Un confronto generazionale nella professione infermieristica: effetti del lavoro sulla salute e sulla produttività


Introduzione
Numerosi studi in letteratura affrontano il problema delle multigenerazioni in ambito lavorativo, ma pochi di questi trattano le differenze tra le generazioni in termini di salute, produttività e qualità delle cure erogate.
Le problematiche generazionali, seppur apparentemente marginali e di facile risoluzione, sono in realtà difficili da gestire e caratterizzate da una serie di variabili estremamente complesse, alcune sconosciute nella correlazione, che ne rendono difficile la comprensione all’interno di un sistema altrettanto complesso come quello delle organizzazioni sanitarie. L’invecchiamento della forza lavoro, la relativa produttività e l’elevato tasso di turn over sono solo alcuni esempi di fenomeni ai quali le organizzazioni sanitarie sono esposte in relazione alle differenti generazioni di infermieri in esse presenti.

Questo contributo si pone l’obiettivo di analizzare questi aspetti che, salvo importanti manovre correttive, normative e culturali, accompagneranno i manager ed i professionisti dell’assistenza infermieristica per i prossimi vent’anni.
L’obiettivo primario di questa revisione della letteratura è stato quello di individuare in che modo il lavoro impatta sulla salute dei lavoratori, alla luce delle differenti generazioni, del tasso di turn over, dell’invecchiamento della popolazione infermieristica e della forza lavoro ad essa correlata.

Obiettivo secondario è stato quello di individuare le strategie che i manager sanitari potrebbero adottare per garantire, nonostante la grave crisi economica globale, qualità e sicurezza dell’assistenza e delle prestazioni infermieristiche erogate.

La ricerca bibliografica è stata condotta sulle principali banche dati (MedLine, Trip Data Base, Emabase, The Cochrane Library, Cinhal), utilizzando prevalentemente termini indicizzati e liberi in un primo step di ricerca, quali “Nurses”, “Nurse”, “Generational”, mentre nel secondo step sono stati utilizzati come Mesh term “Nursing staffing organization and administration", “Satisfaction” con submesh term “Manpower”.

Definizione e inquadramento del fenomeno
La gestione di un gruppo multigenerazionale è un compito arduo, a cui i manager delle organizzazioni sanitarie devono porre attenzione, tentando di individuare e attuare tutte le strategie utili per gestirlo con efficacia, al fine di trarre un vantaggio per l’intera organizzazione e per le persone assistite.

Attualmente nel panorama sanitario sono presenti tre generazioni di infermieri con tratti, credenze, attitudini, valori e aspettative diverse. Le tre generazioni in questione sono:

  • la generazione Baby Boom, costituita dai nati tra il 1946 e il 1964;
  • la generazione X, costituita dai nati tra il 1965 e il 1981;
  • la generazione Y o Millenium, costituita dai nati dopo il 1981.

La generazione Baby Boom rappresenta negli USA la maggiore fetta di forza lavoro nel comparto sanitario; è la generazione nata nel primo dopoguerra, cresciuta e vissuta in un’epoca di relativo benessere economico, un’epoca di grandi innovazioni tecnologiche (si passa dalla radio alla TV), un’epoca che offre opportunità lavorative interessanti e una generale stabilità (Murray, 2013).

Questa generazione è vissuta in un contesto storico caratterizzato dalle lotte per i diritti civili, per l’uguaglianza sociale ed ha abbracciato una filosofia idealistica. Dal punto di vista lavorativo è una generazione dedita al lavoro, fedele alla professione, con forte senso etico e con una visione ottimistica del futuro (Murray, 2013; Bossetti et al., 2006).

In Italia, invece, la generazione maggiormente presente tra il personale infermieristico è la generazione X (Fortunato, 2013). E’ una generazione cresciuta in un’epoca di importanti cambiamenti sociali, in cui il bambino non era il centro dell’attenzione, in quanto entrambi i genitori lavoravano, che pertanto riconosce un forte senso dell’amicizia, in parte intesa come sostituzione del legame genitoriale e che cerca comunque un equilibrio tra la vita lavorativa e privata (Bossetti, 2006). Questa generazione è motivata, con forte senso di rivalsa sociale, che pretende indipendenza ed autonomia, professionalmente propensa all’attività libero professionale, che riconosce l’autorità soltanto se accompagnata da una leadership positiva, che presenta confidenza con la tecnologia e che riconosce che il futuro si gioca sulla professionalità (Bossetti, 2006; Murray, 2013).

