Riforma delle Professioni Infermieristiche: l’ultimo atto


L’ultimo atto della Riforma delle Professioni Infermieristiche e con essa anche delle altre venti professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione nonché della professione di ostetrica si è concluso il 22 dicembre 2017 con l’approvazione definitiva a larga maggioranza dal Senato della Repubblica della legge “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della Salute”, risultante dal testo unificato sia da quello di iniziativa governativa presentato dalla Ministra Beatrice Lorenzin che da vari senatori, la prima che la presentò all’inizio della legislatura è stata la senatrice Annalisa Silvestro, in quella fase anche Presidente Nazionale della allora Federazione IPASVI… è estremamente piacevole scrivere e dire ex Federazione dei Collegi ora Ordini… dell’impianto del Ddl della Silvestro alla fine prevalse quello unificante ed unitario di inserire con pari dignità tutte le professioni nel medesimo articolo senza distinzioni tra Ordini ed ex Collegi, il che non era previsto nell’iniziale testo governativo… non è un dettaglio nominalistico bensì una scelta di progresso che già era iniziata con il varo della legge Gelli, laddove si parla in forma “olistica” di professioni sanitarie senza distinguo né differenziazione.

Questo ultimo atto ha avuto un percorso legislativo che si è sviluppato per intere Legislature riscontrando ostacoli manifesti ed occulti senza eguali sia nei confronti delle 17 professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione che se pur istituite erano prive di albo professionale che nei confronti delle professioni infermieristiche, di ostetrica e TSRM; si tratta di ostacoli, pregiudizi e dinieghi che si sono sviluppati all’interno di maggioranze di diverso politico sino all’approvazione nelle ultime ore della legislatura del Ddl Lorenzin.

Se per le 17 professioni si sarebbe trattato di realizzare un sistema Ordinistico ex novo per le Federazioni degli ex Collegi e Collegi Professionali IPASVI, Ostetriche e TSRM la cui evoluzione in Ordine sarebbe stata una semplice mutazione nominalistica, in quanto la normativa era già comune tra Ordini e Collegi ma la differenza era tra le professioni formate all’università e quelle formate in sedi non universitarie sia statali che regionali, tutto qui, ma l’evoluzione da Collegio ad Ordine avrebbe legittimato definitamente che le professioni di infermiere, infermiere pediatrico, assistente sanitario, ostetrica e tecnico sanitario di radiologia medica per effetto dell’avvenuto passaggio della titolarietà della loro formazione all’Università avevano ed hanno compiuto tutto il processo di piena integrazione nell’ordinamento delle altre professioni intellettuali, nella loro accezione liberale.

E’ questo il valore vero e l’idea forza del mutamento nominalistico da Collegio ad Ordine: una semplice parola ma una parola che rende l’idea e sostanzia il percorso straordinario di riforma della professione: una parola può mobilitare le persone, una parola può intimorire chi teme la rottura di desueti equilibri professionali, una parola è un enorme valore in sé a prescindere.

Con questa fase si completa il processo di riforma delle professioni infermieristiche e con esse quelle delle altre professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, che ho avuto l’onore di seguire ma anche di contribuire direttamente ad attuare per decenni nei vari ruoli istituzionali da me ricoperti anche se un ruolo da mediano… ma senza il mediano non c’è partita…

Nell’articolo della rivista n. 1/17 ho già descritto come questo processo di riforma ebbe inizio con il terzo comma dell’articolo 6 del Dlgs 502/99 con il passaggio all’università della loro formazione ed il varo dei decreti dei profili professionali e la conseguente interpretazione estensiva della norma, ma l’inizio della riforma si realizzò con lo strumento del decreto ministeriale che nella gerarchia delle fonti è il minore e quindi sarebbe potuto accadere che con lo stesso metodo una retromarcia normativa e non si erano toccate due questioni fondamentali l’ausiliarietà ed il mansionario, in quanto il testo unico delle leggi sanitarie, RD.N.1265/19, distingueva coloro che operano in sanità in tre categorie:

  • Professioni sanitarie principali (medico chirurgo, veterinario, farmacista, odontoiatra)
  • Professioni sanitarie ausiliarie (levatrice, assistente sanitaria visitatrice e infermiera diplomata)
  • Arti ausiliarie delle professioni sanitarie (odontotecnico, ottico, meccanico ortopedico ed ernista, tecnico sanitario di radiologia medica e infermiere abilitato o autorizzato).

Inoltre pur avendo con un decreto ministeriale attribuiti autonomia, competenza e responsabilità agli infermieri era vigente anche se limitante se non in contrasto il c.d. mansionario; per ovviare a tutto ciò, allora ero consigliere per le professioni sanitarie nel Gabinetto del Ministro, proposi e fu accettato un disegno di legge di iniziativa governativa che mettesse in sicurezza legificandole le competenze degli infermieri stabilite dal decreto ministeriale, abolisse sia il mansionario che il termine ausiliario e rendesse equipollente ai nuovi diplomi universitari i precedenti diplomi professionali.

