Il Servizio sanitario nazionale ha sempre più bisogno degli infermieri. Ne ha bisogno per l’assistenza che ogni giorno eroga a milioni di cittadini. Non solo negli ospedali e nel momento dell’acuzie. Ne ha bisogno ogni giorno dell’anno, nei luoghi di ricovero, anche e soprattutto sul territorio, perché l’aumento dell’età e di conseguenza delle patologie croniche, i bisogni complessi che derivano da terapie innovative e dal progresso tecnologico, hanno necessità di una presenza costante, professionalmente avanzata, psicologicamente pronta a far fronte a tutte le esigenze, in qualunque momento. E hanno bisogno di un professionista che abbia davvero come suo primo obiettivo la salute degli assistiti a tutto campo, dalla prima manifestazione di una patologia e/o di un problema di salute a quello della prosecuzione della vita di tutti i giorni, condividendola spesso con la malattia.
Ma se questo può anche essere evidente per la nostra professione, ci sono altri livelli in cui il Ssn ha necessità di noi. C’è l’organizzazione e la gestione trasversale dei servizi, perché una visione ultra-specialistica rischia di limitare l’approccio alla persona e ai suoi bisogni reali. Un anziano ad esempio ha necessità di un approccio assistenziale che tenga conto di tutti i suoi bisogni di salute, spesso condizionati da pluripatologie, e di qualcuno che accanto a lui selezioni e gestisca non solo la risposta alle sue necessità, ma anche chi deve far fronte di volta in volta alle sue urgenze e alla quotidianità della sua esistenza.
E c’è bisogno di infermieri anche al di là degli assistiti, perché chi vive accanto a loro, a partire dalle loro famiglie, hanno spesso necessità di un confronto, di un consiglio e anche di un conforto per poter affrontare necessità spesso nuove e per trarre forza e determinazione da chi sa come e cosa consigliare perché la vita sia e resti quella “normale”, quella “di tutti i giorni”.
La capacità di interagire coi pazienti e con i loro caregiver nella vita di tutti i giorni, nelle loro case, richiede poi un livello di educazione sanitaria e di addestramento anch’esso proprio della nostra professione, perché unisce la capacità di interagire con la persona alle conoscenze scientifico-cliniche che negli ultimi quindici anni hanno caratterizzato lo sviluppo professionale degli infermieri.
Il vero problema su questo cammino è di eradicare pregiudizi e luoghi comuni vecchi e obsoleti che fanno da barriera a quello che già all’estero e comunque nell’evoluzione naturale di un modello di assistenza moderna, è lo sviluppo professione degli infermieri nel Servizio sanitario nazionale.
Non è un nostro problema: agli infermieri italiani non manca nulla. Siamo pronti a entrare nei processi decisionali della sanità, in quelli clinici dello sviluppo della cura e dell’assistenza, in quelli di un approccio multiprofessionale al paziente che deve essere tale e non un trasferimento di disposizioni come qualcuno vorrebbe far credere sia meglio per la sua salute.
Siamo pronti dopo un percorso lungo e difficile, in cui nessuno ha regalato nulla alla nostra professione, ma abbiamo guadagnato sul campo e con sforzi spesso personali formazione scientifica, percorsi di carriera, specializzazioni, dottorati. Con l’unico obiettivo di rispondere al meglio ai bisogni dei pazienti, non anteponendo mai a questi, interessi professionali né tantomeno personali.
Quello che manca è il coraggio di chi ha la responsabilità di stimolare e sostenere l’innovazione organizzativa del nostro sistema salute che passa anche per la strada della valorizzazione della nostra professione.
Noi infermieri non ci arrenderemo e continueremo a dimostrare, con i fatti, il nostro peculiare contributo ai nostri cittadini.