La generazione Y, detta anche Millenium, è la generazione meno presente tra il personale infermieristico in Italia (Fortunato, 2013). E’ una generazione socievole ed ottimista, molto adattabile, che abbraccia con entusiasmo il cambiamento ed ha parecchia familiarità con la tecnologia. Ha trascorso un’infanzia ben strutturata e organizzata, in cui il bambino veniva posto al centro dell’attenzione, valorizzato e protetto ed è cresciuta in un mondo già multiculturale. Dal punto di vista lavorativo si presenta propensa al lavoro individuale, necessita di equilibrio tra vita lavorativa e sociale, predilige il lavoro intellettuale e ben remunerato, rifiuta il leader come autorità o come rifermento per il gruppo, ma ha bisogno di essere supervisionata (Murray, 2013).

Come evidenziato in precedenza, gli aspetti peculiari di ogni singola generazione, se non gestiti efficacemente, possono determinare conflitti e tensioni che si ripercuotono sull’efficienza dell’organizzazione e si traducono in esiti negativi per i pazienti. L’integrazione multigenerazionale e l’individuazione delle principali variabili legate alla soddisfazione lavorativa è complessa, in quanto ogni generazione è portatrice di valori propri, condizionati dal relativo percorso formativo (Saber, 2013). Basti pensare a quanto sia difficile, ad esempio, integrare l’alta dedizione al lavoro della generazione Baby Boom con la necessità di equilibrio tra vita professionale e privata delle generazioni X ed Y, o ancora l’elevata confidenza con la tecnologia di queste ultime, al contrario della generazione Baby Boom.

Le differenze generazionali, se non gestite correttamente, possono generare tensioni che influiscono negativamente sulla soddisfazione lavorativa, riducendo la qualità del clima organizzativo ed aumentando il tasso di turnover. Il turnover è quel processo in cui gli infermieri lasciano la propria attuale occupazione per un’altra all’interno della stessa organizzazione (mobilità interna all’organizzazione), per un’altra organizzazione (turnover organizzativo) o per un’altra professione (turnover professionale); può essere volontario, se il lavoratore decide di lasciare il posto di lavoro per una migliore retribuzione, migliori condizioni lavorative o organizzative, per problemi con i superiori e amministratori, trasferimento della famiglia, oppure involontario, se è dovuto a dimissione, sospensione, ritiro forzato, inidoneità fisica del lavoratore o morte (Le Vasseur, 2009). Il turnover infermieristico è un fenomeno che interessa l’intero contesto sanitario mondiale in misura maggiore rispetto ad altre professioni. L’elevato turnover, soprattutto se volontario, impatta negativamente sull’organizzazione, riducendo l’efficacia e la qualità dell’assistenza erogata al paziente (Ambrosi et al., 2013).

Lo studio condotto in alcuni ospedali del Nord Italia da Ambrosi et al. (2013) ha evidenziato come gli infermieri maggiormente propensi a lasciare il posto di lavoro siano gli infermieri della generazione Y, ossia quella che rappresenterà la professione in futuro.

Circa la correlazione tra il turnover infermieristico e gli esiti sui pazienti, in letteratura sono presenti risultati discordanti. Lo studio condotto da Bae et al. (2009) ha evidenziato come i reparti con bassi livelli di turnover siano correlati con risultati staticamente significativi con il maggior apprendimento dei membri dell’equipe, maggior soddisfazione del paziente, minori errori terapeutici e minor tasso di cadute rispetto ai reparti con maggior tasso di turnover. Thompson (2013) non evidenzia invece differenze statisticamente significative in termini di batteriemie catetere correlate e mortalità tra terapie intensive con differenti tassi di turnover. Tale discordanza può essere spiegata dal fatto che i diversi studi utilizzano differenti definizioni di turnover e diversi outcome clinici e che probabilmente le differenze sono evidenziabili soltanto per determinati esiti sui pazienti.

