La violenza verso gli infermieri in psichiatria: un’indagine multicentrica


Introduzione
Il National Institute of Occupational Safety and Health definisce la violenza sul posto di lavoro come “ogni aggressione fisica, comportamento minaccioso o abuso verbale che si verifica sul posto di lavoro” (NHS, 2009). Nel contesto lavorativo gli atti di violenza, nella maggior parte dei casi, sono rappresentati da eventi con esito non severo, ossia aggressione o tentativo di aggressione, fisica o verbale, quale quella realizzata con uso di un linguaggio offensivo.
La Joint Commission riporta, dal 2007 al giugno 2013, un numero complessivo di 257 eventi sentinella legati ad aggressione, violenza e omicidio (The Joint Commission, 2013). Nelle strutture ospedaliere italiane gli infortuni denunciati all’INAIL per qualifica professionale e modalità di accadimento nell’anno 2005 ammontano a 429, di cui 234 su infermieri e 7 su medici (INAIL, 2007). Nel 2010 gli infortuni denunciati all’INAIL nei servizi ospedalieri (totali non suddivisi per forma di accadimento) sono stati 15.417, in calo del 2,5% rispetto al 2009: quelli in itinere sono stati 2.873, il 18,6% del totale. Gli operatori che hanno fatto registrare il maggior numero di denunce di infortunio sono stati gli infermieri (46%), i portantini (22%) il medico (poco meno del 6%) (INAIL, 2013).
Gli episodi di violenza contro operatori sanitari sono considerati eventi sentinella, ovvero eventi avversi di particolare gravità, potenzialmente evitabili, che possono determinare morte o grave danno al paziente e all’operatore (Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali, 2009).
L’accadimento di questi eventi evidenzia potenziali carenze organizzative e può essere indicativo di insufficiente consapevolezza, da parte dell’organizzazione, del possibile pericolo di violenza all’interno delle strutture sanitarie. In particolare l’evento può dipendere da scarsa vigilanza, da sottovalutazione dei pazienti a rischio di compiere aggressioni fisiche e da difficoltà relazionali tra operatori e utenza. Il riconoscimento tempestivo dell’evento è importante per definire e attuare interventi di carattere organizzativo e logistico, per la revisione dei protocolli in uso, per programmare la formazione del personale.
In generale, gli eventi di violenza si manifestano più frequentemente nelle aree di emergenza e urgenza e nelle strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali. La conferma viene dal “Protocollo di Monitoraggio degli eventi sentinella 4° Rapporto (Settembre 2005-Dicembre 2011)” in cui la psichiatria viene descritta come area ad alto rischio di atti di violenza a danno di operatore e come quarta causa di evento avverso sul territorio nazionale (130 casi pari al 9.02%) .
Queste sono alcune delle ragioni per cui il tema della violenza sul posto di lavoro e l’aggressione nei settori della sanità e nei servizi sociali hanno assunto una posizione centrale in alcuni programmi di politica governativa.
Nel Regno Unito, la manifestazione più evidente di questa tendenza è stata il perseguimento attivo di una politica di “tolleranza zero” della violenza nei confronti del personale sanitario (NHS, 2009). Inoltre, nonostante la violenza al personale sia descritta come un problema unico per i servizi di assistenza sanitaria, l’aumento dei livelli di violenza è parte di un fenomeno sociale più ampio (Staub, 1996).
La National Health Service Foundation Trust (NHS, 2009) considera gli operatori sanitari uno dei gruppi più a rischio di aggressione nel Regno Unito; le statistiche del crimine indicano che circa il 5% di tutti gli infermieri nel Regno Unito sono aggrediti ogni anno (Budd, 1999).
Analoghi dati sono registrati anche in Irlanda, nei paesi Scandinavi e in Australia (Zernike & Sharpe, 1998). Una revisione della letteratura della American Psychiatric Nurses Association (A.P.N.A) evidenzia che il 75% del personale infermieristico in unità psichiatriche (S.P.D.C.) è stato aggredito almeno una volta durante la carriera (A.P.N.A., 2008). Il 62% del personale clinico psichiatrico e il 28% del personale non clinico riferiscono di avere subito aggressione da parte dei pazienti almeno una volta nel corso della carriera. Il 94% degli infermieri psichiatrici canadesi ha riferito di essere stato aggredito almeno una volta nella carriera mentre il 54% ha riferito di essere stato aggredito più di 10 volte. Una ricerca irlandese (HSE, 2008) ha sottolineato come, nell’ambito della salute mentale che nell’ambito della gli infermieri siano particolarmente a rischio di aggressione fisica.
Altri studi hanno focalizzato l’attenzione sugli episodi di violenza in relazione al genere e al numero di operatori.
Lo studio di Daffern (2006), dimostra che l’impatto di genere del personale ospedaliero verso l’aggressione rimane un tema poco descritto in letteratura e che non ci sono dati significativi nella relazione tra genere e aggressione in una degenza psichiatrica.
Lo studio di Staggs (2013), invece, evidenza che il numero del personale è direttamente proporzionale ai tassi d'aggressione e che, in presenza di un numero elevato di personale, tale rapporto è invertito e ancora, che il numero di infermieri esperti diminuisce tale associazione.
Uno studio italiano di Salerno e Dimitri (2009) che ha valutato la frequenza e il tipo di comportamento aggressivo manifestato dai pazienti e provato a identificare le caratteristiche dei pazienti più inclini a mostrare un comportamento aggressivo verso personale sanitario, ha dimostrato che il reparto psichiatrico presenta un rischio professionale elevato per gli operatori sanitari, soprattutto infermieri. Il comportamento aggressivo è particolarmente elevato durante il giorno e tra i pazienti psicotici ricoverati senza il loro consenso.
La segnalazione degli episodi di aggressione è molto bassa: secondo i dati dell’A.P.N.A. il 43% delle violenze fisiche e il 61% di violenza non fisica non vengono denunciate. Il 32% dei dipendenti aggrediti e l'8% di chi subisce violenza non fisica considerano la violenza come parte del lavoro.