Ad onore del vero il Ddl prevedeva un altro articolo che mutava il termine Collegio in Ordine ed istituiva albi ed Ordine per le professioni che ne erano sprovviste… ma questo per effetto dei soliti noti in sede di conversione parlamentare sparì per poi rinascere il 22 dicembre 2017…

Quindi l’impianto normativo fu perfezionato successivamente dalla legge 26/02/1999 n. 42 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie” la quale sancisce che la denominazione “professione sanitaria ausiliaria” è abolita e sostituita dalla denominazione “professione sanitaria”; inoltre l’art. 1 di questa legge, al comma 2, così recita:
Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”.

Questa fu la fase di iniziale emancipazione e sostanziale valorizzazione delle professioni infermieristiche che pose le fondamenta solide per dar corso alle successive fasi di cui per me l’asse portante dei tutto il processo riformatore è costituito dalla legge 251/00, varata nella stessa legislatura: questa legge fu la sintesi organica e non contraddittoria di tutte le proposte di legge in materia presentate dai partiti di maggioranza e di opposizione e per questo, come anche la legge 42/99, fu votata all’unanimità in aula dal Parlamento sia alla Camera dei Deputati che al Senato della Repubblica dopo un elevato, proattivo, positivo e competente dibattito, in particolare da senatori e deputati medici.

Con un respiro quasi da carta costituzionale l’art. 1 della legge di riforma quadro delle professioni sanitarie, n. 251/2000 così recita per le professioni di infermiere e di ostetrica):
1. Gli operatori delle professioni sanitarie dell'area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell'assistenza.
2. Lo Stato e le regioni promuovono, nell'esercizio delle proprie funzioni legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle professioni infermieristico – ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, all'integrazione dell'organizzazione del lavoro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell'Unione europea.
3. Il Ministero della sanità, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emana linee guida per:

  • a) l'attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni;
  • b) la revisione dell'organizzazione del lavoro, incentivando modelli di assistenza personalizzata”.

La 251, inoltre istituì la qualifica di dirigente infermiere sia come incarico a tempo determinato che indeterminato, previse la laurea, oggi laurea specialistica o magistrale, e la gestione delle attività infermieristiche e di quelle di supporto ad uno specifico servizio diretto da un infermiere dirigente.

Per effetto di questo quadro normativo si ebbe la conseguenza innovativa che:

  1. quella infermieristica, come gli altri 21 profili professionali, è una professione autonoma (art. 1 legge n. 42/1999 e art. 1, comma 1, legge 251/2000), essendo stata abrogata la definizione di “professione sanitaria ausiliaria” ex art. 1, comma 1;
  2. l’oggetto della professione è costituito dalle “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva” (art. 1, comma 1, legge n. 251/2000);
  3. le funzioni proprie della professione sono definite “dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell'assistenza” (art. 1, comma 1, legge 251/2000);
  4. ulteriori funzioni possono essere stabilite dallo Stato e dalle Regioni “nell'esercizio delle proprie funzioni legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative”.

Ne consegue che i criteri per la determinazione delle competenze proprie della professione infermieristica vengano sostanzialmente individuati:

  • nel criterio guida – introdotto dall’art. 1, comma 1, legge n. 251/2000 – che preordina la professione allo svolgimento delle “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva”;
  • nei criteri limiti – previsti dall’art. 1 legge n. 42/1999 e dall’art. 1, comma 1, legge 251/2000 – costituiti dai profili professionali, dall’ordinamento universitario e formativo post-base e dai codici deontologici.

Siamo, quindi, riusciti a far sì che i criteri limiti di cui alla lett. b) configurino sostanzialmente una dinamicità in progress di attribuzione di competenze e funzioni secondo quanto già previsto o in futuro sarà stabilito dalle disposizioni, normative ed amministrative, preordinate a definire i profili professionali, gli ordinamento universitari e formativi, le regole deontologiche.

E’ un concetto esaltato e rafforzato dalla portata della previsione dell’art. 1, comma 2, legge n. 251/2000 là dove attribuisce espressamente allo Stato e alle Regioni il compito di promuovere, nell'esercizio delle proprie funzioni legislative, di indirizzo, di programmazione ed amministrative, “la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle professioni infermieristico – ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, all'integrazione dell'organizzazione del lavoro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell'Unione europea”.

Ne consegue che la valorizzazione e responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo della professione infermieristica ad opera dell’attività, legislativa ed amministrativa, dello Stato e delle Regioni deve essere realizzata alla luce e nel rispetto:

  1. della competenza propria della professione, che si identifica con le “attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva” (art. 1, comma 1, legge n. 251/2000);
  2. dell’evoluzione dei percorsi formativi definiti dalle istituzioni universitarie e formative per la professione dell’infermiere.