In Italia, cosi come in tutti i Paesi europei, la difficoltà a reclutare e trattenere gli infermieri nella propria organizzazione è un problema sempre più sentito, soprattutto in relazione alla concomitante carenza di personale. Si stima infatti che entro il 2020 ci sarà una carenza di circa 1 milione di operatori sanitari (European Commission, 2012) e di una forza lavoro che, in conseguenza delle attuali condizioni socio-economiche e alla normativa vigente in materia previdenziale, sta progressivamente invecchiando (Saber, 2013; Ambrosi et al., 2013; Stringhetta et al., 2012).

In Italia l’età media del personale infermieristico è di 43,3 anni, con il 19,5 % con età inferiore ai 34 anni, il 54,5 % tra i 35 ed i 49 anni ed il 26 % con età superiore ai 50 anni. Negli ultimi anni, la popolazione italiana di infermieri è invecchiata di oltre due anni, nella media nazionale, passando dai 41,1 anni del 2007 ai 43,3 del 2012; in alcune regioni, come Lombardia, Liguria e Veneto, l'invecchiamento arriva anche a sfiorare i tre anni (Fortunato, 2013). Il trend di invecchiamento è in crescita a causa di diversi fattori che in seguito verranno trattati; inoltre, in ambito ospedaliero, l’invecchiamento della popolazione lavorativa ha conseguenze importanti sul versante organizzativo e gestionale (Maricchio et al., 2013). Alcune attività degli operatori sanitari o le condizioni in cui tali attività vengono esplicate possono essere a loro volta causa di problemi di salute che aumentano tipicamente con l’età. Come evidenziato da numerose ricerche, nel nostro settore i disturbi muscoloscheletrici sono una delle patologie più frequenti (Lorusso et al., 2007; Souza, Alexandre, 2012 in Maricchio et al., 2013; Letvak, 2013).

In Italia le trasformazioni che hanno investito il sistema sanitario (aziendalizzazione, variazioni epidemiologiche della popolazione) hanno determinato un incremento dei ritmi e dei tempi di lavoro con inevitabili ripercussioni sulla salute degli operatori, specie di quelli più anziani, che evidenziano maggiore assenteismo e presenteismo (Maricchio et al., 2013).

Mentre l’assenteismo rappresenta un tempo non programmato passato lontano dal lavoro, il presenteismo è definito come una riduzione della produttività lavorativa legata a problemi di salute (Schultz et al., 2009 in Letvak, 2013). Le conseguenze dell’assenteismo e del presenteismo sono relative all’aumento del carico di lavoro per gli infermieri più giovani, che avrà conseguenze importanti sulla diminuzione della soddisfazione lavorativa rendendoli più propensi a lasciare il posto di lavoro (intention to leave) (Letvak, 2013). I risultati degli studi presenti in letteratura individuano infatti quattro fattori correlati all’intention to leave degli infermieri: soddisfazione lavorativa, conflitti con colleghi e superiori, retribuzione, stile di leadership adottato dai dirigenti (Ambrosi et al., 2013). Date le attuali condizioni economiche, risulta difficile intervenire sulla retribuzione, quindi le aree di intervento restano riduzione dei conflitti, miglioramento della soddisfazione lavorativa e stile di leadership dei dirigenti.

Come evidenziato da Bratt et al. (2000), lo stile di leadership adottato dai dirigenti influenza significativamente il clima organizzativo e la soddisfazione dei dipendenti. Gli infermieri senior si sentono parte della professione e dell’organizzazione e ad essa sono leali, mentre gli infermieri giovani necessitano di essere trascinati verso gli obiettivi organizzativi e di sentirsi partecipi (Ambrosi et al., 2013). Aspetti questi di estrema rilevanza nella gestione delle risorse umane, sia ai fini della soddisfazione lavorativa sia della generazione di conflitti.
In un’ottica di conciliazione tra qualità e sicurezza, l’interrogativo che bisogna porsi è pertanto come gli infermieri dirigenti riusciranno ad integrare le differenti generazioni infermieristiche e far fronte alle problematiche fino a qui emerse.

Dopo questo inquadramento generale del problema e dopo l’esposizione di quelli che sono i concetti chiave di questa revisione critica, si riportano di seguito le evidenze sul tema.