L’indagine
Per dimensionare e comprendere meglio il fenomeno delle aggressioni verso gli infermieri in ambito psichiatrico è stata condotta un’indagine che ha coinvolto tutti gli infermieri che lavorano presso i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura del territorio piemontese: complessivamente 24 unità operative.
I dati sugli eventi aggressivi nei confronti del personale sono stati recuperati presso le unità di gestione del rischio clinico mentre per esplorare le conoscenze e il vissuto degli infermieri nei confronti degli agiti aggressivi è stato costruito uno specifico questionario. Le aree considerate, prendendo come riferimento la ricerca condotta dal NHS nel 2010, sono state: la cultura pro-security, la consapevolezza dello staff sulla politica della sicurezza e iniziative, l’esperienza personale sulla violenza, le cause potenziali e fattori aggravanti, la risposta alla violenza e il miglioramento della sicurezza. Complessivamente le domande somministrate sono state 14.
Delle 24 unità operative coinvolte nell’indagine, solo 15 hanno risposto al questionario. Solo 3 unità di gestione del rischio clinico su 8 hanno ricevuto segnalazioni di eventi avversi o eventi sentinella da parte del personale degli SPDC. Tra le segnalazioni effettuate 15 sono state fisiche e 2 verbali.
Complessivamente i questionari somministrati sono stati 186, quelli compilati e restituiti 156. I rispondenti sono stati donne in una percentuale pari al 68,6% e uomini nella percentuale del 31,4%. L’età media è di 43 anni e la media degli anni di lavoro presso gli SPDC pari a 8. Il 92% degli operatori lavora su 3 turni, solo il 3%, lavora invece su un solo turno.
I risultati relativi alle aree indagate dal questionario sono stati i seguenti:

  • Cultura “pro-security”: gli intervistati hanno riferito di sentirsi mediamente al sicuro sul posto di lavoro (47%) ma che, in presenza di pazienti violenti, si sentono mediamente meno sicuri. La maggior parte degli operatori considera di avere una discreta capacità di gestire le aggressioni verbali mentre questa capacità è scarsa per quelle verbali.
  • Consapevolezza dello staff sulle politiche della sicurezza e iniziative: la maggioranza degli intervistati (73%) dichiara di non conoscere iniziative rispetto alla gestione degli agiti aggressivi, mentre il 98% dichiara di non essere a conoscenza di iniziative aziendali a supporto del personale aggredito.
  • Esperienza del personale verso la violenza: per quanto riguarda le aggressioni fisiche e verbali subite nei 6 mesi precedenti la somministrazione del questionario, il 47% ha subito aggressioni verbali, il 56% aggressioni fisiche. Negli anni di lavoro il 19% non è mai stato aggredito fisicamente e il 4% non è mai stato aggredito verbalmente. Le sensazioni provate durante le aggressioni subite sono state diverse (Tabella 1).
  • Cause potenziali e fattori aggravanti della violenza: il 78% individua i disturbi correlati a sostanze, il 47%, invece, i disturbi di personalità Le ore diurne sono considerate il momento nel quale si verificano più aggressioni dal 84% rispetto alle ore notturne. Mentre non vi è una netta distinzione per il rischio di aggressione se il paziente si trova in regime di trattamento sanitario obbligatorio; solo il 54% riferisce che il rischio aumenta. Il fattore più rilevante rispetto a potenziali cause ambientali è stato percepito dagli intervistati come il rapporto spazio persone, cioè un possibile rischio di sovraffollamento nel luogo di degenza.
  • Risposta alla violenza: la segnalazione dell'incidente da parte del personale è considerata un importante strumento sia per i casi di aggressione fisica che per quelli di aggressione verbale.
  • Migliorare la sicurezza: l’informazione sulle modalità di difesa da un’aggressione e l’organizzazione sono da tutti ritenute fondamentali per una corretta gestione degli episodi di violenza. Paura, stress, frustrazione e sicurezza sono state le parole più spesso utilizzate per descrivere le sensazioni vissute durante gli episodi di violenza.

 

Tabella 1 – Sensazioni dopo aggressione

Sensazioni

N

%

Stress psicologico, una forte esperienza emotiva

110

17

Più stress

84

13

Mi rende più consapevole

76

12

Mi sono sentito meno sicuro sul posto di lavoro

70

11

Ho meno fiducia nella sicurezza del mio posto di lavoro

55

9

Ho sentito meno soddisfazione sul lavoro

44

7

Ho meno fiducia nelle procedure di segnalazione

38

6

Ho imparato di più sulla sicurezza personale

41

6

Mi sento spaventato, preoccupato

30

5

Mi sono sentito meno in grado svolgere il proprio lavoro

16

3

Ho perso giorni di lavoro

11

2

Ho un atteggiamento più positivo verso i colleghi

15

2

Sto pensando a un nuovo posto di lavoro

14

2

Ho un atteggiamento più negativo nei confronti dei pazienti

9

1

Ho un atteggiamento più positivo nei confronti dei pazienti

9

1

Ho riscontrato dei disturbi del sonno

9

1

Ho un atteggiamento più negativo nei confronti dei colleghi

5

1

Altro

3

0


Conclusioni

Molte manifestazioni di aggressività e di violenza legate al lavoro sono dipendenti dalla malattia o dalla disabilità e sono da considerarsi non intenzionali da parte dell’aggressore. Anche se non intenzionali hanno comunque effetti negativi sul personale che le subisce.
Le aggressioni fisiche non hanno conseguenze solamente sul corpo delle vittime, ma lasciano sequele psicologiche che possono diminuire anche in termini di sicurezza, le performance lavorative degli operatori. Paure e preoccupazioni portano altresì il lavoratore ad assumere un atteggiamento più chiuso e più distaccato nei confronti degli assistiti che compromette il ruolo terapeutico della relazione.
I pazienti con comportamenti aggressivi devono essere considerati come un evitabile rischio professionale (Ministero del lavoro, 2008) e come tale dovrebbe essere riconosciuto e compensato.
Pertanto, la valutazione del rischio di violenza è una competenza indispensabile per tutti gli infermieri psichiatrici ai quali è richiesta maggiore formazione sulla gestione della violenza e la valutazione del rischio. Inoltre dovrebbero essere forniti programmi e misure di sostegno con particolare attenzione alla situazione di maggiore rischio, vale a dire, pazienti psicotici, pazienti con abuso di sostanze e pazienti non collaboranti.
 

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Bibliografia

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