti.
Ma il sistema è complesso e non vogliamo banalizzarlo attraverso slogan o renderlo malleabile alle nostre istanze. La sanità ha bisogno non solo di professionisti, ma di appropriatezza: garantire il giusto professionista che possa essere messo in grado di rispondere al giusto bisogno, nel giusto contesto, con il giusto utilizzo di risorse nella maggiore autonomia possibile. Serve una visione più ampia e coraggiosa. Gli infermieri sono qui ad illustrarvi cosa serve al Paese, non cosa serve alle professioni.
E lo ripetiamo: mancano professionisti, mancano anche gli infermieri, tutti lanciano il loro grido di allarme, nessuno si sottrae. A mancare, però, è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze.
E allora basta alle manovre demagogiche che affondano il Ssn. Una scelta oggi condiziona il futuro per i prossimi 30 anni.