Risultati
Negli Stati Uniti l’età media degli infermieri è di 47 anni e di questi il 45% presenta un’età > o = a 50 anni, con un incremento del 33% rispetto al 2000 (Letvak, 2013).
In Italia le statistiche sono leggermente più favorevoli: l’età media del personale infermieristico è di 43,3 anni, pienamente in linea con quella europea, che oscilla tra 41 e 45. Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrato anche nel nostro Paese un peggioramento del trend: infatti la popolazione italiana di infermieri è invecchiata di oltre due anni, nella media nazionale, passando dai 41,1 anni del 2007 ai 43,3 del 2012 (Fortunato, 2013; WHO, 2013). Anche l’Italia, come gli USA, si troverà pertanto ad affrontare in tempi stretti il problema dell’invecchiamento della forza lavoro e di come gestirla efficacemente per garantire standard di qualità per le cure erogate, tutelando nel contempo la salute dei lavoratori stessi.

Le evidenze relative alle conseguenze sono un campanello di allarme per il sistema e le organizzazioni: la ricerca ha ormai prodotto numerosi risultati circa la correlazione positiva tra l’aumentare dell’età e l’incremento dei problemi di salute (Keller e Burns, 2010). L’aumentare dell’età è correlato con la diminuzione della potenza aerobica, del tempo di reazione, della velocità e della acuità dei cinque sensi (Watson, 2008 in Letvak, 2013). Inoltre è correlata con l’aumento del BMI ed è noto come questo contribuisca allo sviluppo di patologie croniche e alla riduzione della produttività dei lavoratori, che può arrivare al 10 -12%. (Goetzel et al., 2010 in Letvak, 2013).

Gli infermieri senior richiedono inoltre maggiori tempi di recupero al termine della giornata lavorativa e vari studi hanno evidenziato come i turnisti senior abbiano maggiori problemi di salute rispetto a quelli giovani (Costa & Sartori, 2007 in Letvak, 2013).
Schernhammer et al. (2004) hanno studiato la correlazione tra lavoro a turni e sviluppo del cancro, evidenziando come le donne con anzianità di servizio ≥ a 20 anni presentassero un maggior rischio per lo sviluppo di cancro endometriale. Sulla stessa coorte di infermieri Feskanich et al. (2006) hanno condotto uno studio sulla correlazione tra lavoro a turni e sviluppo di fratture, evidenziando come gli infermieri con anzianità di servizio ≥ a 20 anni fossero esposti ad un rischio staticamente significativo per lo sviluppo di fratture dell’anca e del polso.

Sebbene in letteratura siano presenti numerosi studi circa la valutazione delle differenze caratteriali e comportamentali delle differenti generazioni, le differenze in termini di produttività, soddisfazione lavorativa, stato di salute, qualità dell’assistenza erogata sono state ancora studiate.
Mion et al. (2006) hanno condotto dei focus group con infermieri senior (età 46-73) e infermieri più giovani (età 22-29 anni) per rilevare le loro percezioni e riflessioni circa l'ambiente di lavoro. I ricercatori hanno evidenziato che gli infermieri giovani e senior descrivevano simili preoccupazioni: entrambi i gruppi ritenevano infatti importante l'esperienza degli infermieri senior, pensavano che il loro ruolo andasse rivalutato, che nuove posizioni dovessero essere pensate per loro, suggerendo la necessità di cambiare alcuni aspetti dell’organizzazione del lavoro per mantenere la produttività gli infermieri senior (turni inferiori di 12 ore). Lo studio ha evidenziato inoltre come gli infermieri più giovani fossero insoddisfatti in relazione alle ridotte capacità fisiche dei colleghi senior e ai migliori orari di lavoro di cui godevano.

Nel 2007 Kovner et al. hanno condotto negli USA uno studio per analizzare le differenze in termini di atteggiamento verso il lavoro tra infermieri giovani e senior, evidenziando come gli infermieri senior riferissero minori conflitti famiglia-lavoro, maggiore motivazione, maggiore soddisfazione lavorativa, minor carico di lavoro e turni di lavoro più favorevoli. Per contro riferivano maggiori difficoltà nel trovare nuove occupazioni e minore possibilità di promozioni lavorative rispetto ai colleghi più giovani. In coerenza con i risultati di questo studio, Ambrosi et al. (2013) hanno evidenziato come gli infermieri più giovani si sentano meno obbligati a restare nell’attuale reparto, meno soddisfatti del proprio lavoro e riferiscano maggior conflitto lavoro-famiglia.