Le professioni infermieristiche e pertanto non sono più configurate quali “ancillari” alla professione medica ed hanno visto riconosciuta la propria autonomia professionale, come una “normale” professione intellettuale.

Le leggi 42 e 251 segnano il definitivo abbandono del ruolo “residuale” proprio di tali professionisti riconoscendogli pari dignità rispetto alle già esistenti professioni della salute… Ma mancava l’ultimo tassello di questa riforma: la trasformazione da Collegi ad Ordini e l’istituzione di albi e Ordini per le professioni sprovviste, che pure era presente, come accennato sopra, nel primo Ddl governativo che divenne la legge 42 e poi ritirato, per questo, unificando disegni di legge bipartisan e quello governativo fu varata la legge 43/06 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi Ordini professionali” che delegò il Governo a realizzare l’evoluzione da Collegio ad Ordine e l’istituzione di albi ed Ordini per le professioni che ne erano prive.

Nonostante il pregevole lavoro di concertazione svolto dal Sottosegretario Patta, in quella fase ero rientrato come Consigliere delle professionali sanitarie nel Gabinetto del Ministro, che ebbe il consenso di tutte le rappresentanze professionali e sindacali delle professioni interessate la delega non fu esercitata in tempo dal Governo… per lo zampino dei soliti noti… per fortuna resi inoffensivi nella legislatura appena conclusa, nella precedente ci si provò in ogni maniera ma prevalsero i soliti noti…

La legge 43 sancisce, anche, una nuova articolazione delle professioni, al loro interno, in riferimento alla acquisizione di titoli universitari: professionista, professionista specialista, professionista coordinatore, professionista dirigente… il professionista specialista è l’unico non ancora concretizzato e costituisce la sfida per il futuro prossimo rinnovo contrattuale, come già illustrato e chiarito in precedenti articoli su questa autorevole rivista.

Le norme introdotte dalla legge Lorenzin nel concludere il processo di riforma svolto sinora con leggi specifiche delle professioni sanitarie diverse dal medico ora, invece, nella medesima legge hanno riordinato tutta l’Ordinistica sanitaria italiana in pari modalità, rimodulando l’ordinamento, favorendo la partecipazione, la democraticità interna, come già avvenuto, anche con forme più avanzate con gli altri Ordini “non sanitari” e si spera che la decretazione attuativa esalti questi concetti e non li comprimi, ne definisce con più forza la natura giuridica, stabilisce norme più severe per l’esercizio abusivo di professione sanitaria e ne regola il rapporto della deontologia tra Ordine, direzione della aziende sanitarie, Regioni, nel rispetto degli obblighi derivanti ai professionisti da normative nazionali, regionali e contrattuali.

Certamente una delle maggiori novità di questa legge è costituita dall’aver concluso la Riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, di ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, nella parte mancante e sempre venuta meno nelle precedenti legislature.

Una Riforma che per rilevanza strategica e per profondità di interventi ordinamentali, formativi e di innovazione nell’organizzazione del lavoro e di interazione con le altre professioni e gli altri operatori non ha pari in nessun altro comparto.

L’idea forza di questa importante Riforma delle professioni sanitarie traeva e trae spunto e motivazione dalla constatazione che era ed è necessario adeguare e declinare il ruolo, l’ordinamento, la formazione delle professioni sanitarie non solo ai modelli più avanzati degli altri Stati europei ed extraeuropei ma anche all’evoluzione scientifica e tecnologica del Sistema Salute in Italia in grado di rispondere al mutato quadro epidemiologico e demografico rispetto a quello presente sino agli settanta/ottanta dell’altro secolo.

In questo quadro si evidenziava la questione delle professioni infermieristiche insieme a quelle delle altre professioni sanitarie allora non ancora laureate, per darle una prospettiva positiva di profonda riforma avevano ed hanno bisogno di una profonda mutazione in grado di coglierne le innovative potenzialità di saperi, di operatività e di scientificità che presentano per contribuire positivamente all’attuazione del diritto alla salute individuale e collettiva.

Pertanto l’impianto riformatore è completato, missione compiuta, un processo al quale, pur con la consueta modestia, ammetto di aver contribuito a realizzare, sia come dirigente e poi consulente ministeriale, ora si tratta di rendere operativo tutto il potenziale innovativo che questo processo contiene e che è ancora, colpevolmente, non è interamente valorizzato ed attuato ad iniziare dalla implementazione delle competenze con tutto quel che ha di innovazione nell’organizzazione del lavoro in sanità ma soprattutto in implementazione di qualità e di quantità di prestazioni sanitarie ai veri azionisti delle Aziende Sanitarie che sono i cittadini… ma questa è un’altra storia che nel nuovo ruolo di consulente dell’ARAN sto adoperandomi perché con la soluzione contrattuale diventi, finalmente, realtà…

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