La minor soddisfazione lavorativa riferita dagli infermieri più giovani è un dato significativo, in quanto spiega il maggiore intention to leave degli stessi, evidenziato in vari studi. Lo studio condotto da Ambrosi et al. (2013) in alcuni ospedali del Nord Italia ha infatti messo in luce che il 56% degli infermieri con intention to leave avevano un’età inferiore ai 34 anni.
L’analisi della letteratura condotta da Letvak (2013) sottolinea come in ambito infermieristico ci siano pochi studi relativi alle differenze generazionali in termini di produttività, stato di salute e qualità delle cure erogate.

Discussione
Numerosi studi hanno confrontato infermieri senior e giovani, evidenziando come i primi siano più dediti al lavoro, più propensi ad accettare il cambiamento, riferiscano minor conflitto famiglia-lavoro e maggiore soddisfazione professionale, a differenza dei secondi che evidenziano insoddisfazione lavorativa correlata alle ridotte capacità fisiche degli infermieri senior e dell’orario di lavoro più favorevole di questi ultimi. Letvak et al. (2013) hanno esaminato le differenze esistenti tra infermieri giovani e senior in termini di produttività, salute auto-riferita e qualità delle cure erogate.

Lo studio è stato condotto inviando un questionario direttamente al domicilio di 2500 infermieri, estratti in maniera casuale da un elenco fornito dal North Carolina Board of Nursing. Solo 1256 hanno risposto al questionario, ma soltanto 1171 rispettavano i criteri di inclusione.

Per quanto concerne l’analisi descrittiva, il campione era costituito da:

  • Sesso: 91% donne, 9% uomini;
  • Etnia: 85% caucasici, 25% altro;
  • Stato civile: 73% sposati. 27% single;
  • Tipo di contratto: 76% full time, 24% part-time.

Il campione è stato successivamente diviso in due coorti di età: infermieri senior con età ≥ di 50 anni e infermieri giovani con età ≤ di 49 anni, in coerenza con altri studi presenti in letteratura (Norman et al., 2005; Kovner et al., 2007).

Il campione, come evidenziato, è prevalentemente di genere femminile, rappresentativo del gruppo professionale infermieristico di tutti i paesi. Anche in Italia le donne rappresentano la maggior parte della forza lavoro infermieristica con il loro 77% (D’Addio, 2011). Dati forniti da diverse fonti indicano che relativamente alla tipologia contrattuale, in Italia il 71% degli infermieri lavora con un contratto full-time. In questo momento storico, inoltre, si è registrata un’inversione di trend rispetto alla tipologia di rapporto di lavoro: la percentuale di infermieri assunti a tempo indeterminato full time è passata dal 40% del 2011 al 18% nel 2013, mentre è cresciuta progressivamente la percentuale di infermieri con assunzione a tempo determinato part-time, passata dal 9% del 2011 al 26% nel 2011.

Lo stato di salute auto riferito è stato valutato attraverso indicatori quali: BMI, stato di salute percepito, tabagismo, segnalazione di patologie specifiche, dolore muscolo scheletrico, depressione.

Ai partecipanti è stato chiesto di indicare patologie specifiche su un elenco di quelle che si correlano negativamente con la produttività lavorativa (es. ansia, ipertensione, patologie cardiache) allegato al questionario. Il dolore muscolo scheletrico, riferito agli ultimi 14 giorni, è stato valutato su una scala Likert a 11 punti, dove 0 corrisponde a nessun dolore 10 a dolore insopportabile.

Questa scala ha dimostrato sensibilità al 92% per i dolori lombari lievi e del 99% per i disturbi muscolo-scheletrici (Childs et al., 2005; Gallasch e Alexandre, 2007 in Letvak, 2013). La salute auto percepita è stata rilevata con l’ausilio di una scala Likert a 11 punti, dove 0 corrisponde a pessimo e 10 eccellente. Per valutare la depressione è stato invece utilizzato il questionario PHQ-9, già validato per la valutazione della depressione nei lavoratori del settore sanitario. I punteggi variavano da 0 a 27 e il cut-off per la depressione clinica è 10 (Kroenke et al., 2001; Grieger et al., 2007 in Letvak, 2013).

I risultati dello studio hanno evidenziato che gli infermieri senior rispetto ai colleghi più giovani presentano un maggiore BMI (P = 0.000), riferiscono maggior benessere psichico (P = 0.000), maggiori problemi di salute (P = 0.000), maggior dolore muscolo scheletrico (P = 0.000).

Quest’ultimo in linea con le Linee Guida del CDC 2012 che sottolinea come i problemi muscolo scheletrici aumentino in misura direttamente proporzionale con l’avanzare dell’età e probabilmente il benessere psichico è correlato al minor conflitto lavoro-famiglia. (in Letvak 2013). Non sono state invece evidenziate differenze in termini di depressione, tabagismo e soddisfazione lavorativa.

Quest’ultimo risultato può essere letto in relazione all’orario di lavoro e alla retribuzione: infatti la maggior parte degli infermieri senior erano sottoposti a turni di 8 ore, contro le 12 di quelli più giovani, e percepivano una retribuzione più alta, sebbene la differenza retributiva non fosse notevole.

Per valutare in che modo lo stato di salute impatta sulla produttività è stato utilizzato il Work Productivity and Activity Impairment Questionnaire: General Health (WPAIGH). Questo strumento utilizza una scala Likert 0-10, dove 0 indica problemi di salute che non hanno avuto effetti sul lavoro e 10 problemi di salute che hanno impedito totalmente l’attività lavorativa negli ultimi 14 giorni (Reilly, 2005 in Letvak, 2013). Lo studio ha evidenziato che gli infermieri senior registrano maggior presenteismo rispetto ai colleghi più giovani: questo risultato può essere letto in relazione all’aumentato BMI, in quanto lo studio condotto da Goetzel et al (2010) evidenzia come il sovrappeso e l'obesità possano ridurre la produttività dei lavoratori fino al 10-12%. Inoltre è noto come lo sviluppo di patologie croniche, correlato all’avanzare dell’età, contribuisca a ridurre la produttività.

Relativamente al tasso di assenteismo, nonostante i livelli più elevati di dolore riferiti e la maggior prevalenza di problemi di salute degli infermieri senior, non vi erano differenze statisticamente significative. Nell’interpretazione di quest’ultimo dato, che va in controtendenza rispetto ai dati presenti in letteratura, va considerato che i dati raccolti si riferiscono soltanto agli ultimi 14 giorni di lavoro e che, come indicato nell’analisi metodologica, un limite dello studio è rappresentato dalla mancata esplicitazione del periodo della raccolta dati e dei reparti di provenienza dei professionisti: infatti, il carico di lavoro di ogni reparto presenta un andamento stagionale che differisce da degenza a degenza.

Dal punto di vista organizzativo, le problematiche sopra esposte potrebbero essere affrontate intervenendo sulla variabile indipendente, ossia il BMI, per modificare di conseguenza quelle dipendenti, quali i dolori muscolo-scheletrici, la produttività, mirando ad interventi specifici sugli stili di vita con particolare attenzione all’alimentazione e all’attività fisica. Per tali situazioni sarebbero opportuni interventi educativi, quali ad esempio corsi aziendali o campagne di sensibilizzazione sulla corretta alimentazione diretti alla modifica stabile del comportamento alimentare. Tali interventi andrebbero indirizzati non soltanto ai dipendenti senior, maggiormente esposti ai problemi fisici, quindi in un’ottica di prevenzione secondaria, ma anche a quelli giovani, con interventi di promozione della salute, rendendoli consapevoli che il proprio stile di vita odierno avrà un impatto futuro principalmente sulla propria salute, secondariamente sulla loro produttività.

La qualità delle cure erogate è stata rilevata attraverso una serie di indicatori, quali:

  • qualità delle cure auto-percepita, valutato con una scala Likert a 11 punti, dove 0 corrisponde a pessimo e 10 eccellente;
  • gli errori terapeutici auto-riferiti relativi agli ultimi 14 gg – l’errore terapeutico è stato definito come ogni evento avverso, indesiderabile, non intenzionale, prevenibile che può causare o portare ad un uso inappropriato del farmaco o ad un pericolo per il paziente (National Coordinating Council for Medication Error Reporting and Prevention);
  • cadute dei pazienti riferite dagli infermieri negli ultimi 14 gg durante il proprio turno di servizio – la caduta è stata definita come una discesa al suolo non pianificata di un paziente durante una degenza ospedaliera.

Lo studio non ha evidenziato differenze statisticamente significative per la qualità delle cure percepita e per gli errori terapeutici, mentre delle differenze sono state evidenziate in relazione alle cadute. Gli infermieri senior hanno infatti registrato tassi di cadute più alti rispetto ai colleghi giovani. Trattandosi di uno studio cross sectional non è possibile dimostrare la correlazione tra la causa e l’effetto, quindi tra infermiere senior e cadute, ma è possibile formulare alcune ipotesi.

Probabilmente gli infermieri senior, grazie all’esperienza, riescono a compensare i deficit derivanti dai problemi di salute in attività intellettuali, come ad es. la somministrazione dei farmaci, mentre lo stesso non è possibile in attività di natura fisica che necessitano di prontezza di riflessi e velocità, quale ad esempio intervenire per evitare al paziente una caduta. Questo risultato va comunque interpretato alla luce dei limiti dello studio: infatti non è stata specificata la tipologia dei pazienti, né la terapia farmacologica, né gli eventuali metodi contenitivi. Questi sono possibili fattori confondenti, sebbene altri studi abbiano ottenuto i medesimi risultati in relazione alle cadute.

Nonostante i limiti, alcuni dei quali insiti e non eliminabili in una ricerca condotta in ambito organizzativo, lo studio consente di colmare parzialmente un’area grigia rappresentata dalla mancanza di evidenze circa la correlazione tra le differenti generazioni e produttività, stato di salute e qualità delle cure erogate.

Conclusioni
Le differenti generazioni di professionisti sanitari e la non facile integrazione tra queste rappresentano una problematica che coinvolge tutti i Paesi e le professioni e che, se non gestite efficacemente, possono risultare potenzialmente dannose per la qualità delle cure erogate e per l’intera performance organizzativa.

Per integrare le differenti generazioni è necessario che i dirigenti implementino nuove strategie atte a valorizzare la diversità e a ridurre i conflitti che si generano tra esse.
Pertanto risulta necessario un approccio improntato sulla gestione delle differenze (Diversity Management), finalizzato al riconoscimento, alla valutazione e soprattutto alla valorizzazione delle differenze esistenti, che consenta ad ogni singolo professionista l’espressione del proprio potenziale, contribuendo di conseguenza al miglioramento della qualità delle cure erogate e del benessere dei lavoratori stessi. Le differenze e le diversità, infatti, alla stregua di quanto accade in natura, ove vengono considerate una ricchezza con il loro patrimonio di biodiversità, possono diventare un elemento di valore anche nelle organizzazioni, evitando le tensioni e migliorando il clima organizzativo. E’ ormai evidente come le tensioni generino insoddisfazione, quest’ultima generi turnover e il turnover generi altro turnover. L’elevato turnover sommato a questo momento storico, in cui la crisi economica ha di fatto paralizzato la Pubblica Amministrazione, può portare conseguenze importanti, se sottovalutate sul piano economico, gestionale e sociale. L’uscita di personale già formato ed integrato e l’ingresso di personale neoassunto, comporta ad esempio dei costi sia in termini economici che sociali, innescando di fatto un circolo vizioso da cui non sarebbe facile uscirne.

Diviene pertanto necessario attuare delle strategie atte a trattenere il personale già in servizio, tenendo ben presente che tra qualche anno la generazione Baby Boom verrà rimpiazzata dalla generazione Y, a cui vanno indirizzati con maggiore attenzione tutti gli interventi volti ad aumentare la soddisfazione lavorativa e a ridurre i conflitti.
Per migliorare la soddisfazione lavorativa e ridurre i conflitti che essa genera, dal punto di vista organizzativo si potrebbe puntare, nel concreto, su modelli assistenziali innovativi che consentano di valorizzare e integrare l’esperienza clinica degli infermieri della vecchia generazione, con la maggiore efficienza fisica e le conoscenze tecnologiche delle nuove generazioni. Ciò consentirebbe ai boomers (esperti) di erogare assistenza non solo ai pazienti ma anche alle famiglie degli stessi, di provvedere alla loro educazione e di fare da mentore per gli infermieri più giovani, coordinandone l’attività e mettendo la propria esperienza al servizio degli stessi, mentre gli infermieri Millenium o della generazione X potrebbero essere deputati all’assistenza diretta del paziente, soprattutto per i pazienti complessi che richiedono un carico di lavoro maggiore, alla gestione delle nuove tecnologie e all’implementazione di una pratica Evidence Based, avendo ricevuto una formazione in merito.

Gli infermieri manager dovrebbero inoltre implementare strumenti di monitoraggio validati sull’intention to leave, che consentano di individuare le motivazioni, riferite dal personale, che sottostanno alla loro volontà di lasciare l’ospedale, al fine di individuare le aree su cui intervenire.

L’adozione di strumenti validati consentirebbe inoltre di confrontare i dati tra le varie organizzazioni. A tal fine i dipendenti che lasciano l’ospedale potrebbero essere sottoposti ad interviste o questionari finalizzati a comprendere le motivazioni che sottostanno alla loro decisione.

Utile sarebbe agire preventivamente monitorando annualmente la volontà da parte degli infermieri di lasciare il posto di lavoro con l’Anticipated turnover scale, strumento non ancora validato in italiano ma che ha dimostrato la sua sensibilità, come evidenziato dalla metanalisi condotta da Barlow e Zangaro (2010).

Per migliorare il clima organizzativo e ridurre l’intention to leave degli infermieri, altri interventi potrebbero essere: differenziazione dei livelli di carriera professionale per valorizzare le competenze cliniche e specialistiche; introduzione di strumenti di valutazione della performance quali-quantitativa; rimodulazione dello stile di leadership adottato dal dirigente; introduzione di un sistema premiante. Lo stile di leadership dei dirigenti che meglio si sposa con le caratteristiche delle generazioni vecchie e nuove è uno stile misto tra democratico e coaching. Un leader aperto al confronto, abile nella comunicazione, che valorizza i membri del gruppo, che contribuisce a creare un clima di squadra e che coinvolge nella fase decisionale. Il suo stile dovrebbe portarlo a essere riconosciuto quale leader più che manager: è l’autorevolezza il suo principale strumento, non tanto l’imposizione delle proprie strategie sulla base dell’autorità di cui gode. In un contesto come il nostro, dove i professionisti hanno scarse o nulle possibilità di carriera, l’introduzione di strumenti e metodologie finalizzate alla valutazione e all’incentivazione del personale sono di fondamentale importanza. Nonostante la difficile implementazione, la valutazione quali-quantitativa delle prestazioni consentirebbe di individuare i servizi, le equipe o i singoli professionisti che raggiungono gli obiettivi prestabiliti al fine di premiarli, riconoscendo e valorizzando il loro operato. In relazione al sistema premiante, valutando le scarsità economiche e la nuova consapevolezza da sviluppare sul ruolo delle competenze, potrebbe essere offerta a chi raggiunge determinati obiettivi la partecipazione a corsi di formazione finanziati dall’azienda stessa, successivamente la differenziazione dei livelli di carriera a seguito delle ulteriori competenze acquisite. Non esistono risposte certe o adeguate per ogni contesto, ma nonostante l’incertezza e le difficoltà, i manager sanitari sono chiamati ad interrogarsi su come valutare le prestazioni e con quali strumenti, per accrescere la soddisfazione dei professionisti e di conseguenza ridurre il tasso di turnover.

Lo studio delle differenti generazioni e di come esse impattano sull’organizzazione, sulla produttività e sugli esiti dell’assistenza resta tuttavia un campo ancora poco esplorato. Pertanto si rendono necessarie ulteriori ricerche con campioni più ampi e con metodologie più rigorose, che prendano in considerazione anche i differenti servizi di provenienza e che adottino strategie atte a controllare i vari fattori confondenti, nonostante in ambito organizzativo sia complesso riconoscerli e controllarli.
 

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Bibliografia

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